Per quanto oggettivamente non valga molto la pena di diffondersi nell’interpretazione di una proposta di riforma costituzionale talmente rabberciata ed approssimativa come quella del cosiddetto “premierato”, qualche considerazione minimale è possibile.
Articolo 1
(Modifica dell’articolo 59 della Costituzione)
Il secondo comma dell’articolo 59
della Costituzione è abrogato.
L’esordio della proposta di riforma consiste
nell’abolizione dell’articolo 59, comma 2, della Costituzione, che prevede: “Il
Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno
illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico,
artistico e letterario”.
Si tratta di una norma figlia un
retaggio antichissimo, il potere del re di nominare direttamente componenti
della “camera alta”, transitato fino alla Costituzione repubblicana, che ha
conservato, con modifiche rilevantissime e limiti numerici molto stringenti, un
simile potere nel Presidente della Repubblica.
Lo scopo della nomina dei senatori a
vita è dare lustro a concittadini che a loro volta hanno illustrato la Patria,
potendoli mettere nelle condizioni di contribuire, con la loro altissima
esperienza di vita, alle riflessioni ed agli approfondimenti necessari in una
camera che adotta leggi in rappresentanza del popolo.
Lo scopo dell’abolizione di tale potere?
E’ evidentemente quello di scongiurare “ribaltoni” o “governi tecnici”.
Brucia, per così dire, ancora la nomina
a senatore a vita di Mario Monti, che fu il preludio alla fine del governo
Berlusconi in piena ondata di crisi economica e spread impazzito, sostituito
proprio da Monti.
L’idea che si è fatta una certa parte
della politologia è che i senatori a vita possano dare un contributo fattivo ai
“ribaltoni” o alla conservazione oltre misura di maggioranze in crisi
(esperienza del secondo governo Prodi).
Sul piano strettamente
costituzionalistico l’attribuzione al Presidente della Repubblica del potere di
nominare senatori a vita non ha uno specifico rilievo: nulla vieta che tale
potere resti.
Tuttavia, come sempre, si guarda il dito,
invece della Luna. A parte che nel Senato restano come senatori a vita gli ex Capi
dello Stato (quindi, non è vero che si eliminano tutti i senatori a vita, ma
solo quelli di nomina presidenziale), la questione dei “ribaltoni” non è certo
connessa ad i senatori a vita, bensì ad un’accettazione passiva di un modo di
interpretare come prassi costituzionali corrette evidenti esondazioni degli
ultimi Capi dello Stato.
La nomina di senatori a vita di per sé sarebbe
neutra: se, invece, la si finalizza a precisi scopi politici, come la formazione
di nuove maggioranze al posto di una uscente, per quanto in crisi, non è l’istituto
il problema, bensì l’uso distorto dell’istituto. Distorsione che nessuno ha sostanzialmente
criticato.
Articolo 2
(Modifica dell’articolo 88 della Costituzione)
Al primo comma dell’articolo 88 della
Costituzione sono soppresse le parole “o anche una sola di esse”.
Altra abolizione proposta, riguarda l’articolo
88, comma 1, che trascriviamo evidenziando l’eliminazione delle parole
indicate: “Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti,
sciogliere le Camere o anche una sola di esse”.
L’intento è acclarare che una crisi di
Governo cui consegua l’impossibilità di creare una nuova maggioranza, sia l’intero
Parlamento e, dunque, entrambe le camere, a dover essere sciolto, evitando che
lo scioglimento possa coinvolgere solo una delle camere.
L’ipotesi dello scioglimento di una sola
camera non si è mai verificata, sicchè la proposta di riforma non andrebbe
incidere in modo particolare sulla situazione di fatto.
Per altro verso, tuttavia, da anni si
sentono critiche, spesso anche molto fondate, contro il “bicameralismo perfetto”
proprio del nostro ordinamento.
L’articolo 88, comma 1, della
Costituzione è una delle poche disposizioni volte a rendere il bicameralismo
non così “perfetto”: però, lo si intende abolire…
Articolo 3
(Modifica dell’art. 92 della Costituzione)
L’articolo 92 della Costituzione è
sostituito dal seguente:
“Il Governo della Repubblica è
composto dal Presidente del Consiglio e dai Ministri, che costituiscono insieme
il Consiglio dei Ministri.
Il Presidente del Consiglio è eletto
a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni. Le votazioni per
l’elezione del Presidente del Consiglio e delle Camere avvengono tramite
un’unica scheda elettorale. La legge disciplina il sistema elettorale delle
Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che un
premio assegnato su base nazionale garantisca ai candidati e alle liste
collegati al Presidente del Consiglio dei Ministri il 55 per cento dei seggi
nelle Camere. Il Presidente del Consiglio dei Ministri è eletto nella Camera
nella quale ha presentato la sua candidatura.
Il Presidente della Repubblica
conferisce al Presidente del Consiglio dei Ministri eletto l’incarico di
formare il Governo e nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i
Ministri.”.
E’ la proposta di maggiore impatto,
volta appunto a creare il “premierato”, cioè quel tipo di ordinamento nel quale
la figura centrale del Governo è il premier, meglio scrivere il Presidente del
Consiglio dei Ministri, il cui potere e la cui influenza sono particolarmente
rafforzati dall’elezione diretta a suffragio universale.
E’ bene confrontare il testo attualmente
vigente della Costituzione, con la proposta, nella seguente tabella:
Articolo
92 Cost. vigente |
Art.
92 Cost nella proposta di riforma |
Il
Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei
Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il
Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri
e, su proposta di questo, i Ministri. |
Il
Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e dai
Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il
Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la
durata di cinque anni. Le votazioni per l’elezione del Presidente del
Consiglio e delle Camere avvengono tramite un’unica scheda elettorale. La
legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di
rappresentatività e governabilità e in modo che un premio assegnato su base
nazionale garantisca ai candidati e alle liste collegati al Presidente del
Consiglio dei Ministri il 55 per cento dei seggi nelle Camere. Il Presidente
del Consiglio dei Ministri è eletto nella Camera nella quale ha presentato la
sua candidatura. Il
Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio dei
Ministri eletto l’incarico di formare il Governo e nomina, su proposta del
Presidente del Consiglio, i Ministri. |
E’ evidente che il modello è il frusto “sindaco
d’Italia”. Una ricerca di “verticalizzazione” del potere, basata sul culto
della persona e della personalità e col potenziale effetto deflagrante di
certificare il totale ed assoluto distacco tra chi è chiamato al Governo e la funzione
di formazione dell’indirizzo politico da parte dei partiti, come intermediazione
dei corpi sociali. Certo, l’elezione diretta desta l’impressione che la
rappresentatività sia salvaguardata: ma si tratta appunto di una facciata che
intende nascondere la sublimazione della personificazione del potere, già da troppo
tempo condizionato da partiti-azienda o personali. Domani, con questa riforma,
non sarà nemmeno necessario alcun partito: una stampa favorevole, un insieme di
sostenitori danarosi, visibilità nei talk show potranno assicurare quel Truman
Show tale da portare all’elezione diretta senza alcuna necessità di confronto
con partiti e società.
Se tutto ciò si aggiunge ad un Parlamento
ancora prevalentemente composto da “nominati” a causa delle deleterie leggi
elettorali vigenti, con la riduzione dei parlamentari a fedelissimi senza
spirito critico, la verticalizzazione è completa.
Al di là del bassissimo contributo che
un Parlamento simile può dare, a svuotarlo concorrono due elementi. Il primo:
il costante ricorso a decreti legge sui quali il Governo pone la fiducia; il
secondo: la tecnica normativa che lascia le leggi sempre più vuote, intrise di
rimandi a successivi regolamenti, decreti ed atti attuativi del Governo.
Un Presidente del Consiglio eletto
direttamente non farebbe che accentuare ulteriormente questi caratteri
deteriori sempre più evidenti.
Per tornare al “sindaco d’Italia”, chi
conosce la disciplina degli enti locali, sa che l'effetto di svuotamento degli
organi rappresentativi si è compiuto da tempo. I consigli comunali non contano
praticamente nulla. Si riuniscono di rado, per lo più per la disciplina
generale delle aliquote e delle tariffe (complici le folli leggi tributarie),
qualche regolamento e piani urbanistici.
Il resto, tutto il resto, è competenza
del sindaco o della giunta, che è tutta espressione del sindaco stesso, che la
nomina.
I sindaci dispongono di un potere
fortissimo, monocratico, per altro, a causa delle sciagurate leggi Bassanini e
della riforma del Titolo V, senza alcun controllo preventivo. Non è un caso che
poteri così assoluti, sciolti da necessari contrappesi e controlli, sfocino in
ordinanze assurde, come quelle conosciute al tempo del Covid.
Al livello amministrativo e di enti locali
la cosa può anche andare in parte bene, dal momento che non si fa politica, ma
appunto si amministra, con scelte dirette alla soluzione di problemi
estremamente concreti.
Ma, laddove si forma un indirizzo
politico, talvolta anche su temi etici (testamento biologico, procreazione
assistita, etc) o sui diritti, la cosa assume aspetti delicatissimi.
La contestuale eliminazione di una
camera e l'accentramento dei poteri nel "Sindaco d'Italia" senza i
contrappesi, dei quali nessuno pare preoccuparsi, apre la strada al conducador
"illuminato". Ma, il giorno che si spenga la luce, il passo verso
l'autoritarismo è brevissimo.
Al di là di queste questioni, pur
fondamentali, non si può comunque fare a meno di notare la tecnica normativa di
bassissima qualità e caotica.
La proposta di riforma, infatti, tratta
nel medesimo articolo 92 l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei
Ministri e l’elezione nelle Camere, mischiando materie tra loro totalmente
estranee.
La sede ove trattare l’elezione nelle Camere
sarebbe negli articoli tra 56 e 58 della Costituzione, facenti parte della
Sezione I, del Titolo I della Parte II, ove si tratta appunto delle Camere.
L’articolo 92, invece, fa parte del Titolo
III, che riguarda il Governo e della Sezione I, che comprende il Consiglio dei Ministri:
nulla che possa e debba avere a che fare con l’elezione di deputati e senatori.
Accanto alla tecnica normativa
approssimativa e profondamente erronea, la norma si segnala poi perché eleva a
livello di regola costituzionale una materia, la legge elettorale, propria
invece del potere normativo ordinario, poiché è da lasciare al Parlamento la
valutazione dell’evoluzione della rappresentatività, da trasfondere in leggi
elettorali evolutive.
Nel merito, poi, introdurre in Costituzione,
la Carta degli equilibri, del buon andamento, della parità di condizioni, una previsione
assolutamente parossistica e discriminatoria come il premio di maggioranza, è
una ferita inaccettabile.
Il premio è previsto per i candidati e
alle liste collegati al Presidente del Consiglio dei Ministri: si costituzionalizza,
così, il “codazzo” di anime morte, inseriti nelle liste sempre su base di
potere verticale ed “eletti” per il trascinamento della votazione su base
personalizzata del Presidente del Consiglio dei Ministri.
E’ chiaro l’intento di fare in modo di
evitare una scomoda convivenza tra un Presidente del Consiglio espressione di
una certa forza politica ed un Parlamento magari prevalentemente composto da
partiti con idee opposte.
Ma, il vulnus insanabile è insufflare
questa dose di “premierato” in un sistema costituzionale di carattere
parlamentare, ove è il Parlamento al centro, in quanto unico organo di diretta
rappresentanza del corpo elettorale. Un sistema pensato in modo che fosse il
Presidente della Repubblica a formare il Governo, avendo accertato quale
maggioranza parlamentare lo possa sostenere e nel quale è la fiducia che il
Parlamento assicura al Governo la fonte di legittimazione dell’azione di quest’ultimo.
L’elezione diretta del premier finisce
inevitabilmente per svilire quasi del tutto le funzioni del Presidente della Repubblica,
a quel punto privato di ogni rilevanza nella formazione del Governo e della
maggioranza: il premio del 55% assicura comunque in modo automatico la maggioranza,
per altro annullando ogni principio di equa compartecipazione dei cittadini al
voto.
Il premio appare oggettivamente
sproporzionato ed eccessivo e può consentire il parossismo di premiare con una
maggioranza schiacciante una lista che nemmeno arrivi a rappresentare il 30%
complessivo del corpo elettorale.
Qualcosa di molto vicino ad ogni
tipologia di “lege truffa” e che evidenzia il retrogusto di un frutto acerbo,
come la legge Acerbo.
A completamento del caos, delle
incoerenze e degli errori “grammaticali” la previsione secondo la quale il
Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio dei Ministri
eletto l’incarico di formare il Governo e nomina, su proposta del Presidente
del Consiglio, i Ministri.
Si conserva in capo al Presidente della Repubblica
un potere a quel punto solo formale e formalistico, privo di qualsiasi
contenuto e sostanzialmente svilente: la figura istituziuonale del Capo dello
Stato viene ridotta a semplice segretariato di concetto, formale.
Articolo 4
(Modifica dell’art. 94 della Costituzione)
All’articolo 94 della Costituzione
sono apportate le seguenti modifiche:
A)
Il terzo comma è sostituito dal seguente:
“Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per
ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non venga approvata la mozione di fiducia
al Governo presieduto dal Presidente eletto, il Presidente della Repubblica
rinnova l’incarico al Presidente eletto di formare il Governo. Qualora anche
quest’ultimo non ottenga la fiducia delle Camere, il Presidente della
Repubblica procede allo scioglimento delle Camere.”;
B)
dopo l’ultimo comma è aggiunto il seguente: “In caso di cessazione dalla carica del Presidente del
Consiglio, il Presidente delle Repubblica può conferire l’incarico di formare
il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare
eletto in collegamento al Presidente eletto, per attuare le dichiarazioni
relative all'indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo
del Presidente eletto ha chiesto la fiducia delle Camere.”
L’articolo 4
del disegno di legge di riforma della Costituzione prosegue nell’illogicità, nelle
sgrammaticature, nel caos.
Intende modificare,
infatti, l’articolo 94, comma 3, della Costituzione:
1.
trasformando la “fiducia” da fondamentale esercizio del
potere del Parlamento di sostenere un Governo che dal Parlamento stesso emana,
in un mero atto anch’esso solo formalistico: l’elezione diretta del “premier” dovrebbe
comportare la conseguenza inevitabile di scindere il rapporto di fiducia tra Parlamento,
non coinvolto nella formazione della maggioranza, e Governo.
Il voto di fiducia diviene poco più che l’opera di robot eterocomandati.
Qualora i “nominati” trascinati in Parlamento dall’effetto votazione del
premier, del resto, dovessero riservare qualche scherzo, basterebbe un richiamo
all’ordine: ad una prima fiducia non assegnata, dovrebbe conseguire, infatti,
un secondo voto di fiducia.
Non è chi non veda l’assurdità di tale previsione: si conserva l’istituto della
fiducia, totalmente incompatibile con l’elezione diretta del Presidente del
Consiglio, ma di fatto la si svuota. Perché il Governo, sostanzialmente
automaticamente derivante dalle elezioni, si consideri sfiduciato occorrono ben
3 votazioni.
Né si dà alcuna chance al Parlamento (in una Repubblica parlamentare!) di
provare a formare una nuova maggioranza e al Presidente della Repubblica di
esercitare le prerogative connesse: alla terza bocciatura del Governo l’unica
soluzione è il ritorno al voto;
2.
svilisce ulteriormente le funzioni del Presidente della
Repubblica e del Parlamento, ridotti ad automi privati di qualsiasi intervento
volto ad incidere a garanzia del funzionamento delle istituzioni.
Il nuovo comma
che la proposta intenderebbe introdurre nell’articolo 94, poi, è un capolavoro
di insensatezza giuridica.
La norma
contempla la possibilità della cessazione dalla carica del Presidente del
Consiglio. Tale eventualità può essere collegata a molteplici circostanze: al di
là di vicende biologiche della vita, le cause di cessazioni possono essere
molteplici, ma l’esperienza insegna che nella gran parte dei casi esse sono di
natura politica: le maggioranze, le coalizioni e le stesse correnti interne
alle liste del premier non sempre sono tetragone ed unitarie. Nulla può
escludere che lo stuolo di eletti sulla scia del Presidente del Consiglio per
qualsiasi ragione ritengano di abbandonarlo per strada.
Coerenza con un
sistema di elezione diretta vorrebbe che a quel punto si ritorni alle urne.
Invece, la norma di fatto, così come congegnata, istituzionalizza quel che a
parole la riforma vorrebbe evitare, cioè gli “intrighi di Palazzo”. Basta una bella
congiura ben congegnata contro il premier, eletto dai cittadini, per defenestrarlo,
ma imporre ai cittadini la permanenza di quella maggioranza eletta sull’onda
del premier cessato, magati ritrovando al posto di questo il protagonista delle
trame volte a cacciarlo.
Un palese
tradimento al legame che la riforma vorrebbe creare tra “premier eletto” e
corpo elettorale, costretto a vedere al posto dell’eletto un altro.
Il tutto, giustificato
da una previsione tanto altisonante, quanto palesemente inefficace e solo
retorica: attuare comunque le dichiarazioni relative all'indirizzo politico e
agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha chiesto
la fiducia delle Camere. Come se i programmi di Governo fossero, da un lato, vincolanti,
sempre rispettati e in ogni caso non condizionati da fattori esterni (eppure
non è troppo lontana l’esperienza della pandemia, della guerra in Ucraina,
della crisi in Medio Oriente, degli shock energetici, delle crisi economiche
degli strumenti finanziari, per citarne solo alcuni).
Insomma, una
riforma disastrosa, che se approvata ed applicata probabilmente rivelerebbe molti
altri aspetti di parossistica inefficacia e di sudamericanizzazione.
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