Per tutti i “giureconsulti” che restano sorpresi dalla disapplicazione del decreto Cutro da parte dei giudici ordinari, sarebbe un po’ il caso di approfondire e conoscere le norme giuridiche e la giurisprudenza connessa.
In primo luogo, dovrebbero dare una piccola lettura all’articolo
117, comma 1, della Costituzione: “La potestà legislativa è esercitata dallo
Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
Si tratta di una previsione di una chiarezza estrema. Il
Legislatore, tanto statale, quanto regionale, è obbligato ad approvare leggi:
1) che
siano rispettose della Costituzione;
2) che
siano, anche, rispettose dei vincoli derivanti dalle norme internazionali,
discendenti da varie fonti: trattati e, nel caso della Ue, anche regolamenti e
direttive.
In entrambi i casi, le leggi dello Stato (e delle regioni)
contrarie alle fonti indicate dall’articolo 117 della Costituzione si espongono
alla valutazione di legittimità in sede di giudizio.
Ma, i percorsi giuridici da seguire per la decisione in
merito alla costituzionalità delle leggi o del loro rispetto dei vincoli dell’ordinamento
comunitario sono totalmente diversi, come diversi sono gli esiti.
Nel caso di questioni di costituzionalità, il giudice non
può decidere autonomamente che una norma di legge sia illegittima: valuta la
domanda incidentalmente posta da una delle parti posta a sollevare la questione
di legittimità costituzionale della norma, sulla base della considerazione che
tale questione risulti non manifestamente infondata e rilevante ai fini del
processo sotto la propria cognizione. Il giudice può anche sollevare di propria
iniziativa la questione di legittimità costituzionale, sempre a seguito della
rilevazione della rilevanza e non manifesta infondatezza. A quel punto, il
giudizio si interrompe, finchè non intervenga la sentenza della Corte
Costituzionale (molti pensano che la Corte Costituzionale esprima “pareri”: no,
decide con sentenze) che, laddove accolga la questione e dichiari
incostituzionale una norma, sortisce l’effetto della sua abrogazione erga omnes:
la norma si considera come totalmente eradicata dall’ordinamento e mai esistita
(fatti salvi solo eventuali diritti acquisiti in fattispecie antecedenti
totalmente concluse). Tutti, quindi, cittadini, autorità amministrative,
giudici, non potranno mai più applicare la norma dichiara incostituzionale.
Nel caso, invece, del rapporto tra leggi e norme frutto dei
vincoli discendenti dal Trattato Ue, è da sapere che le principali fonti della
Ue sono i regolamenti e le direttive. I primi, sebbene siano denominati “regolamenti”
sono vere e proprie leggi, immediatamente operanti e incidenti sull’ordinamento
giuridico di tutta la comunità e degli Stati membri.
Le direttive,
invece, lasciano modo e tempo agli Stati membri di adottare proprie leggi di
attuazione. Qualora le direttive fissino un termine perché gli Stati adeguino i
propri ordinamenti alle previsioni in esser fissate, oppure contengano precetti
così dettagliati da non lasciare spazio ad un diverso assetto normativo
disposto dagli Stati membri, esse sono qualificate come “autoesecutive”.
In questo caso, le direttive costituiscono veri e propri
diritti soggettivi nei confronti di tutti, persone fisiche e giuridiche,
diritti tutelabili davanti al giudice nazionale ordinario. Non occorre in alcun
modo il coinvolgimento della Corte costituzionale.
La costante giurisprudenza tanto europea[1] che nazionale[2] da lunghissimo tempo, per rendere attuali e concreti i
diritti soggettivi costituiti dalle direttive europee autoesecutive, stabilisce
che tutti gli organi competenti a dare esecuzione alle leggi, tutti,
autorità amministrative e giudici (ordinari, amministrativi e contabili) sono
obbligati, hanno cioè il dovere, di non dare applicazione alle disposizioni
di legge nazionali che si rivelino contrarie alle norme europee, conculcando o
limitando i diritti soggettivi da queste costitutivi.
Dunque, la rilevazione del contrasto tra norma di diritto
interno e direttiva europea non è competenza esclusiva del giudice, ma anche di
ogni altra autorità amministrativa.
In quanto ai giudici, essi non debbono, quindi, sollevare
alcuna questione di legittimità costituzionale, perché sono chiamati a
garantire il diritto soggettivo regolato e fondato dalla direttiva europea:
qualora la norma italiana contrasti con essa, allora, il giudice nei propri
atti disapplica la norma di diritto interno e accerta la necessaria
applicazione della norma europea.
Non trattandosi di una decisione sulla legittimità costituzionale
della norma di diritto interno in rapporto alla Costituzione, ma piuttosto
della decisione sulla necessità di applicare la norma europea invece di quella
interna, la norma interna non subisce l’effetto dell’abolizione erga omnes
proprio delle sentenze della Consulta. La disapplicazione opera, infatti, solo
nell’ambito degli specifici rapporti giuridici presi in considerazione dai
singoli giudici e dalle singole autorità amministrative. Ecco perché sul
decreto Cutro le pronunce giurisdizionali che lo disapplicano sono molteplici.
S’è detto prima che anche le autorità amministrative debbono
disapplicare norme interne contrarie alle direttive autoesecutive. Ma, prima
ancora, deve essere il Legislatore a rispettare in vincoli dell’ordinamento
comunitario.
Allora, la questione, nel caso del decreto Cutro, ma anche
in ogni altro caso, non è legata all’operato dei giudici che, disapplicando le
norme, sorprendono solo coloro che non conoscono le regole dei rapporti tra fonti
del diritto, bensì alla capacità del Legislatore di adottare leggi che non
contrastino con i vincoli dell’ordinamento comunitario.
Allo scopo, il Legislatore dovrebbe, quindi, avvalersi di
approfondite e corrette istruttorie degli organi tecnici a disposizione, volte
ad evidenziare se la norma da approvare risulti effettivamente esente da
difformità con l’ordinamento comunitario.
Quando i giudici (o le autorità amministrative) disapplicano
leggi interne per contrasto con le direttive comunitarie, il problema non è la
disapplicazione dei giudici: il problema è la qualità delle leggi.
[1] Ex multis CGUE 22.06.1989, Causa
103/88, Fratelli Costanzo SpA contro Comune di Milano.
[2] Ex multis Cons. Stato, sez. V 6 aprile 1991, n. 452, Corte cost., (ud. 04-07-1989) 11-07-1989, n. 389.
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