Considerazioni condivisibili quelle di Antonio Naddeo e Raffaella Saporito, espresse con l’articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore del 2.6.2022 dal titolo “Il futuro dei dirigenti nella Pa e la scelta di percorsi chiari”.
Criticando il continuo assalto alla diligenza, pardon “dirigenza”, mediante emendamenti che in questi mesi si ripetono e finalizzati a “stabilizzare” come dirigenti i funzionari che abbiano ricevuto incarichi dirigenziali a tempo determinato, gli Autori evidenziano due argomenti di notevole interesse.
Il primo è decidere una volta e per sempre un’alternativa:
a) vogliamo una dirigenza non di ruolo, costituita solo da funzionari incaricati a tempo determinato (soluzione, alla fine, non troppo dissimile dalla sciagurata riforma Madia, per fortuna mai entrata in vigore)?
b) oppure, si preferisce il modello della dirigenza di ruolo?
Nel secondo, auspicabile, caso gli Autori suggeriscono rendere di non consentire più che la dirigenza a contratto dia accessibile ai funzionari interni senza concorsi, come oggi consente l’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001. Ciò per tornare all’unica utilità plausibile della dirigenza a contratto, che, correttamente gli Autori ricordano essere “dotarsi di competenze dirigenziali attingendo dal mercato esterno alla Pa, nei limiti percentuali previsti dalle norme”.
Ci sarebbe da aggiungere al “dotarsi di competenze dirigenziali” la precisazione “non disponibili negli organici ed altamente qualificate, in relazione a specifici programmi”.
In effetti, questo era l’intento originario del testo unico sul lavoro pubblico. La limitata possibilità di acquisire dirigenti a contratto era espressamente rivolta a fare fronte all’eventualità che particolari programmi di governo o specifici progetti si rivelassero caratterizzati da complessità settoriali, tecniche ed organizzative tali da non poter essere soddisfatte dalla dirigenza in ruolo (e talvolta, persino da strutture ordinariamente operanti). La dirigenza a contratto avrebbe consentito, quindi, di assumere temporaneamente, per il lasso necessario alla realizzazione del programma e dei progetti, persone particolarmente esperte, non presenti negli organici della PA.
Nel 2005, una delle tante riformette al d.lgs 165/2001, però, travisò e stravolse le logiche suddette, ammettendo che gli incarichi a contratto potessero essere attribuiti anche a funzionari appartenenti alla medesima amministrazione che avesse evidenziato la necessità di reclutare dirigenti a contratto.
Una contraddizione in termini paradossale. Infatti, le PA sono chiamate a dimostrare di non possedere nei propri ruoli personale dotato di quelle particolari ed elevatissime competenze necessarie per incarichi a contratto, ma al contempo “scoprire” che nei propri ruoli, non tra i dirigenti, ma tra i funzionari, quelle specifiche e rilevantissime competenze vi fossero!
E pazienza se il semplice status di funzionario non basti per nulla. L’articolo 19, comma 6, a guardarlo con l’attenzione che regolarmente si abbassa quando si tratta di attuarlo, prevede requisiti soggettivi particolarmente rilevanti per i dirigenti a contratto, da destinare a persone persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell'Amministrazione,
a) che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali,
b) o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza,
c) o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato.
Ora, reperire funzionari interni che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria o siano magistrati o avvocati appare impresa leggendaria, prima che velleitari. Maggiori, per quanto piccolissime, possono essere le probabilità di esperienze pregresse in ruoli dirigenziali del privato o della particolare specializzazione professionale descritta sopra alla lettera b).
E’ evidentissimo che l’articolo 19, comma 6, punta ad un reclutamento di elevatissima qualità di persone esterne alla PA, lasciando l’attribuzione di incarichi a contratto a funzionari come ipotesi remota, più che residuale.
Tuttavia, le PA incaricano a piene mani come dirigenti a contratto i funzionari, per il semplice fatto di essere funzionari, senza curarsi di verificare nessuna delle tre tipologie di competenza richiesta dalla norma. Il caso delle Agenzie che assegnarono migliaia di incarichi a contratto a funzionari interni è lì a ricordarlo.
Come sostenuto da Naddeo e Saporito, un buon inizio sarebbe eliminare per sempre la possibilità di attribuire incarichi a contratto - che si danno in ragione di competenze già mostrate in ruoli ed attività di elevato profilo, non in funzione di potenzialità ancora da sondare - ai funzionari. A meno di imporre loro di andare “fuori ruolo”, come suggeriscono gli Autori, cioè di licenziarsi e sempre a condizione che dimostrino il possesso di una delle tre tipologie di professionalità viste sopra, come presupposto indefettibile.
E’ da ricordare che nell’ordinamento degli enti locali, fino a qualche anno fa gli incarichi a contratto (regolati oltre che dall’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001, anche dall’articolo 110 del d.lgs 267/2000) attribuiti a dipendenti pubblici e, in particolare ai funzionari, causavano la cessazione del rapporto di lavoro; ma, questa norma venne poi cancellata e anche nell’ordinamento locale gli incarichi dirigenziali a contratto a funzionari del tutto privi dei requisiti soggettivi di professionalità richiesti dalla norma sono da anni ed anni un incontenibile fiume in piena.
Dietro al dilagare degli incarichi a contratto, è ovvio, vi è un chiaro intento: le formazioni politiche mirano a cooptare, senza il disturbo dei concorsi, dirigenti dichiaratamente dalla “loro parte”, di “fiducia” ed “affidabili”.
Da anni persiste in Italia l’equivoco: voler considerare come fiduciaria l’intera dirigenza, sebbene la Corte costituzionale in ripetuti interventi confermati dal 2007 ribadisce che solo per la dirigenza di elevatissimo livello statale, quella nominata anche con passaggi in Parlamento e decreti del Presidente della Repubblica, possa essere connessa al vero spoil system in quanto gli incarichi assegnati a persone di elevatissimo profilo, ma che abbiano enunciato apertamente la “personale adesione” al disegno politico della maggioranza di turno.
E’ di tutta evidenza che l’idea di consentire che gli incarichi dirigenziali a contratto ai funzionari si trasformino in una permanente assunzione come dirigenti tradisce l’intento delle forze politiche di assicurarsi appunto la perdurante presenza nei ruoli dirigenziali, anche non di vertice, di dirigenti “fedeli”. Uno strumento indispensabili per provare a decidere e limitatamente a governare, o quanto meno avere informazioni di prima mano sui dossier, anche al cambiare delle maggioranze: l’esatto opposto dello spoil system.
Il secondo argomento particolarmente convincente di Naddeo e Saporito riguarda l’analisi dei problemi connessi all’organizzazione.
In molte amministrazioni statali, ma anche regionali, i posti dirigenziali sono tanti, spesso troppi, con punte di proporzione tra dirigente e dipendenti attribuiti alla loro competenza di pochissime unità.
Nella sanità, ad esempio, i dirigenti sono circa un centinaio di migliaia, per la semplice ragione che i medici sono qualificati automaticamente come dirigenti.
Ha senso? Nelle altre amministrazioni, proliferano i posti da dirigenti per compensare con livelli retribuiti elevati funzioni che sono, spesso, molto verticali, attività di funzionari o tecnici superspecializzati, ma prive della connotazione dirigenziale vera e propria, composta da poteri decisionali, organizzativi, di gestione delle entrate e delle spese, di collaborazione alla programmazione politico-amministrativa, di scelta delle strategie funzionali all’efficienza e caratterizzate dalla responsabilità di attuare le politiche.
Allora, chiosano Naddeo e Saporito, molto meglio puntare sulla “quarta area”, prevista dal d.l. 80/2021 ed introdotta nel Ccnl del comparto Funzioni Centrali, quale sviluppo di carriera dei funzionari. Un metodo per premiare appunto le competenze particolarmente spiccate di tecnici e specialisti, con retribuzioni competitive rispetto a quelle dei dirigenti, senza confondere i ruoli (specialista e dirigente), premiando comunque il valore.
C’è, per altro, da ricordare che già il d.l. 80/2021 ha introdotto ampi, troppo ampi, margini per la “stabilizzazione” dei dirigenti a contratto. Da un lato, si introduce, infatti, la possibilità di effettuare “progressioni verticali”, cioè procedure riservate agli interni, anche verso la dirigenza, ciò che era impossibile fino al d.l. citato. Un rischio enorme: le procedure selettive per le progressioni verticali non hanno mai brillato per rigorosità ed il rischio è un’imbarcata sotto traccia di dirigenti sotto traccia, senza concorso e con formidabili pressioni politiche per orientare l’esito di selezioni non concorsuali e facilmente malleabili. Dall’altro, si prevede che il 15% dei concorsi per l’accesso alla dirigenza sia riservato proprio ai funzionari che abbiano svolto il ruolo di dirigenti a contratto.
La combinazione tra le due possibilità, a ben guardare, rende gli emendamenti volti a regolare espressamente la “stabilizzazione” dei dirigenti a contratto sostanzialmente inutili, perchè già la riforme del 2021, se attuata utilizzando in modo opportuno le pieghe, potrebbe consentire valanghe di definitive riqualificazioni di funzionari come dirigenti. Gli emendamenti proposti in questi mesi a varie leggi di riforma del diluvio di decreti legge sono, come dire, solo la testimonianza di una volontà espressa di creare dirigenti stabili dal nulla, a caccia evidente di consensi.
Per altro, “stabilizzare” potrebbe risultare utile nei confronti di lavoratori precari. Ma, i funzionari con incarichi di dirigente a contratto non sono precari per nulla. Si tratta, infatti, di dipendenti pubblici che vengono messi in aspettativa dal proprio posto, che mantengono ben stretto, finchè perduri l’incarico dirigenziale. Scaduto il quale, non si trovano per nulla improvvisamente privi di lavoro, ma tornano alla loro precedente occupazione. Nulla a che vedere col precariato vero e proprio, con le sue sofferenze, le sue ansie, le sue indennità di disoccupazione
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