“– Error, conditio, votum, cognatio, crimen, Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas, Si sis affinis,… – cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita.
– Si piglia gioco di me?- interruppe il giovine
– Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?”. (A.
Manzoni, I promessi sposi).
Quando non si ha molto da dire, ma si vuole sviare il tema e confondere; oppure, quando il poco che si ha da dire lo si vuol rendere enfatico e roboante, non c’è migliore scelta di ricorrere al caro vecchio “latinorum”.
Oggi, il nostro latinorum è l’inglese, in particolare se il
tema da trattare riguarda la pubblica amministrazione e la gestione dei
dipendenti pubblici.
Da decenni immani sforzi per introdurre nozionismi del New
Public Management (e si scusi il latinorum) e cascami di un aziendalismo che
nelle aziende non esiste e si ritrova solo in pensosi “paper” sulle metodologie
organizzative nella PA.
Un vuoto spinto, che negli anni ha prodotto solo caos e
formalismi. In particolare proprio in uno degli aspetti più delicati del
rapporto di lavoro: la definizione delle attività e delle mansioni.
Le PA da sempre non sono capaci di andare molto oltre titoli
o lemmi che non significano nulla, come istruttore amministrativo, funzionario
contabile, operatore di macchine complesse.
Declaratorie vuote, che evidenziano il vero vuoto: la
conoscenza dei compiti svolti dai lavoratori. Un vuoto di conoscenza
particolarmente spinto nel mondo degli enti locali, anche perché molti di essi
hanno pochissimi dipendenti e sottilizzare sulla specifica descrizione del
lavoro non ha senso pratico. Nei fatti, con soli 5, 10 anche 30 dipendenti è un
po’ un tutti fanno tutto, salvo incompatibilità marcate (il tecnico che non si
occupa di tributi – ma non è detto – il giuridico che non fa il Rup – ma non è
detto – il contabile che non fa l’agente di PM – ma anche qui, non è detto).
Dunque le Linee di indirizzo per l’individuazione deinuovi fabbisogni professionali da parte delle amministrazioni pubbliche,
approvate con decreto interministeriale del Ministro delle finanze (ma perché?)
e della Pubblica amministrazione 22.7.2022, non potevano sfuggire alla cortina
fumogena del latinorum, visto che si interessano di un tema trattato da sempre utilizzando
consulenti provenienti dal mondo accademico, molto bravi nel produrre studi e
teorie, quanto palesemente estranei all’operatività concreta.
Leggendo le 37 pagine (pesanti e prolisse) delle Linee
guida, il latinorum aziendalese dilaga:
mission
competency based
civil service
toolkit
human capital intensive
employer branding
human resources management
competency-based organizations
competency-based human resource management
framework
job profile
job holder
gap
policy design
leadership
policy
marketing
governance
job descriptions
libraries
engagement
soft skill
case study
problem solving
team
job family modeling
digital skills
people management
hard skills
technical skills
panel
turnover
assessment center
in-tray
in-basket
role-play
manager
project manager
Per commentare brevemente le linee guida, ci si potrebbe
fermare qui, basterebbe ed avanzerebbe questo elenco (dal quale, incredibilmente,
manca la parola stakeholder, ahi, ahi).
Qualche ulteriore considerazione, tuttavia, non può che essere
fatta. Si resta abbastanza attoniti nell’assistere ad analisi sul
"capitale umano" stantie e vecchie di decenni, come il trito
riferimento al “sapere”, “saper fare”, “saper essere”.
Un metodo per legittimare a valle la discutibile scelta,
operata col d.l. 80/2021 per la dirigenza, e il d.l. 36/2022 per le qualifiche,
estendere in modo ampio e discrezionale la valutazione dei concorsi basata
sulla profilazione di “esperti di selezione”: un metodo astrattamente interessante,
che rischia seriamente di rendere i concorsi terra di conquista dell’individuazione
ad personam del vincitore, grazie alla valutazione psicoattitudinale che potrà
cambiare le sorti della graduatoria; la “spintarella” mascherata e nobilitata
dalla valutazione delle “soft skills”.
Se è vero, come rilevato sopra, che la PA non sa descrivere
i lavori, altrettanto discutibile è l’insistenza delle Linee guida verso figure
iperspecialistiche, molte delle quali davvero frutto della fantasia di chi
scrive simili documenti come fossero relazioni o tesi conclusive di master. La
figura, per esempio, del “Responsabile di e-procurement”. Ma, chi ha scritto
questa suggestione, sa cosa sia l’e-procurement? Ha chiaro che nella PA si
applica il codice dei contratti e le connesse regole, che con l’e-procurement
non hanno nulla a che vedere se non la casuale coincidenza dell’utilizzo di
strumenti digitali?
E come non restare attoniti nel leggere che occorre “spostare
l’attenzione da cosa viene fatto (mansioni e attività) a come vengono svolti i
compiti e a quali conoscenze, capacità tecniche e comportamentali – e di quale
profondità e ampiezza - siano indispensabili al loro svolgimento ottimale”?
Prego? Una PA avviluppata nel problema gravissimo proprio di non sapere “cosa
viene fatto” tanto da non essere capace di gestire il lavoro agile (realizzabile
solo se si hanno chiari i risultati dei compiti assegnati ai lavoratori),
dovrebbe “spostare l’attenzione al “come”?
E quanto è davvero sostenibile il modello delle camere di
commercio, proposto come ipotesi da estendere?
Non risulta chiaro che i passaggi 2) e soprattutto 3)
descritti sopra sono frutto dello svolgimento dell’attività lavorativa, dell’esperienza
in campo e non possono avere molto a che vedere con la descrizione del lavoro
ai fini del reclutamento?
E, soprattutto, ditelo e fatelo fare a comuni con pochi dipendenti
di frammentare i profili, per dotarsi del mitico data analyst, figura
certamente tanto necessaria in astratto, quanto pochissimo indispensabile per
le necessità dei piccoli comuni.
Per quanto non manchino indicazioni interessanti, come il
glossario ed alcuni spunti per il raggruppamento delle attività in famiglie
professionali e la distinzione tra profilo di ruolo e profilo di competenza,
ancora una volta sembra di essere di fronte ad un Leviatano, l’ennesimo – per restare
al latinorum evocato dal Consiglio di stato a proposito del Piao – layer of
beurocracy, un diluvio di idee assemblate da studiosi nella torre d’avorio,
che al più produrrà adempimenti, ulteriori studi e riflessioni, lasciando la PA
ancora nella sua incapacità di capire cosa facciano i propri dipendenti, come
misurare quel che fanno, come raggrupparlo in profili chiari e spendibili per
un reclutamento efficace.
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