venerdì 6 ottobre 2023

Il "caso" della disapplicazione del decreto migranti disposta dal giudice di Catania visto da una prospettiva diversa: i danni dello spoil system

 Premessa: per quanto gli articoli della Costituzione sulla libertà di manifestazione del pensiero e di riunirsi fondino diritti che valgono per tutti, giudici compresi e per quanto anche il diritto alla riservatezza e, dunque, di non essere ripresi se non previe dovute informazioni del trattamento, durante manifestazioni pubbliche, valga per tutti, giudici compresi, sul piano dell'opportunità è certo da ritenere non adeguata la presenza del giudice di Catania a manifestazioni marcatamente contrarie a politiche governative sulla migrazione. Specie se poi esprime atti e sentenze in quell'ambito.

Ciò non perchè post di facebook o l'esercizio di libertà costituzionali possa minimamente inficiare elementi per altro non misurabili, come l'imparzialità, bensì perchè è bene per i giudici non prestare il fianco alla più pretestuosa delle polemiche: quella che non valuta il merito tecnico del provvedimento adottato, ma porta a scavare su idee, comportamenti, ed atteggiamenti personale totalmente irrilevanti (come i calzini azzurri), che conducono completamente fuori strada.

Ma, il caso dell'ordinanza del giudice di Catania che ha disapplicato il decreto del Governo sui migranti viene guardato in questi giorni sotto una luce ed una prospettiva che meritano di essere osservati da un'angolazione opposta.

Fin qui, il grosso della polemica si incentra sulla ricerca di prove sulla presunta non imparzialità e sulle scelte di vita privata del magistrato, nonchè su letture totalmente travisate dell'ordinanza, come l'invenzione assolutamente infondata che essa avrebbe qualificato la Tunisia Paese non sicuro: basta leggere il testo del provvedimento per capire che ciò non sia vero.

Proprio modificando il punto di vista, occorrerebbe prendere atto che qualsiasi sia il punto di vista del giudice sul piano socio-politico, l'ordinanza adottata è un atto tecnico giuridico ed opinioni sull'operato del giudice stesso andrebbero espresso in base ad una valutazione tecnico giuridica dell'ordinanza.

Sarebbe interessante, cioè, una valutazione critica dei suoi contenuti, un esame della correttezza di quanto disposto in relazione alle norme che regolano la materia.

D'altra parte, proprio perchè la giustizia è opera comunque dell'uomo e in quanto tale fallibile e nessuno pensa che i giudici agiscono ex cathedra esprimendo verità assolute, esistono i gradi di giudizio, come occasione appunto per approfondire sul piano tecnico le questioni e poter, eventualmente, ribaltare del tutto le conclusioni cui giungano i giudici di prime cure.

Per ora, risulta che siano almeno 3 i giudici pervenuti alle stesse conclusioni, ritenendo il decreto del Governo da disapplicare perchè contrario alla normativa europea. Il Governo ha tutte le possibilità di chiedere ed ottenere alla Cassazione di decidere in senso opposto.

Ma, sempre nell'ottica dell'inversione dei termini della questione, si ponga che la Cassazione, invece, confermi l'ordinanza. Se andasse così, risulterebbe evidente che il problema non consiste nella parzialità o imparzialità di questo o quel giudice, bensì nell'attestazione che sarebbe il Governo autore della prodizione di una norma affetta da un grave errore tecnico.

Ora, il Governo gode della piena discrezionalità di fissare e quindi perseguire l'indirizzo politico. Poichè, però, viviamo in uno Stato di diritto, anche il Governo è soggetto alla legge, così come gli atti che produce: si chiama principio di legalità. Un principio, oltre tutto, che non opera più entro i confini dello Stato, ma si estende all'ordinamento della UE. In pochi hanno notato che l'articolo 117, comma 1, della Costituzione determina l'immediata operatività nell'ordinamento interno: "La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". Lo Stato esercita la potestà legislativa attraverso il Parlamento, ma il Governo da molti anni ad avere il monopolio dell'iniziativa attraverso una continua decretazione d'urgenza che vincola non poco Camera e Senato. Ebbene, lo Stato deve produrre leggi, decreti, regolamenti ed atti normativi che si presuppongono legittimi, ma dotati dei requisiti di legittimità tali da superare il vaglio di legittimità costituzionale o, nel caso delle materie regolate anche da regolamenti, direttive e trattati internazionali, il vaglio dei giudici ordinari, ai fini dell'eventuale disapplicazione se contrari alle regole internazionali e comunitarie (disapplicazione che è obbligatoria non solo per i giudici, ma anche per qualsiasi autorità amministrativa, come stabilito da anni dalla Corte costituzionale).

Allora, se è legittimo che una maggioranza spinga perchè gli atti normativi abbiano un determinato contenuto conforme ad un certo indirizzo, altrettanto lecito è aspettarsi che poi le strutture amministrative a servizio della maggioranza e soprattutto del Governo, preposte ad istruire gli atti e predisporli (o c'è qualcuno che crede che le leggi siano scritte direttamente da ministri e parlamentari?) assicurino la legittimità del loro contenuto. Legittimità che non discende, però, dalla circostanza che la norma provenga da una maggioranza "democraticamente eletta". L'elezione legittima ogni maggioranza ed ogni governo a legiferare esprimendo il già citato indirizzo politico; purtroppo, però, non costituisce scudo alcuno contro illegittimità dovute a violazioni della Costituzione o di norme internazionali, sempre perchè vige il principio di legalità, proprio di uno Stato di diritto. Altrimenti, si vivrebbe in una forma di stato nella quale gli organi di governo risulterebbero "assoluti", cioè sciolti dal rispetto delle leggi, come nelle antiche monarchie antecedenti i "moti" ottocenteschi.

Se gli organi tecnici al servizio del Governo per predisporre sul piano tecnico gli atti normativi operano ritenendo davvero che basti l'elezione per ammantare di legittimità insindacabile ognuno di tali atti normativi, non facendo null'altro che adeguarsi acriticamente ed atecnicamente ai desiderata degli organi di governo, ma poi vari giudici e vari gradi di giudizio evidenzino errori tecnici che conducono ad illegittimità costituzionali o a disapplicazioni, allora il vero nucleo del problema non sta - evidentemente - in chi esercita la funzione giurisdizionale e in un presunto scontro politica-magistratura, bensì nel rapporto insano tra organi di governo e maggioranza politica ed apparati tecnici, supini o impreparati, sì da produrre atti che si rivelino illegittimi.

E' il gravissimo problema dello spoil system e della convinzione, molto profonda anche nei livelli territoriali locali di governo, che le strutture tecniche debbano essere "di fiducia", allineate politicamente alle maggioranze, disposte sempre e comunque a gestire e produrre atti sempre e solo in linea con l'indicazione del "politico eletto", a nulla valendo il principio di legalità.

Un problema, questo, ben più grave di qualsiasi scontro vero o presunto tra politica e magistratura, perchè in tal modo si inquina la vita di ogni giorno e di ogni cittadino, condizionando le decisioni inerenti la sfera personale di ciascuno alle appartenenze, alle tessere, ai voti dati. Per altro, con la possibilità che il "merito" di cui si parla tanto sia misurato non rispetto alla capacità di produrre atti oltre che efficaci legittimi (ma, nessun atto, se illegittimo, quindi soggetto a varie forme di caducazione, può essere efficace), bensì alla supina predisposizione ad obbedire ad indicazioni a costo anche di trasfonderle in atti erronei, nella convinzione che sia questa predisposizione la base per fare carriera.

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