lunedì 9 maggio 2022

Facoltà assunzionali: gli errori della sentenza 7/2022 delle Sezioni Riunite della Corte dei conti. Non è ammessa reviviscenza del criterio del turn over.

Non è del tutto condivisibile la posizione della Corte dei conti, Sezioni Riunite, sentenza n. 7/2022, laddove si afferma che in mancanza dell’asseverazione dell'organo di revisione del rispetto degli equilibri di bilancio, le assunzioni possano essere disposte nel rispetto del turn over.

Sul punto, le Sezioni Riunite nella sentenza 7/2022 affermano che in assenza della positiva asseverazione della sostenibilità di bilancio nel tempo, connessa alle assunzioni “per il calcolo delle nuove assunzioni a tempo indeterminato, al fine di evitare “vuoti di vincolo”, verranno in rilievo il (persistente) vincolo sul “budget assunzionale” di cui all’art. 3, co. 5 e ss. del d.l. n. 90/2014 ed il (persistente) limite sulla “spesa complessiva” di cui al co. 557-quater, dell’art. 1 della l. n. 296/2006”. Nello specifico, la sentenza aggiunge: “la Regione Lazio non avrebbe potuto incrementare la spesa di personale a tempo indeterminato nella misura consentita dal suddetto parametro di calcolo, dovendo limitare la propria capacità di spesa in base alla diversa regola del turn over al 100%, nei termini di cui all’art. 3, co. 5 e ss. del d.l. n 90/2014. Il tutto fermo restando il rispetto del “persistente” vincolo complessivo di cui al co. 557-quater, dell’art. 1 della l. n. 296/2006, non derogato, nel caso di specie, ai sensi dell’art. 6 del d.m. del 3 settembre 

2019, per mancanza dell’accesso al parametro normativo presupposto”.

Questo ragionamento inficia gravemente le conclusioni della sentenza. Infatti, mediante tale interpretazione, le Sezioni Riunite introducono il principio dell’alternatività dell’applicazione del regime normativo disposto dall’articolo 33 del d.l. 34/2019 con quello disciplinato dall’articolo 3, commi 5 e seguenti, del d.l. 90/2014. Infatti, la logica che emerge dalla sentenza è la seguente: nell’impossibilità di applicare l’articolo 33 del d.l. 34/2019 e, dunque, la limitazione alle assunzioni (e alle spese di personale) in omaggio al criterio della sostenibilità della spesa, per evitare che la PA agisca in assenza di vincoli alla spesa corrente dovuta ad assunzioni, allora si applica l’articolo 3, commi 5 e seguenti, del d.l. 90/2014.

Questa ricostruzione è caratterizzata da una serie di vizi interpretativi molto evidenti e rilevanti, tali da non consentire di accettarla come valida interpretazione della norma.

In primo luogo, è evidentissimo che la sentenza non si limita ad applicare le norme, spingendosi, invece, verso una funzione “normativa” vera e propria, in quanto crea dal nulla una fattispecie giuridica: appunto, quella dell’alternatività delle discipline in merito alle facoltà assunzionali: articolo 33 del d.ll 34/2019 oppure articolo 3, commi 5 e seguenti, del d.l. 90/2014.

Si tratta di una chiara esondazione dell’esercizio della giurisdizione: come noto il giudice può solo applicare le norme, non essendogli consentito, mediante l’interpretazione, di crearne di nuove.

Ora, l’alternatività tra sostenibilità delle spese, da un lato, e turn over, dall’altro, sarebbe ammissibile e condivisibile solo a condizione che risultasse fissata, ammessa e disciplinata dalla legge.

Ma, le cose non stanno affatto in questo modo. Analizzando l’articolo 33 del d.l. 34/2019, nei suoi commi 1, 1-bis e 2 (applicabili nell’ordine a regioni, province e città metropolitane e comuni), non si rinviene da nessuna parte la posizione di una possibile alternatività tra le regole ivi fissate e quelle dell’articolo 3, commi 5 e seguenti, del d.l. 90/2014; non c’è spazio alcuno perchè tale norma possa “riemergere” a supplire un supposto “vuoto di vincolo”.

Al contrario, tutti i commi citati esordiscono: “A decorrere  dalla  data  individuata  dal  decreto  di  cui  al presente comma … le regioni (le province e le città metropolitane) (i comuni) possono  procedere  ad assunzioni di personale a tempo indeterminato in coerenza con i piani triennali dei fabbisogni di personale e fermo  restando  il  rispetto

pluriennale dell'equilibrio di  bilancio  asseverato  dall'organo  di revisione, sino ad una  spesa  complessiva  per  tutto  il  personale dipendente,   al   lordo    degli    oneri    riflessi    a    carico dell'amministrazione, non superiore al valore  soglia  definito  come percentuale, anche differenziata per fascia demografica, della  media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati”.

Lungi dal disporre qualsivoglia possibile alternatività con le regole del d.l. 90/2014, l’articolo 33 è molto chiaro nel disporre apertamente ed esplicitamente un’indicazione opposta: cioè che una volte divenuti efficaci i decreti ministeriali attuativi dei 3 commi citati prima, l’unica strada disponibile per regioni, province e città metropolitane e comuni, per effettuare assunzioni a tempo indeterminato consiste nell’applicare le disposizioni del medesimo articolo 33, ivi compreso l’obbligo non eludibile di rispettare l’equilibrio pluriennale del bilancio, come accertato dall’asseverazione dell’organo di revisione.

Basta questa semplice osservazione, per privare di qualsiasi pregio quanto affermato dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti, che non si avvedono dell’effetto di disapplicazione totale ed assoluta delle disposizioni dell’articolo 3, commi 5 e seguenti, del d.l. 90/2014, dovuto all’attuazione dei commi 1, 1-bis, e 2 dell’articolo 33 del d.l. 90/2014, derivante dall’adozione dei loro decreti attuativi.

Tali decreti disapplicano totalmente la normativa relativa al turn over, senza ammettere in alcun modo una sua possibilità di reviviscenza.

In secondo luogo, le Sezioni Riunite affermano il principio di equivalenza-supplenza tra principio della sostenibilità e turn over senza minimamente spiegare le ragioni che sarebbero alla base di tale effetto.

Le Sezioni Riunite si limitano ad osservare che il vincolo del turn over risulta ancora “persistente”.

L’affermazione è sibillina e può, quindi, anche apparire condivisibile. In effetti, come evidenziato sopra, l’approvazione dei decreti attuativi dei commi 1, 1-bis e 2 dell’articolo 33 del d.l. 34/2019 non ha determinato l’abrogazione, nemmeno tacita, dell’articolo 3, commi 5 e seguenti, del d.l. 90/2014; tale norma è rimasta in vigore ed, infatti, essa regola ancora i vincoli assunzionali degli enti regionali e delle forme associative locali.

Dunque, l’articolo 3, commi 5 e seguenti, effettivamente “permane” nell’ordinamento. Ma, ciò non è sufficiente. La sua “permanenza” esplica efficacia limitatamente alle amministrazioni regionali e locali non tenute all’applicazione delle regole della sostenibilità del bilancio, poste dall’articolo 33 del d.l. 90/2014. Tali amministrazioni debbono applicare in via esclusiva quest’ultima norma, poichè l’effetto dei suoi decreti attuativi è l’assoluta ed irrimediabile disapplicazione dell’articolo 3, commi 5 e seguenti, del d.l. 90/2014, nei confronti di regioni, province e città metropolitane e comuni,

In terzo luogo, quanto affermano le Sezioni Riunite, cioè la sostanziale alternatività/supplenza tra principio della sostenibilità e tunr over, crea una situazione paradossale, se non assurda e drasticamente contraria alle regole di salvaguardia della finanza pubblica. Vediamo perchè.

Il meccanismo disposto dall’articolo 33 del d.l. 34/2019 e decreti attuativi consente solo agli enti “virtuosi” di effettuare assunzioni a tempo indeterminato per una quantità ed una spesa potenzialmente crescenti nel tempo. Simmetricamente, gli enti non virtuosi possono limitarsi ad una quantità di assunzioni tale da non modificare il rapporto spesa ed entrate considerato dagli ultimi rendiconti assicurati; oppure, se il loro rapporto tra spesa di personale ed entrate risulti superiore ai valori soglia previsti dai decreti, tali enti sono addirittura tenuti ad una progressiva azione di riduzione della spesa di personale, per allinearsi ai parametri di virtuosità, il che può comportare la conseguenza di un congelamento quasi totale delle assunzioni, visto che le entrate non sostengono le spese.

Il criterio del turn over non si cura minimamente della sostenibilità della spesa: considera esclusivamente la voce spesa e di fatto consente di mantenerla costante nel tempo. Cosa che penalizzerebbe gli enti virtuosi ai sensi dell’articolo 33, ma, al contrario, favorirebbe gli enti non virtuosi, poichè possono storicizzare la spesa di personale, anche se il volume delle entrate vada riducendosi. Non è, infatti, un caso che molti enti locali non abbiano mai integralmente digerito la riforma del 2019: è vero, infatti, che essa potenzialmente amplia le facoltà assunzionali, ma tale effetto vale solo per gli enti virtuosi. Purtroppo, di amministrazioni locali ben lontane da gestioni di bilancio corrette ve ne sono tante (e lo dimostra, per esempio, il “decreto aiuti”) e, quindi, altrettante sono le amministrazioni locali che vengono a loro dire “penalizzate” dall’articolo 33, mentre non lo sono (sul piano delle assunzioni) dal sistema del turn over.

La chiave di lettura fornita dalle Sezioni Riunite, allora, si rivela fallace e pericolosa: infatti, gli enti non virtuosi potrebbero essere tentati da operare con una sistematica mancata acquisizione dell’asseverazione dei revisori, così da far scattare, al posto delle disposizioni dell’articolo 33 del d.l. 34/2019, le più comode regole del turn over, sulla presunzione che esse “resuscitino” a causa dell’assenza dell’asseverazione. Una conseguenza semplicemente aberrante che farebbe discendere l’utilizzo in via suppletiva di una norma disapplicata, per intenti esclusivamente speculativi e sulla base di un inadempimento ad un obbligo normativo, cioè l’asseverazione dell’organo dei revisori.

Quale sarebbe, allora, la conseguenza della mancanza dell’asseverazione? Non certo quella di far scattare l’applicazione di una norma disapplicata. Assumere ai sensi dell’articolo 33 del d.l. 34/2019 è una violazione di legge molto grave.

Infatti, le assunzioni a tempo indeterminato non sono condizionate esclusivamente dalle previsioni dell’articolo 33 medesimo. A monte, emerge l’obbligo di pianificazione triennale dei fabbisogni, imposto dall’articolo 6 del d.lgs 165/2001, il cui comma 2 all’ultimo periodo dispone: “Il piano triennale indica le risorse finanziarie destinate all'attuazione del piano, nei limiti delle risorse quantificate sulla base della spesa per il personale in servizio e di quelle connesse alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente”.

Quindi, le assunzioni programmate sono possibili solo a condizione che rispettino le facoltà assunzionali previste dalla normativa vigente.

Allora, effettuare assunzioni in violazione delle norme vigenti che regolano le facoltà assunzionali, implica una violazione delle regole di coordinamento di finanza pubblica, come anche l’assenza di un presupposto di legittimità delle assunzioni stesse.

Le conseguenze di ciò non pare affatto possano consistere nella riviviscenza di una normativa irrimediabilmente disapplicata di regolazione delle facoltà assunzionali. All’opposto, emergono:

  1. un’ipotesi di danno erariale per violazione delle regole di finanza pubblica;

  2. un’ipotesi di stessa radicale nullità delle assunzioni effettuate in assenza della verifica effettiva delle facoltà assunzionali ammesse dalla legislazione vigente.

Altrimenti, il mancato rispetto dell’obbligo di verificare, mediante l’asseverazione, il rispetto pluriennale dell’equilibrio di bilancio potrebbe essere sempre e costantemente aggirato, applicando ad usum delphini le regole dell’articolo 3, commi 5 e seguenti, del d.l. 9072014, pur essendo queste definitivamente disapplicate per regioni, province e città metropolitane e comuni.

Per altro, le stesse Sezioni Riunite, indirettamente evidenziano la funzione fondamentale dell’asseverazione: “Il perimetro temporale dell’equilibrio prospettico da asseverare non è

determinabile “in astratto”, come invece ritenuto dalla Sezione regionale (5 anni) e dall’odierno ricorrente (3 anni). Esso dipenderà dalla proiezione nel tempo dei “fattori” che lo stesso Organo di revisione reputerà di inserire nella disamina, in quanto incidenti – in concreto o con ragionevole possibilità – sulla tenuta degli equilibri sostanziali dell’Ente.

Ferma restando la durata minima triennale, perché coincidente con la struttura stessa del bilancio di previsione, la sua verifica prospettica dovrà estendersi a considerare tutti i “fatti” – di natura finanziaria, economica e patrimoniale - conosciuti e conoscibili alla data

dell’asseverazione, suscettibili di incidere sulla tenuta prospettica degli equilibri”.

Talmente rilevante e penetrante è l’asseverazione, che essa deve scandagliare gli effetti dell’incremento ed irrigidimento della spesa corrente connessa alle assunzioni entro un lasso di tempo che nel minimo è di tre anni, ma nel massimo può estendersi per un segmento anche maggiore dei cinque, dovendo considerare ogni elemento e fatto di natura finanziaria incidente.

Ma, allora, risulterebbero penalizzati e maggiormente vincolati solo gli enti che applichino, come doveroso, le regole dell’articolo 33 del d.l. 34/2019, mentre chi, facendo a meno dell’asseverazione, violando quella norma potrebbe scegliersi una più conveniente, per sè e nell’immediato, scelta operativa, che però, nel tempo medio lungo, potrebbe determinare un deterioramento degli equilibri di bilancio.

E’ da auspicare, dunque, che le conclusioni cui giungono le Sezioni Riunite con la sentenza 7/2022 siano al più presto oggetto di una loro consapevole correzione, fermo restando che esse, comunque, essendo frutto di un evidente errore non possono fondare comportamenti speculativi.


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