martedì 10 ottobre 2023

La disapplicazione delle leggi contrastanti con le direttive Ue autoesecutive. Cosa c'è da sapere che colpevolmente i media ignorano o omettono.

 Per tutti i “giureconsulti” che restano sorpresi dalla disapplicazione del decreto Cutro da parte dei giudici ordinari, sarebbe un po’ il caso di approfondire e conoscere le norme giuridiche e la giurisprudenza connessa.

In primo luogo, dovrebbero dare una piccola lettura all’articolo 117, comma 1, della Costituzione: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

Si tratta di una previsione di una chiarezza estrema. Il Legislatore, tanto statale, quanto regionale, è obbligato ad approvare leggi:

1)      che siano rispettose della Costituzione;

2)      che siano, anche, rispettose dei vincoli derivanti dalle norme internazionali, discendenti da varie fonti: trattati e, nel caso della Ue, anche regolamenti e direttive.

In entrambi i casi, le leggi dello Stato (e delle regioni) contrarie alle fonti indicate dall’articolo 117 della Costituzione si espongono alla valutazione di legittimità in sede di giudizio.

Ma, i percorsi giuridici da seguire per la decisione in merito alla costituzionalità delle leggi o del loro rispetto dei vincoli dell’ordinamento comunitario sono totalmente diversi, come diversi sono gli esiti.

Nel caso di questioni di costituzionalità, il giudice non può decidere autonomamente che una norma di legge sia illegittima: valuta la domanda incidentalmente posta da una delle parti posta a sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma, sulla base della considerazione che tale questione risulti non manifestamente infondata e rilevante ai fini del processo sotto la propria cognizione. Il giudice può anche sollevare di propria iniziativa la questione di legittimità costituzionale, sempre a seguito della rilevazione della rilevanza e non manifesta infondatezza. A quel punto, il giudizio si interrompe, finchè non intervenga la sentenza della Corte Costituzionale (molti pensano che la Corte Costituzionale esprima “pareri”: no, decide con sentenze) che, laddove accolga la questione e dichiari incostituzionale una norma, sortisce l’effetto della sua abrogazione erga omnes: la norma si considera come totalmente eradicata dall’ordinamento e mai esistita (fatti salvi solo eventuali diritti acquisiti in fattispecie antecedenti totalmente concluse). Tutti, quindi, cittadini, autorità amministrative, giudici, non potranno mai più applicare la norma dichiara incostituzionale.

Nel caso, invece, del rapporto tra leggi e norme frutto dei vincoli discendenti dal Trattato Ue, è da sapere che le principali fonti della Ue sono i regolamenti e le direttive. I primi, sebbene siano denominati “regolamenti” sono vere e proprie leggi, immediatamente operanti e incidenti sull’ordinamento giuridico di tutta la comunità e degli Stati membri.

Le direttive, invece, lasciano modo e tempo agli Stati membri di adottare proprie leggi di attuazione. Qualora le direttive fissino un termine perché gli Stati adeguino i propri ordinamenti alle previsioni in esser fissate, oppure contengano precetti così dettagliati da non lasciare spazio ad un diverso assetto normativo disposto dagli Stati membri, esse sono qualificate come “autoesecutive”.

In questo caso, le direttive costituiscono veri e propri diritti soggettivi nei confronti di tutti, persone fisiche e giuridiche, diritti tutelabili davanti al giudice nazionale ordinario. Non occorre in alcun modo il coinvolgimento della Corte costituzionale.

La costante giurisprudenza tanto europea[1] che nazionale[2] da lunghissimo tempo, per rendere attuali e concreti i diritti soggettivi costituiti dalle direttive europee autoesecutive, stabilisce che  tutti gli organi competenti a dare esecuzione alle leggi, tutti, autorità amministrative e giudici (ordinari, amministrativi e contabili) sono obbligati, hanno cioè il dovere, di non dare applicazione alle disposizioni di legge nazionali che si rivelino contrarie alle norme europee, conculcando o limitando i diritti soggettivi da queste costitutivi.

Dunque, la rilevazione del contrasto tra norma di diritto interno e direttiva europea non è competenza esclusiva del giudice, ma anche di ogni altra autorità amministrativa.

In quanto ai giudici, essi non debbono, quindi, sollevare alcuna questione di legittimità costituzionale, perché sono chiamati a garantire il diritto soggettivo regolato e fondato dalla direttiva europea: qualora la norma italiana contrasti con essa, allora, il giudice nei propri atti disapplica la norma di diritto interno e accerta la necessaria applicazione della norma europea.

Non trattandosi di una decisione sulla legittimità costituzionale della norma di diritto interno in rapporto alla Costituzione, ma piuttosto della decisione sulla necessità di applicare la norma europea invece di quella interna, la norma interna non subisce l’effetto dell’abolizione erga omnes proprio delle sentenze della Consulta. La disapplicazione opera, infatti, solo nell’ambito degli specifici rapporti giuridici presi in considerazione dai singoli giudici e dalle singole autorità amministrative. Ecco perché sul decreto Cutro le pronunce giurisdizionali che lo disapplicano sono molteplici.

S’è detto prima che anche le autorità amministrative debbono disapplicare norme interne contrarie alle direttive autoesecutive. Ma, prima ancora, deve essere il Legislatore a rispettare in vincoli dell’ordinamento comunitario.

Allora, la questione, nel caso del decreto Cutro, ma anche in ogni altro caso, non è legata all’operato dei giudici che, disapplicando le norme, sorprendono solo coloro che non conoscono le regole dei rapporti tra fonti del diritto, bensì alla capacità del Legislatore di adottare leggi che non contrastino con i vincoli dell’ordinamento comunitario.

Allo scopo, il Legislatore dovrebbe, quindi, avvalersi di approfondite e corrette istruttorie degli organi tecnici a disposizione, volte ad evidenziare se la norma da approvare risulti effettivamente esente da difformità con l’ordinamento comunitario.

Quando i giudici (o le autorità amministrative) disapplicano leggi interne per contrasto con le direttive comunitarie, il problema non è la disapplicazione dei giudici: il problema è la qualità delle leggi.

 

[1] Ex multis CGUE 22.06.1989, Causa 103/88, Fratelli Costanzo SpA contro Comune di Milano.

[2] Ex multis Cons. Stato, sez. V 6 aprile 1991, n. 452, Corte cost., (ud. 04-07-1989) 11-07-1989, n. 389.

 

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