Le scelte sbagliate ordinamentali, organizzative ed economiche si pagano caro. Per esempio:
- aver lasciato le scuole in edifici spesso cadenti (la gran parte dei quali privi di requisiti antincendio, per dirne solo una), senza ventilazione meccanica;
- aver totalmente disamministrato i trasporti pubblici, tra liberalizzazioni solo teorizzate e mai fatte ed investimenti inesistenti;
- aver minato l'organizzazione territoriale della sanità, riducendo i medici di famiglia e concentrando eccessivamente gli ospedali;
sono state scelte, non casualità, decisioni di macro politica di per sè sbagliate e tanto più erronee in presenza della pandemia, che in un batter di ciglio ha rivelato la gravità e scelleratezza di questo modo di governare e gestire.
Non diversamente scellerata è stata l'intera, gravissima vicenda che a partire dal 2013, col Governo Letta, per poi sublimarsi col Governo Renzi, ha devastato l'ordinamento locale, coinvolgendo le province.
Inutile stare qui a ricordare gli eventi specifici di una riforma ancor più disastrosa di quanto sia scombicchierata, senza nè capo nè coda, carente tecnica organizzativa, legislativa, finanziaria ed economica, adottata solo per compiacere ad una "stampa di inchiesta" capace solo di ukaze immotivati, capaci di fare tanta presa sulle persone, quanto di creare scompiglio e disastri. Un certo tipo di stampa che è esattamente alla radice di quei "populismi" che la stessa stampa, poi, deplora e dice di contrastare, mente invece li alimenta e fomenta.
Inutile, ancora, ricordare l'assurda motivazione che la stessa riforma Delrio enuncia nel suo dipanarsi: "In attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione, le città metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria sono disciplinate dalla presente legge, ai sensi e nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 114 e 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione e ferma restando la competenza regionale ai sensi del predetto articolo 117. I principi della presente legge valgono come principi di grande riforma economica e sociale per la disciplina di città e aree metropolitane da adottare dalla regione Sardegna, dalla Regione siciliana e dalla regione Friuli-Venezia Giulia, in conformità ai rispettivi statuti".
E' stato di una gravità inaudita poter introdurre nell'ordinamento giuridico una legge incidente sull'ordinamento costituzionale con una legge ordinaria a Costituzione invariata ed "in attesa della riforma" di questa. Si è ammesso e consentito l'inversione della logica e delle fonti, ebbri dell'illusione dell'ineluttabilità di una riforma costituzionale ancora peggiore di quella delle province, affondata fortunatamente il 4 dicembre 2016.
Le conseguenze nefaste della sciagurata riforma Delrio si sono manifestate da subito, ma adesso l'onda lunga di quella sciaguratezza presenta un conto ancora maggiore.
Nota Gianni Trovati su Il Sole 24 Ore, con l'articolo "Il paradosso di Province e Città: «strategiche» ma senza soldi" che la dissennata normativa sulle province è un esempio sintetico ma efficace degli errori del sistema politico e legislativo, autore di una crisi e situazione sospesa nel caos che dura e persevera da 8 anni e si fa gravissima, per quanto si tratti di appena un centinaio di enti, ore che c'è da attuare il Pnrr,
Sì, perchè seguendo le puerili "inchieste" sui volumi di spesa delle province ed i "risparmi" (che la Corte dei conti aveva chiarito per tempo essere del tutto inesistenti), il legislatore aveva dimenticato che le funzioni delle province:
- non possono essere sostituite da aggregazioni di comuni (per l'altro, l'esperienza delle unioni è fallimentare in modo tanto imbarazzante quanto mortificante), perchè le funzioni delle province non sono proprie del livello comunale, ma di un sistema sovracomunale;
- dovevano comunque essere esercitate; anche abolendo le province, le funzioni attribuite alla loro competenza fino al 2014 qualche altro ente le avrebbe dovuto svolgere (si pensi al mercato del lavoro, confluito infatti nelle regioni).
Le province (parlare delle città metropolitane, nate morte e senza soldi è poco utile; per altro, la legge Delrio ha subito anche la bacchettata della Consulta per l'ideona di far coincidere il presidente della città metropolitana col sindaco del capoluogo) hanno continuato, ormai senza soldi e personale, a doversi interessare (quanto meno) di oltre 5.000 edifici scolastici per le scuole superiore e dei 130 mila chilometri di strade. Un patrimonio immenso e di importanza strategica, che ha rischiato di andare letteralmente a pezzi, come i moltissimi incidenti causati dalla chiusura dei rubinetti della manutenzione post legge Delrio ha dimostrato.
Il Pnrr, tuttavia, non poteva certo mancare di incidere proprio sulle scuole superiore e sulla rete stradale provinciale, come leva necessaria del tentativo di rilancio.
Però, grazie all'incosciente riforma del 2014, titolari degli interventi sono enti, le province, devastate sul piano organizzativo e con buchi di bilancio per quasi un miliardo.
Il piano di 5.000 assunzioni circa in un triennio è un pannicello caldo, per un sistema che di dipendenti ne ha persi d'improvviso oltre 30.000.
Così come lo stop alla riforma dell'ordinamento locale, causato dalla caduta del Governo che non ha fatto in tempo a portare in porto l'iniziativa di legge delega di modifica del Tuel contenente un capitolo specifico per le province, non è per nulla un vulnus, nonostante le lamentazioni dell'unione delle province.
Quel disegno di riforma del Tuel è un'accozzaglia raccogliticcia di minuti interventi di poca qualità ed efficacia, incentrati soprattutto sul tentativo di creare uno scudo di impunibilità per i sindaci e poco altro. Sulle province, invece di correggere il tiro ed azzerare totalmente lo scempio della Delrio, si era scelta una riforma ancora cervellotica e insensata, mirante a conservare comunque qualcosa del disastro del 2014, come se di esso vi fosse qualcosa da poter salvare.
Giusto, come fa Trovati, ricordare quindi l'esempio della riforma delle province quale archetipo di un modo di legiferare da dimenticare e mai più ripetere.
Non è, però, possibile fermarsi a questa osservazione. Un disastro di tale portata ha la firma precisa dei soggetti ai quali è da ascrivere la responsabilità precisa della sua attuazione: non solo Delrio, la mano che, insieme ad un gruppo di consulenti ben noti, ha scritto la deleteria riforma, ma anche coloro che hanno premuto per questa riforma, a partire da Monti (la sua riforma, concepita in modo anche in quel caso sommario e inefficace dall'allora ministro Patroni Griffi non ebbe modo, però, di passare, causa caduta anticipata del Governo) a Letta, per passare a Renzi, col sostegno per altro unanime di forze politiche "di sistema" ed "antisistema", come per esempio i 5S, al traino delle "inchieste di stampa".
E ricordiamo che l'intervento, confermatosi deleterio, sulle province ha anche un'altra firma, apposta in una lettera. Leggiamo un passaggio di quella lettera: "Incoraggiamo inoltre il Governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese. Negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l’uso di indicatori di performance (soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell’istruzione). C’è l’esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province). Andrebbero rafforzate le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali".
Quella lettera è datata 5 agosto 2011; di seguito le firme:
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