L’accordo tra Governo e
sindacati del 30 novembre finalizzato a dettare direttive generali per l’avvio
dei rinnovi contrattuali (per i quali vi sarà da attendere ancora mesi e mesi,
altro che “siglato il rinnovo”) si segnala in particolare per l’accento sulla
presenza in servizio come elemento di valorizzazione.
In particolare, l’accordo riporta,
sul punto, l’impegno delle parti “ad
individuare, con cadenza periodica, criteri e indicatori al fine di misurare
l’efficacia delle prestazioni delle amministrazioni e la loro produttività
collettiva con misure contrattuali che
incentivino più elevati tassi medi di presenza”.
Sul tema è oggettivamente facile
fare
ironia, a partire dalla consapevolezza che la presenza in servizio è già
ampiamente remunerata dallo stipendio ordinario ed osservando che occorrerebbe
incentivare non tanto la cortesia della presenza fisica nel luogo di lavoro,
quanto lo svolgimento di attività utili, secondo obiettivi e piani
organizzativi.
Altrettanto facile è ricordare
come in tema di lavoro pubblico, il legislatore italiano si distingua per l’enorme
confusione sul concetto di produttività e, soprattutto, sul ruolo della
presenza in servizio. E’ sempre utile ricordare la paradossale previsione dell’articolo
71, comma 5, del d.l. 112/2008, (poi abolita in un sussulto di dignità): “Le assenze dal servizio dei dipendenti di
cui al comma 1 non sono equiparate alla presenza in servizio ai fini della
distribuzione delle somme dei fondi per la contrattazione integrativa”. Per
qualche tempo, nel nostro ordinamento, una legge ha disposto che l’assenza non
equivalesse a presenza, ai fini del premio per il risultato.
Alla luce di ciò, potrebbe, in
effetti, considerarsi inevitabile che un accordo tra Governo e sindacati
consideri da incentivare, come premio per la produttività collettiva, la
presenza in servizio.
Non è chi non veda, tuttavia,
quanto perversa e priva di alcuna razionalità sia la costruzione di un sistema
di valutazione del “risultato” alla luce della rilevazione delle presenze.
Facciamo un esempio sportivo, da prendere ovviamente per quello che è, solo
paradossale. Nel 1962 il Brasile andò in Cile da campione del mondo di calcio,
con l’obiettivo di confermarsi campione. Tuttavia, non riuscì a schierare Pelè,
che si infortunò. L’assenza del grandissimo campione brasiliano, tuttavia, non
impedì alla squadra di vincere comunque quell’edizione della coppa del mondo. E
Pelè risulta, comunque, tra i vincitori, sebbene avesse giocato solo per pochi
minuti, prima di infortunarsi.
L’assenza di Pelè ha influito
sull’obiettivo? No, stando al risultato finale, o, quanto meno, forse lo ha
reso meno facile da raggiungere, ma non l’ha impedita. La presenza di Pelè
avrebbe facilitato la vittoria del Brasile? Non lo si può certo sapere. L’apporto
di Pelè fu particolarmente significativo? Evidentemente no, ma non per un suo
torto, una sua incapacità, mancanza di “merito”, ma per un accidente, un evento
imprevisto ed imprevedibile, del quale non aveva colpa.
L’esempio dimostra che la
presenza in servizio, in particolare nell’ambito di risultati da perseguire in
squadra, non è mai da considerare come elemento decisivo ai fini del
conseguimento dell’obiettivo. Di conseguenza dovrebbe risultare neutrale ai
fini dell’assegnazione del premio, ma rilevare, semmai, come ragione per
decurtare il premio o azzerarlo, laddove tale assenza risulti come causa significativa
di mancato apporto al risultato della squadra e, soprattutto, se essa derivi da
fatto imputabile all’assente e, dunque, sa suo inadempimento alle obbligazioni
contratte col gruppo (col datore di lavoro).
Un minimo di saggezza nell’affrontare
il rapporto tra presenza in servizio e premi di produttività lo dimostrò a suo
tempo il Ccnl 31 luglio 2009 del comparto regioni enti locali, che all’articolo
5, dispone quanto segue:
Art. 5 - Principi in
materia di compensi per la produttività
1. Le parti confermano
la disciplina dei compensi per produttività dettata dall’art. 37 del CCNL del
22.1.2004, ribadendo gli ordinari principi in materia di premialità, con
particolare riferimento alla natura e ai contenuti dei sistemi incentivanti la
produttività e alla conseguente necessità di valutare l’apporto partecipativo
dei lavoratori coinvolti negli stessi. In
caso di assenza, l’apporto individuale del dipendente è valutato in relazione
all’attività di servizio svolta ed ai risultati conseguiti e verificati, nonché
sulla base della qualità e quantità della sua effettiva partecipazione ai
progetti e programmi di produttività.
La norma, insomma, non ricava
alcuna formula automatica dalla circostanza dell’assenza in servizio: rimette,
come appare opportuno e inevitabile, al datore, sulla base dei sistemi di
valutazione utilizzati, comprendere se e quanto l’assenza (ovviamente in
proporzione alla misura dei giorni dell’assenza ed alle regioni della stessa)
abbia influito sui risultati ottenuti, collettivi ed individuali, così da
graduare di conseguenza l’eventuale erogazione del “premio”.
Una disposizione contrattuale
come quella ricordata (ancora vigente) ha certamente senso. L’indicazione dell’Accordo
del 30 novembre, volta ad incentivare la presenza appare, più che altro, non
tanto uno sberleffo, quanto il solito poco riuscito scimmiottamento di quanto
avviene nel mitico “privato”.
I sindacati hanno ben presente
come si gestisca la produttività nel “privato”. Da sempre suggeriscono nelle
contrattazioni decentrate quei metodi e con l’accordo del 30 novembre sono
riusciti ad ottenere una copertura, un viatico a poterli finalmente estendere
appunto alla contrattazione di secondo livello.
Ma, quali sono questi metodi di
gestione dei “premi” nel privato? Prima di portare qualche significativo
esempio, appare, però, opportuno riportare sia pur brevemente alla memoria la
fatica di Tantalo che occorre attivare nel lavoro pubblico, per poi erogare un
premio medio di circa 800 euro lordi.
Intanto, occorre attivare il “ciclo
di gestione della performance” (ci si
scusa per la trascrizione dell’orrenda parola straniera, ma citando le norme
vigenti purtroppo si deve riportare l’oltraggio alla lingua italiana imposto
dal Legislatore), ai sensi dell’articolo 4, comma 2, del d.lgs 150/2009:
Il ciclo di gestione
della performance si articola nelle seguenti fasi:
a) definizione e
assegnazione degli obiettivi che si intendono raggiungere, dei valori attesi di
risultato e dei rispettivi indicatori;
b) collegamento tra
gli obiettivi e l'allocazione delle risorse;
c) monitoraggio in corso
di esercizio e attivazione di eventuali interventi correttivi;
d) misurazione e
valutazione della performance, organizzativa e individuale;
e) utilizzo dei
sistemi premianti, secondo criteri di valorizzazione del merito;
f) rendicontazione dei
risultati agli organi di indirizzo politico-amministrativo, ai vertici delle
amministrazioni, nonché ai competenti organi esterni, ai cittadini, ai soggetti
interessati, agli utenti e ai destinatari dei servizi.
Una frantumazione in diverse
fasi che richiede la presenza nell’elaborazione e gestione del ciclo, oltre a
dirigenti e responsabili di servizio, di revisori dei conti e del più inutile
tra i tanti inutili organismi mai previsti dalla legislazione italiana: l’Oiv,
l’organismo indipendente per la valutazione.
Ma, non finisce qui. Perché vi è
anche la fase della contrattazione come momento per definire gli obiettivi da
gestire e l’applicazione delle risorse connesse. Qui subentra l’articolo 18 del
Ccnl 1 aprile 1999, come modificato dal Ccnl 22 gennaio 2004:
1. La attribuzione dei
compensi di cui all’art. 17, comma 2, lett. a) ed h) è strettamente correlata
ad effettivi incrementi della produttività e di miglioramento
quali-quantitativo dei servizi da intendersi, per entrambi gli aspetti, come
risultato aggiuntivo apprezzabile rispetto al risultato atteso dalla normale
prestazione lavorativa.
2. I compensi
destinati a incentivare la produttività e il miglioramento dei servizi devono
essere corrisposti ai lavoratori interessati soltanto a conclusione del
periodico processo di valutazione delle prestazioni e dei risultati nonché in
base al livello di conseguimento degli obiettivi predefiniti nel PEG o negli
analoghi strumenti di programmazione degli enti.
3. La valutazione
delle prestazioni e dei risultati dei lavoratori spetta ai competenti dirigenti
nel rispetto dei criteri e delle prescrizioni definiti dal sistema permanente
di valutazione adottato nel rispetto del modello di relazioni sindacali
previsto; il livello di conseguimento degli obiettivi è certificato dal
servizio di controllo interno.
4. Non è consentita la
attribuzione generalizzata dei compensi per produttività sulla base di
automatismi comunque denominati.
5 omissis.
Occorrrono, dunque, programmi,
descrizione di obiettivi, indicatori, monitoraggi, report, valutazioni sul
prodotto collettivo e quello individuale, passaggi e validazioni dell’Oiv,
pubblicazioni varie. Un lavoro immenso, tantissimi passaggi, per erogare, lo si
ribadisce, in media 800 euro. Il trionfo della burocrazia. Che viene ancor
meglio celebrato dal modo con cui l’Aran intende, poi, l’applicazione dell’articolo
18 del Ccnl 1.4.1999 (parere RAL 499-15l1): “l’incremento delle risorse può realizzarsi legittimamente, solo qualora
siano verificate in modo rigoroso (e siano quindi oggettivamente documentate)
le condizioni poste dalla citata disciplina. La sussistenza di tali condizioni costituisce,
tra l’altro, uno degli aspetti qualificanti del controllo sui contratti
decentrati da parte dei collegi dei revisori.
Prima condizione: più risorse per
il fondo in cambio di maggiori servizi
Attraverso la disposizione dell’art. 15, comma 5, gli enti possono
“investire sull’organizzazione”. Come in ogni investimento, deve esserci un
“ritorno” delle risorse investite. Nel caso specifico, questo “ritorno dell’investimento”
è un innalzamento – oggettivo e documentato – della qualità o quantità dei
servizi prestati dall’ente, che deve tradursi in un beneficio per l’utenza esterna
o interna.
Occorre, in altre parole, che l’investimento sull’organizzazione sia
realizzato in funzione di (“per incentivare”) un miglioramento
quali-quantitativo dei servizi, concreto, tangibile e verificabile (più soldi
in cambio di maggiori servizi e utilità per l’utenza).
Prima di pensare ad incrementi del fondo, è necessario pertanto
identificare i servizi che l’ente pensa di poter migliorare, attraverso la leva
incentivante delle “maggiori risorse decentrate”, nonché i percorsi e le misure
organizzative attraverso le quali intervenire.
Seconda condizione: non generici
miglioramenti dei servizi, ma concreti risultati
L’innalzamento quali-quantitativo dei servizi deve essere tangibile e
concreto.
Non basta dire, ad esempio, che l’ente intende “migliorare un certo
servizio” o “migliorare le relazioni con l’utenza” oppure che è “aumentata
l’attività o la domanda da parte dell’utenza”.
Occorre anche dire, concretamente, quale fatto “verificabile e
chiaramente percepibile dall’utenza di riferimento” è il segno tangibile del
miglioramento quali-quantitativo del servizio.
Ad esempio:
- minori tempi di attesa per una prestazione o per la conclusione di un
procedimento;
- arricchimento del servizio, con la previsione di ulteriori
facilitazioni e utilità per l’utente (ad esempio: oltre al servizio
tradizionale un nuovo servizio per rispondere alle esigenze di utenti portatori
di bisogni particolari);
- nuovi servizi, che prima non venivano prestati, per servire nuovi
utenti o per dare risposta a nuovi bisogni di utenti già serviti;
- aumento delle prestazioni erogate (ad esempio: più ore di vigilanza
sul territorio, più ore di apertura al pubblico, più utenti serviti);
- impatto su fenomeni dell’ambiente esterno che influenzano la qualità
della vita (ad esempio: grazie all’intensificazione dei controlli, riduzione di
comportamenti illegali; grazie al miglioramento del servizio: riduzione di
fenomeni di marginalità sociale).
Terza condizione: risultati
verificabili attraverso standard, indicatori e/o attraverso i giudizi espressi
dall’utenza
Per poter dire – a consuntivo – che c’è stato, oggettivamente, un
innalzamento quali quantitativo del servizio, è necessario poter disporre di
adeguati sistemi di verifica e controllo.
Innanzitutto, occorre definire uno standard di miglioramento. Lo standard
è il termine di paragone che consente di apprezzare la bontà di un risultato.
Ad esempio: per definire lo standard di una riduzione del 10% dei tempi di
attesa di una prestazione, occorre aver valutato a monte i fabbisogni espressi
dall’utenza e le concrete possibilità di miglioramento del servizio.
Lo standard viene definito a partire da:
- risultati di partenza, desumibili dal consuntivo dell’anno
precedente;
- risultati ottenuti da altri enti (benchmarking);
- bisogni e domande a cui occorre dare risposta;
- margini di miglioramento possibili, tenendo conto delle condizioni
strutturali (“organizzative, tecniche e finanziarie”) in cui l’ente opera.
In secondo luogo, è necessario misurare, attraverso indicatori, il
miglioramento realizzato.
Le misure a consuntivo vanno quindi “confrontate con lo standard,
definito a monte”.
Per misurare il miglioramento realizzato, l’ente può anche avvalersi di
sistemi di rilevazione della qualità percepita dagli utenti (ad esempio:
questionari di gradimento, interviste, sondaggi ecc.).
Quarta condizione: risultati
difficili che possono essere conseguiti attraverso un ruolo attivo e
determinante del personale interno
Non tutti i risultati dell’ente possono dar luogo all’incremento delle
risorse decentrate di cui all’art. 15, comma 5.
Devono essere anzitutto risultati “sfidanti”, importanti, ad alta
visibilità esterna o interna.
L’ottenimento di tali risultati non deve essere scontato, ma deve
presentare apprezzabili margini di incertezza. Se i risultati fossero scontati,
verrebbe meno l’esigenza di incentivare, con ulteriori risorse, il loro
conseguimento.
Secondo: il personale interno deve avere un ruolo importante nel loro
conseguimento.
Devono cioè essere “risultati ad alta intensità di lavoro”, che si
possono ottenere grazie ad un maggiore impegno delle persone e a maggiore
disponibilità a farsi carico di problemi (per esempio, attraverso turni di
lavoro più disagiati). Viceversa, risultati ottenuti senza un apporto rilevante
del personale interno già in servizio (per esempio, con il ricorso a società
esterne, a consulenze, a nuove assunzioni ovvero con il prevalente concorso di
nuova strumentazione tecnica) non rientrano certamente tra quelli incentivabili
con ulteriori risorse.
Quinta condizione: risorse
quantificate secondo criteri trasparenti e ragionevoli, analiticamente
illustrati nella relazione da allegare al contratto decentrato.
La quantificazione delle risorse va fatta con criteri trasparenti (cioè
esplicitati nella relazione tecnico-finanziaria) e ragionevoli (cioè basati su
un percorso logico e sufficientemente argomentato).
E’ necessario, innanzitutto, che le somme messe a disposizione siano
correlate al grado di rilevanza ed importanza dei risultati attesi, nonché
all’impegno aggiuntivo richiesto alle persone, calcolando, se possibile, il
valore di tali prestazioni aggiuntive (ad esempio, il costo di una nuova organizzazione
per turni di lavoro).
E’ ipotizzabile anche che le misure dell’incremento siano variabili in
funzione dell’entità dei risultati ottenuti: si potrebbero, ad esempio,
graduare le risorse in relazione alla percentuale di conseguimento
dell’obiettivo (risorse X per risultati effettivi pari allo standard, risorse X
+ 10% per risultati effettivi pari allo standard + 10%, risorse X + 20% per
risultati effettivi pari allo standard + 20%; risorse zero per risultati
inferiori ad una certa soglia predeterminata).
Infine, gli incrementi devono essere di entità “ragionevole”, non tali,
cioè, da determinare aumenti percentuali eccessivi del fondo o vistose
variazioni in aumento delle retribuzioni accessorie medie pro-capite.
Ricordiamo che il contratto decentrato non ha titolo per stabilire
l’incremento delle risorse variabili, la cui disponibilità deve essere decisa
in sede di bilancio di previsione (sostanzialmente, quindi, dalla Giunta
comunale o provinciale, senza alcun coinvolgimento da parte delle organizzazioni
sindacali), sulla base del progetto di miglioramento dei servizi. Nella
relazione tecnico finanziaria, da allegare al contratto decentrato, deve
essere, invece, chiaramente illustrato, nell’ambito della specificazione e
giustificazione di tutte le risorse stabili e variabili, il percorso di definizione
degli obiettivi di miglioramento dei servizi ed i criteri seguiti per la
quantificazione delle specifiche risorse variabili allocate in bilancio, dando
atto del rispetto delle prescrizioni dell’art. 15, comma 5, del CCNL 1/4/1999.
Sesta condizione: risorse rese
disponibili solo a consuntivo, dopo avere accertato i risultati
E’ evidente che se le risorse sono strettamente correlate a risultati
ipotizzati per il futuro, non è possibile renderle disponibili prima di avere
accertato l’effettivo conseguimento degli stessi. E’ necessario pertanto che le
risorse ex art. 15, comma 5, siano sottoposte a condizione (in tal senso, occorre
prevedere una specifica clausola nel contratto decentrato). La condizione
consiste precisamente nel raggiungimento degli obiettivi prefissati, verificati
e certificati dai servizi di controllo interno. La effettiva erogazione,
pertanto, potrà avvenire solo a consuntivo e nel rispetto delle modalità e dei
criteri definiti nel contratto decentrato.
Settima condizione: risorse
previste nel bilancio annuale e nel PEG
La somma che l’ente intende destinare ai sensi dell’art. 15, comma 5,
del CCNL 1.4.1999 alla incentivazione del personale deve essere prevista nel
bilancio annuale di previsione e, quindi, approvata anche dall’organo
competente; si tratta, infatti, di nuovi e maggiori oneri, che non potrebbero
essere in alcun modo impegnati ed erogati, senza la legittimazione del
bilancio.
Riepilogo dei passaggi per
l’attuazione della disciplina
Per poter applicare correttamente la disciplina di cui all’art. 15,
comma 5, suggeriamo, in conclusione, un semplice percorso, che prevede i
passaggi di seguito indicati:
Primo: individuare i servizi (e prima ancora: i bisogni degli utenti a
cui i servizi intendono dare risposta) su cui si vuole intervenire per
realizzare miglioramenti quali-quantitativi con le caratteristiche più sopra
indicate.
Secondo: definire il progetto di miglioramento dei servizi, indicando
gli obiettivi da conseguire, gli standard di risultato, i tempi di
realizzazione, i sistemi di verifica a consuntivo (è auspicabile che si tratti
di obiettivi indicati anche nel PEG o in altro analogo documento di programmazione
della gestione).
Terzo: quantificare le ulteriori risorse finanziarie variabili da
portare ad incremento del fondo ai sensi dell’art. 15, comma 5, e definirne lo
stanziamento nel bilancio e nel PEG; la quantificazione spetta esclusivamente
all’ente e non deve essere oggetto di contrattazione (anche se, naturalmente,
può “condizionare il negoziato poiché si tratta pur sempre di una concessione fatta
al sindacato in cambio della quale l’ente dovrebbe ottenere a sua volta
concessioni su altri fronti).
Quarto: stabilire nel contratto decentrato le condizioni alle quali le
risorse ex art. 15, comma 5 possono essere rese disponibili; illustrare
analiticamente nella relazione, allegata al contratto decentrato, i criteri
seguiti per la quantificazione delle risorse.
Quinto: verifica e certificazione, a consuntivo, da parte dei servizi
di controllo interno, dei livelli di risultato in rapporto agli standard
predefiniti.
Sesto: eventuale erogazione delle somme, totale o parziale, in
relazione ai livelli di risultato certificati dai servizi di controllo interno,
secondo i criteri stabiliti nel contratto decentrato”.
Un insieme di regole e codicilli
parossistico, un’esplosione di burocrazia ed adempimenti nemmeno specificamente
previsti dalle norme di legge e contrattuali e oggettivamente incomprensibili
(cosa significa obiettivo “sfidante”?), che rendono il sistema di valutazione
ed assegnazione dei premi di risultato un caos. Tanto che, in questo brodo
inconsulto di regole inventate e più o meno assecondabili, tutte le relazione
dei servizi ispettivi del Mef trovano sempre, regolarmente, problemi e
discordanze, che innescano un contenzioso talmente infinito e grottesco, che
nemmeno sanatorie come il “slava Roma” sono capaci di districare.
Chi ha scritto questo ircocervo,
questa confusione di disposizioni incomprensibili, inapplicabili, informi, ha
pensato di agire da esperto “aziendalista”, applicando al vituperato “pubblico”
le virtuosità del “privato”.
Ma le cose stanno davvero così?
Realmente possiamo pensare che aziende che competono nel mercato, che debbono
stare attentissime al prodotto, alla sua qualità, alla rete di vendita, alla
competizione col concorrente, alla cura del cliente, possano avere tempo,
voglia e risorse da dedicare a sistemi così assurdamente farraginosi per
incentivare il personale?
Davvero si pensa che, per
esempio, nel “privato” non vi sia un ruolo fortissimo della “presenza in
servizio” come elemento di valutazione dell’apporto individuale?
La risposta deve essere molto
chiara: nel privato si considera come salario di produttività il semplice
straordinario, cioè l’effettuazione di ore di lavoro in più. Ed è, inoltre,
diffusissima la presenza in servizio come elemento, talvolta unico, di
valutazione ai fini dell’assegnazione del risultato. Questo i sindacati lo
sanno molto bene e per questo hanno ottenuto dal Governo l’inserimento della
clausola sulla presenza in servizio nell’accordo del 30 novembre. Adesso,
allora, occorre dare conferma a quanto affermato. Illustreremo 4 esempi.
Partiamo da un comparto ancora
abbastanza vicino a quello della pubblica amministrazione: le Poste Italiane.
Riportiamo di seguito un’illustrazione dell’assegnazione dei premi di risultato
della Cisl di Varese: “Per quanto
concerne i criteri di attribuzione individuale del Premio al personale con
contratto a tempo indeterminato, di formazione lavoro e di apprendistato,
l’accordo del 7 maggio 2009 prevede che:
- ogni giornata di assenza dal servizio - fatta eccezione di quelle per
ferie, congedo matrimoniale, permessi ex festività soppresse, permessi
sindacali, permessi retribuiti concessi a vario titolo, infortuni sul lavoro,
malattie dovute a patologie di particolare gravità di cui al CCNL e ricoveri ospedalieri,
ivi ricomprendendo i periodi di prognosi che vi si riconnettono, nonché
astensione obbligatoria per gravidanza o puerperio per un periodo di astensione
di cinque mesi, ed eventuali periodi di interruzione –riduce il Premio in
ragione di 1/312 nei confronti del personale che effettua un orario distribuito
su 6 giorni lavorativi settimanali, ovvero in ragione di 1/260 nei confronti di
quello che effettua un orario distribuito su 5 giorni lavorativi settimanali,
dell’importo unitario annuo lordo stabilito nella tabelle allegate in base ai
Livelli retributivi e alle Strutture di riferimento ivi indicate;
- che le predette decurtazioni del Premio in ragione delle assenze, ove
già non effettuate sulle anticipazioni corrisposte nell’anno, saranno operate
sul saldo che verrà regolato con lo stipendio del mese di giugno nonché per la
parte residua, ove il predetto saldo non fosse capiente, sugli stipendi dei mesi
successivi, entro il limite mensile di 1/5 degli stipendi medesimi”.
Ed ecco la tabella riassuntiva:
Premio di Risultato
|
RIDUZIONE PER LA MALATTIA (*)
|
fino a 2 eventi =
- 0%
|
pari a
3 eventi = -15% quota regionale
|
tra
4 e 7 eventi = -50%
quota regionale
|
tra 8 e 10 eventi = -100% quota regionale
|
tra
11 e 13 eventi = -50% quota
nazionale regionale
|
superiori = -85% quota nazionale regionale
|
E la successiva visualizzazione
Premio di Risultato
|
BONUS PRESENZA (*)
|
numero eventi giornate di assenza Incentivo
per malattia (*)
|
0 0 € 130,00
|
1 da 1 a 3
gg. € 90,00
|
(*) Sono escluse dal computo:
- le assenze dovute a patologie di particolare gravità
di cui all'art. 41 CCNL;
- Ricoveri ospedalieri, anche in day hospital
adeguatamente documentate, ivi ricomprendendo i periodi di prognosi che vi si
riconnettono.
Insomma, come si nota, presso le
Poste Italiane l’importo del risultato individuale è sostanzialmente prefissato
e la “differenziazione”, nel “pubblico” così perseguita da aver determinato il “mostro”
delle fasce imposte dalla riforma Brunetta e la causa di responsabilità
dirigenziale del dirigente che non differenzia abbastanza, deriva
automaticamente da banali formule aritmetiche, legate a giorni di assenza,
anche dovute a malattia.
Andiamo, adesso, a curiosare in
un comparto un po’ meno vicino, per storia ed abitudini, alla PA: il settore
dei gestori delle autostrade. Che vi sia un sistema più “scientifico” (cit. I
soliti ignoti) di determinazione della produttività? Stando all’articolo 28 del
Ccnl 1 agosto 2013 non si direbbe: “a
tutti i lavoratori in servizio e non in prova la Società corrisponde,
unitamente alle competenze del mese di giugno, un premio annuo pari alla
retribuzione mensile costituita a tale effetto dallo stipendio, dall’indennità
di contingenza, dall’elemento differenziato della retribuzione nonché, per il
personale operante in turni continui e avvicendati, in quanto spettante, dalla
quota forfetizzata per lavoro notturno di cui all’art. 11, punto 10. Ciascuno
degli elementi citati viene corrisposto nella misura in vigore al 30 giugno.
2. Il periodi di
riferimento e 1° luglio-30 giugno.
3. Nel caso di inizio
o cessazione del rapporto di lavoro nel corso del periodo di riferimento il
lavoratore non in prova ha dirotto a tanti dodicesimi del premio annuo quanti
sono i mesi interi di servizio prestato. Le frazioni di mese superiori a 15 giorni
vengono computate come mese intero.
4. Il premio annuo va
computato nel trattamento di fine rapporto.
5. Al personale a
tempo parziale non in prova il premio annuo viene corrisposto sulla base della
retribuzione minima garantita mensile o di 1/12 delle ore effettivamente
lavorate se superiori al minimo. In tal caso il conguaglio viene corrisposto
con il successivo mese di agosto. Ai fini del presente punto non si computano
le ore trasformate in riposi compensativi e confluite nella Banca delle ore di cui
all’art. 12.
6. Nel caso di
passaggio durante il corso dell’anno da tempo parziale a tempo pieno o
viceversa il lavoratore ha diritto ad un premio annuo il cui ammontare sarà
determinato in misura proporzionale al servizio prestato nei due distinti periodi”.
Ciclo della performance? Oiv? Obiettivi
“sfidanti”? Presso le autostrade il premio annuo è, sostanzialmente, un
elemento fisso della retribuzione, forfettario, maturato mensilmente, anche se
assegnato periodicamente. E la differenziazione? Dipende dalla quantità di
assenze dal servizio. Con buona pace degli “aziendalisti” della PA: alle
autostrade hanno altro a cui pensare.
Andiamo, allora, ad un terzo
esempio, di azienda necessariamente più attenta a produzione e vendita perché non
titolare di concessioni sostanzialmente monopolistiche, la Polti. Riportiamo un
lancio in internet de “La Provincia” sul contratto aziendale del 2010: “Il ministro Brunetta ha scelto la strada
della denuncia pubblica del "vizietto" e delle decurtazioni in busta
paga; alla Polti di Bulgarograsso la ricetta contro l'assenteismo è un'altra: un premio in busta paga a chi si ammala
meno. Lo prevede il nuovo contratto aziendale che riguarda i 220 dipendenti
dell'azienda comasca leader in Italia nella produzione di piccoli
elettrodomestici che da tempo deve fare i conti con un tasso di assenze
superiore alla media (8,5% contro il 6%) che sta pregiudicando la produttività.
Ma sul meccanismo di calcolo del bonus il sindacato si è spaccato tanto che
saranno direttamente i lavoratori a dire l'ultima parola. Lunedì è infatti in
programma un referendum sul nuovo contratto il cui esito sarà determinante. La
Fim Cisl, infatti, dopo mesi di incontri per mettere a punto il testo, lo
scorso 23 novembre ha firmato l'ipotesi d'intesa mentre la Fiom Cgil, al
momento del rush finale si è sfilata lasciando lo spazio in bianco in calce al
testo. Un dietro front inaspettato, secondo Alberto Zappa, segretario dei metalmeccanici
della Cisl, che sta creando non poche polemiche. «La Fiom si dovrà assumere la
responsabilità di questa decisione davanti ai lavoratori ed alle lavoratrici -
spiega - Dovrà motivare come e perché ad un certo punto ciò che andava bene due
settimane fa ora non lo è più».
A dividere, come detto, il meccanismo di calcolo del premio legato alle
assenze. In sostanza, si legge nel volantino diffuso ieri dalla Fim nel corso
delle assemblee (oggi toccherà alla Fiom spiegare le proprie ragioni), chi non supererà i 15 giorni a casa
giustificati da regolare certificato di malattia (esclusi infortuni,
ricoveri, permessi ex legge 104, maternità, terapie salvavita) in busta paga a fine anno potrebbe trovarsi
fino a 1800 euro in più. Una cifra che diminuisce in corrispondenza
dell'aumento dei giorni di assenza fino ad azzerasi - e su questo punto è
avvenuta la spaccatura - se si superano
i 60 giorni di malattia. Ieri Zappa e i delegati Fim hanno spiegato ai
lavoratori (la maggioranza donne) i punti qualificanti dell'intesa tra cui
l'ampliamento dei part time (19 orizzontali, il 20% degli addetti alla
produzione) e 5 verticali oltre ad un nuovo sistema di rilevazione e
misurazione della professionalità”.
Come si vede, anche nella
produzione e vendita commerciale, il “privato” non sta a sottilizzare:
predetermina il premio in una cifra annua, uguale per tutti, almeno per
categoria stipendiale e poi alla differenziazione ci si pensa esclusivamente
col passo del gambero della malattia: chi è in salute prende il premio per
intero, che è stato in malattia, oltre a subire il disagio e le decurtazioni
già previste, si vede decurtato anche il premio, sulla base della presunzione
contrattuale che una minore presenza determina una minore produttività
necessariamente (l’articolo 5 del Ccnl 31.7.2009 citato prima sembra
fantascienza del futuro, al confronto).
Si dirà: 220 dipendenti sono
tanti, ma la Polti non è certo la Ferrari. Chissà che sistema di valutazione
avanzato, sofisticato e dettagliato avrà la Ferrari, dunque. Andiamo a
guardare: anticipiamo subito, comunque, che il sistema si basa su tre
indicatori tre, relativi alla sola produttività collettiva, e che il premio
individuale è legato alla presenza (meglio dire, alla minor quantità di
assenze).
Il contratto aziendale prende in
considerazione:
1. il
numero di vetture consegnate alla rete di vendita (almen0 6.200, al di sotto
non scatta nessun premio);
2. il
risultato operativo della gestione ordinaria (almeno 160 milioni, se no zero premio);
3. l’indicatore
gestionale qualità ed affidabilità del prodotto, costituito da eventuali
anomalie sui prodotti, rilevati dai sistemi di controllo.
E come ottengono, i dipendenti,
il premio individuale? Leggiamo il contratto aziendale 2012-2014 (i cui
contenuti sono poi stati sostanzialmente confermati in quello successivo): “Assunto come principio che il Premio di
Competitività del incentivare la produttività individuale e di sistema e non
semplicemente rendicontare i risultati, l’entità del Premio di Competitività
sarà determinata anche sulla base dell’effettiva partecipazione individuale
alla realizzazione dei risultati aziendali, partecipazione misurata dalle ore di non presenza di ciascun lavoratore. Pertanto
l’entità individuale del Premio di Competitività sarà riproporzionata
individualmente tenendo conto delle ore non lavorare rispetto alle ore teoriche
di calendario lavorativo, secondo le tabelle che seguono:
Come si nota, il “privato” è
molto meno affascinato dall’aziendalismo di quanto non lo sia una PA, presa a
complicare gli affari semplici ed a pretendere da se stessa ciò che nel mondo
reale e normale nemmeno si pensa. Non c’è nessun imprenditore serio che possa
nemmeno lontanamente immaginare di perdere tempo, risorse, immaginazione appresso
a sistemi bizantini, complicati, inestricabili di valutazione. Nel privato vi
sono pochissimi indicatori, premi forfettizati e incentivi individuali basati
solo sulla presenza e via così.
E la ragione è chiara: come
detto prima, le imprese debbono concentrarsi su produzione, vendita e
fatturato, non possono disperdersi in arzigogoli senza senso e in spese per Oiv
o similari organismi.
La realtà della vita vissuta,
allora, dimostra come nella PA, rispetto al tema del premio del risultato, sia
sostanzialmente tutto fuori mira, fuori dimensione, bulimico, eccessivo,
costoso, poco utile e, per giunta, fonte di contenzioso e danni erariali, in
realtà autoprodotti proprio dalla follia del sistema.
Non è un caso che, data l’alluvione
di regole ingestibili, non si sia mai riusciti a produrre nemmeno l’ombra di un
sistema di valutazione del risultato agile, semplice e standardizzato. Le
amministrazioni sono state spinte dai soliti “aziendalisti” che hanno lucrato
negli anni sostanziose consulenze per il nulla, ad attivare sistemi
complicatissimi, ma più fumo che arrosto: modi per adempiere ai passaggi
motivazionali richiesti dall’Aran, che se non riscontrati dai servizi ispettivi
del Mef scatenano le ire della Corte dei conti, più che per misurare realmente
e seriamente la produttività. Da qui l’invenzione delle “pagelle”, (che, come si
nota, nel privato aborriscono), con criteri di valutazione individuale surreali,
come “l’orientamento al cliente” o la “disponibilità alla crescita
professionale”.
Eppure, reperire parametri
generali, ma chiari, standard e sintetici per valutare le amministrazioni
sarebbe semplicissimo. Per restare agli enti locali, quali indicatori migliori
di quelli relativi agli enti strutturalmente deficitari potrebbero essere
pensati[1]? Una
spunta su ciascuno e via andare: se non vi sono parametri di deficitarietà, si dia il via libera
al pagamento del risultato, magari anche dando un’occhiata a massimo altri due
indicatori generali, come ad esempio i tempi di pagamento, già monitorati, ed i
tempo medio di conclusione dei procedimenti amministrativi, oltre che il
rispetto delle regole su trasparenza e anticorruzione.
A questo punto, con un simile,
semplicissimo (come quello della Ferrari) sistema di valutazione, potrebbe darsi
un senso alla previsione dell’accordo Governo-sindacati del 30 novembre,
rispetto alla considerazione della presenza come parametro per la produttività.
Potrebbe essere, addirittura, un
atto di consapevolezza della follia dei sistemi immaginati fin qui da leggi e
contratti ed un adeguamento vero ai sistemi privati, molto più semplici e
razionali.
Ma, allora, occorrerebbe
coerenza. Non possono convivere modalità di incentivazione basati sulla
rilevazione delle presenze come strumenti di differenziazione dei premi, e
regole burocratiche e contrattuali tendenti, invece, a vietare totalmente la
considerazione della presenza in servizio quale parametro, tale che in caso
contrario scatti l’ira della Corte dei conti e l’immane contenzioso in atto.
In un comune come quello di
Roma, sepolto da 13 miliardi di debito, con la città nelle condizioni in cui è,
è ammissibile semplicemente pensare, applicando semplici criteri generali come
quelli indicati sopra, di erogare un “premio” di risultato? La risposta sarebbe
semplicissima: no. Non vi sarebbe bisogno di alcun “salva Roma”, né di alcuna
ispezione o sentenza della magistratura contabile.
Sembra, tuttavia, difficile
essere ottimisti e vedere nell’accordo del 30 novembre un atto di maturazione e
consapevolezza del Governo su questi temi. Il pericolo molto più concreto è che
i sindacati riprendano forza per chiedere ed ottenere la presenza in servizio
come parametro di valutazione del risultato, in un quadro normativo e
contrattuale immutato ed incompatibile, dando la stura ad un contenzioso ancora
più tragicamente ampio di quello esistente sul tema.
[1] Si riportano di seguito:
1) Valore negativo del risultato contabile di gestione
superiore in termini di valore assoluto al 5 per cento rispetto alle entrate
correnti (a tali fini al risultato contabile si aggiunge l’avanzo di
amministrazione utilizzato per le spese di investimento);
2) Volume dei residui attivi di nuova formazione
provenienti dalla gestione di competenza e relativi ai titoli I e III, con
l’esclusione delle risorse a titolo di fondo sperimentale di riequilibrio di
cui all’articolo 2 del decreto legislativo n. 23 del 2011 o di fondo di
solidarietà di cui all’articolo 1, comma 380 della legge 24 dicembre 2012 n.
228, superiori al 42 per cento rispetto ai valori di accertamento delle entrate
dei medesimi titoli I e III esclusi gli accertamenti delle predette risorse a
titolo di fondo sperimentale di riequilibrio o di fondo di solidarietà;
3) Ammontare dei residui attivi provenienti dalla
gestione dei residui attivi e di cui al titolo I e al titolo III superiore al
65 per cento, ad esclusione eventuali residui da risorse a titolo di fondo
sperimentale di riequilibrio di cui all’articolo 2 del decreto legislativo n.
23 o di fondo di solidarietà di cui all’articolo 1 comma 380 della legge 24
dicembre 2012 n. 228, rapportata agli accertamenti della gestione di competenza
delle entrate dei medesimi titoli I e III ad esclusione degli accertamenti
delle predette risorse a titolo di fondo sperimentale di riequilibrio o di
fondo di solidarietà;
4) Volume dei residui passivi complessivi provenienti
dal titolo I superiore al 40 per cento degli impegni della medesima spesa
corrente;
5) Esistenza di procedimenti di esecuzione forzata
superiore allo 0,5 per cento delle spese correnti anche se non hanno prodotto
vincoli a seguito delle disposizioni di cui all’articolo 159 del tuoel;
6) volume complessivo delle spese di personale a vario
titolo rapportato al volume complessivo delle entrate correnti desumibili dai
titoli I, II e III superiore al 40 per cento per i comuni inferiori a 5.000
abitanti, superiore al 39 per cento per i comuni da 5.000 a 29.999 abitanti e
superiore al 38 per cento per i comuni oltre i 29.999 abitanti; tale valore è
calcolato al netto dei contributi regionali nonché di altri enti pubblici
finalizzati a finanziare spese di personale per cui il valore di tali contributi
va detratto sia al numeratore che al denominatore del parametro;
7) Consistenza dei debiti di finanziamento non
assistiti da contribuzioni superiore al 150 per cento rispetto alle entrate
correnti per gli enti che presentano un risultato contabile di gestione
positivo e superioreal 120 per cento per gli enti che presentano un risultato
contabile di gestione negativo, fermo restando il rispetto del limite di
indebitamento di cui all’articolo 204 del tuoel con le modifiche di cui di cui
all’art. 8, comma 1 della legge 12 novembre 2011, n. 183, a decorrere dall’1
gennaio 2012;
8) Consistenza dei debiti fuori bilancio riconosciuti
nel corso dell’esercizio superiore all’1 per cento rispetto ai valori di
accertamento delle entrate correnti, fermo restando che l’indice si considera
negativo ove tale soglia venga superata in tutti gli ultimi tre esercizi
finanziari;
9) Eventuale esistenza al 31 dicembre di anticipazioni
di tesoreria non rimborsate superiori al 5 per cento rispetto alle entrate
correnti;
10) Ripiano squilibri in sede di provvedimento di
salvaguardia di cui all’art. 193 del tuoel con misure di alienazione di beni
patrimoniali e/o avanzo di amministrazione superiore al 5% dei valori della
spesa corrente, fermo restando quanto previsto dall’articolo 1, commi 443 e 444
della legge 24 dicembre 2012 n. 228 a decorrere dall’1 gennaio 2013; ove
sussistano i presupposti di legge per finanziare il riequilibrio in più
esercizi finanziari, viene considerato al numeratore del parametro l’intero
importo finanziato con misure di alienazione di beni patrimoniali, oltre che di
avanzo di amministrazione, anche se destinato a finanziare lo squilibrio nei
successivi esercizi finanziari.
Il fondo premiante dovrebbe essere uno per tutta la Funzione Pubblica. Altrimenti una volta stanziato a bilancio si è praticamente obbligati a erogarlo pure quando risultassero tutti fannulloni
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