domenica 5 novembre 2023

Premierato: tutte le sgrammaticature, tutti i vulnus, tutte le incoerenze, tutti i difetti di una riforma della Costituzione micidiale.

Per quanto oggettivamente non valga molto la pena di diffondersi nell’interpretazione di una proposta di riforma costituzionale talmente rabberciata ed approssimativa come quella del cosiddetto “premierato”, qualche considerazione minimale è possibile.

Articolo 1

(Modifica dell’articolo 59 della Costituzione)

Il secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione è abrogato.

 

L’esordio della proposta di riforma consiste nell’abolizione dell’articolo 59, comma 2, della Costituzione, che prevede: “Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”.

Si tratta di una norma figlia un retaggio antichissimo, il potere del re di nominare direttamente componenti della “camera alta”, transitato fino alla Costituzione repubblicana, che ha conservato, con modifiche rilevantissime e limiti numerici molto stringenti, un simile potere nel Presidente della Repubblica.

Lo scopo della nomina dei senatori a vita è dare lustro a concittadini che a loro volta hanno illustrato la Patria, potendoli mettere nelle condizioni di contribuire, con la loro altissima esperienza di vita, alle riflessioni ed agli approfondimenti necessari in una camera che adotta leggi in rappresentanza del popolo.

Lo scopo dell’abolizione di tale potere? E’ evidentemente quello di scongiurare “ribaltoni” o “governi tecnici”.

Brucia, per così dire, ancora la nomina a senatore a vita di Mario Monti, che fu il preludio alla fine del governo Berlusconi in piena ondata di crisi economica e spread impazzito, sostituito proprio da Monti.

L’idea che si è fatta una certa parte della politologia è che i senatori a vita possano dare un contributo fattivo ai “ribaltoni” o alla conservazione oltre misura di maggioranze in crisi (esperienza del secondo governo Prodi).

Sul piano strettamente costituzionalistico l’attribuzione al Presidente della Repubblica del potere di nominare senatori a vita non ha uno specifico rilievo: nulla vieta che tale potere resti.

Tuttavia, come sempre, si guarda il dito, invece della Luna. A parte che nel Senato restano come senatori a vita gli ex Capi dello Stato (quindi, non è vero che si eliminano tutti i senatori a vita, ma solo quelli di nomina presidenziale), la questione dei “ribaltoni” non è certo connessa ad i senatori a vita, bensì ad un’accettazione passiva di un modo di interpretare come prassi costituzionali corrette evidenti esondazioni degli ultimi Capi dello Stato.

La nomina di senatori a vita di per sé sarebbe neutra: se, invece, la si finalizza a precisi scopi politici, come la formazione di nuove maggioranze al posto di una uscente, per quanto in crisi, non è l’istituto il problema, bensì l’uso distorto dell’istituto. Distorsione che nessuno ha sostanzialmente criticato.

 

 

Articolo 2

(Modifica dell’articolo 88 della Costituzione)

Al primo comma dell’articolo 88 della Costituzione sono soppresse le parole “o anche una sola di esse”.

 

Altra abolizione proposta, riguarda l’articolo 88, comma 1, che trascriviamo evidenziando l’eliminazione delle parole indicate: “Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse”.

L’intento è acclarare che una crisi di Governo cui consegua l’impossibilità di creare una nuova maggioranza, sia l’intero Parlamento e, dunque, entrambe le camere, a dover essere sciolto, evitando che lo scioglimento possa coinvolgere solo una delle camere.

L’ipotesi dello scioglimento di una sola camera non si è mai verificata, sicchè la proposta di riforma non andrebbe incidere in modo particolare sulla situazione di fatto.

Per altro verso, tuttavia, da anni si sentono critiche, spesso anche molto fondate, contro il “bicameralismo perfetto” proprio del nostro ordinamento.

L’articolo 88, comma 1, della Costituzione è una delle poche disposizioni volte a rendere il bicameralismo non così “perfetto”: però, lo si intende abolire…

 

 

Articolo 3

(Modifica dell’art. 92 della Costituzione)

L’articolo 92 della Costituzione è sostituito dal seguente:

“Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e dai Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri.

Il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni. Le votazioni per l’elezione del Presidente del Consiglio e delle Camere avvengono tramite un’unica scheda elettorale. La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio assegnato su base nazionale garantisca ai candidati e alle liste collegati al Presidente del Consiglio dei Ministri il 55 per cento dei seggi nelle Camere. Il Presidente del Consiglio dei Ministri è eletto nella Camera nella quale ha presentato la sua candidatura.

Il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio dei Ministri eletto l’incarico di formare il Governo e nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i Ministri.”.

 

E’ la proposta di maggiore impatto, volta appunto a creare il “premierato”, cioè quel tipo di ordinamento nel quale la figura centrale del Governo è il premier, meglio scrivere il Presidente del Consiglio dei Ministri, il cui potere e la cui influenza sono particolarmente rafforzati dall’elezione diretta a suffragio universale.

E’ bene confrontare il testo attualmente vigente della Costituzione, con la proposta, nella seguente tabella:

Articolo 92 Cost. vigente

Art. 92 Cost nella proposta di riforma

Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri.

Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri.

Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e dai Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri.

Il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni. Le votazioni per l’elezione del Presidente del Consiglio e delle Camere avvengono tramite un’unica scheda elettorale. La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio assegnato su base nazionale garantisca ai candidati e alle liste collegati al Presidente del Consiglio dei Ministri il 55 per cento dei seggi nelle Camere. Il Presidente del Consiglio dei Ministri è eletto nella Camera nella quale ha presentato la sua candidatura.

Il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio dei Ministri eletto l’incarico di formare il Governo e nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i Ministri.

 

E’ evidente che il modello è il frusto “sindaco d’Italia”. Una ricerca di “verticalizzazione” del potere, basata sul culto della persona e della personalità e col potenziale effetto deflagrante di certificare il totale ed assoluto distacco tra chi è chiamato al Governo e la funzione di formazione dell’indirizzo politico da parte dei partiti, come intermediazione dei corpi sociali. Certo, l’elezione diretta desta l’impressione che la rappresentatività sia salvaguardata: ma si tratta appunto di una facciata che intende nascondere la sublimazione della personificazione del potere, già da troppo tempo condizionato da partiti-azienda o personali. Domani, con questa riforma, non sarà nemmeno necessario alcun partito: una stampa favorevole, un insieme di sostenitori danarosi, visibilità nei talk show potranno assicurare quel Truman Show tale da portare all’elezione diretta senza alcuna necessità di confronto con partiti e società.

Se tutto ciò si aggiunge ad un Parlamento ancora prevalentemente composto da “nominati” a causa delle deleterie leggi elettorali vigenti, con la riduzione dei parlamentari a fedelissimi senza spirito critico, la verticalizzazione è completa.

Al di là del bassissimo contributo che un Parlamento simile può dare, a svuotarlo concorrono due elementi. Il primo: il costante ricorso a decreti legge sui quali il Governo pone la fiducia; il secondo: la tecnica normativa che lascia le leggi sempre più vuote, intrise di rimandi a successivi regolamenti, decreti ed atti attuativi del Governo.

Un Presidente del Consiglio eletto direttamente non farebbe che accentuare ulteriormente questi caratteri deteriori sempre più evidenti.

Per tornare al “sindaco d’Italia”, chi conosce la disciplina degli enti locali, sa che l'effetto di svuotamento degli organi rappresentativi si è compiuto da tempo. I consigli comunali non contano praticamente nulla. Si riuniscono di rado, per lo più per la disciplina generale delle aliquote e delle tariffe (complici le folli leggi tributarie), qualche regolamento e piani urbanistici.

Il resto, tutto il resto, è competenza del sindaco o della giunta, che è tutta espressione del sindaco stesso, che la nomina.

I sindaci dispongono di un potere fortissimo, monocratico, per altro, a causa delle sciagurate leggi Bassanini e della riforma del Titolo V, senza alcun controllo preventivo. Non è un caso che poteri così assoluti, sciolti da necessari contrappesi e controlli, sfocino in ordinanze assurde, come quelle conosciute al tempo del Covid.

Al livello amministrativo e di enti locali la cosa può anche andare in parte bene, dal momento che non si fa politica, ma appunto si amministra, con scelte dirette alla soluzione di problemi estremamente concreti.

Ma, laddove si forma un indirizzo politico, talvolta anche su temi etici (testamento biologico, procreazione assistita, etc) o sui diritti, la cosa assume aspetti delicatissimi.

La contestuale eliminazione di una camera e l'accentramento dei poteri nel "Sindaco d'Italia" senza i contrappesi, dei quali nessuno pare preoccuparsi, apre la strada al conducador "illuminato". Ma, il giorno che si spenga la luce, il passo verso l'autoritarismo è brevissimo.

Al di là di queste questioni, pur fondamentali, non si può comunque fare a meno di notare la tecnica normativa di bassissima qualità e caotica.

La proposta di riforma, infatti, tratta nel medesimo articolo 92 l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri e l’elezione nelle Camere, mischiando materie tra loro totalmente estranee.

La sede ove trattare l’elezione nelle Camere sarebbe negli articoli tra 56 e 58 della Costituzione, facenti parte della Sezione I, del Titolo I della Parte II, ove si tratta appunto delle Camere.

L’articolo 92, invece, fa parte del Titolo III, che riguarda il Governo e della Sezione I, che comprende il Consiglio dei Ministri: nulla che possa e debba avere a che fare con l’elezione di deputati e senatori.

Accanto alla tecnica normativa approssimativa e profondamente erronea, la norma si segnala poi perché eleva a livello di regola costituzionale una materia, la legge elettorale, propria invece del potere normativo ordinario, poiché è da lasciare al Parlamento la valutazione dell’evoluzione della rappresentatività, da trasfondere in leggi elettorali evolutive.

Nel merito, poi, introdurre in Costituzione, la Carta degli equilibri, del buon andamento, della parità di condizioni, una previsione assolutamente parossistica e discriminatoria come il premio di maggioranza, è una ferita inaccettabile.

Il premio è previsto per i candidati e alle liste collegati al Presidente del Consiglio dei Ministri: si costituzionalizza, così, il “codazzo” di anime morte, inseriti nelle liste sempre su base di potere verticale ed “eletti” per il trascinamento della votazione su base personalizzata del Presidente del Consiglio dei Ministri.

E’ chiaro l’intento di fare in modo di evitare una scomoda convivenza tra un Presidente del Consiglio espressione di una certa forza politica ed un Parlamento magari prevalentemente composto da partiti con idee opposte.

Ma, il vulnus insanabile è insufflare questa dose di “premierato” in un sistema costituzionale di carattere parlamentare, ove è il Parlamento al centro, in quanto unico organo di diretta rappresentanza del corpo elettorale. Un sistema pensato in modo che fosse il Presidente della Repubblica a formare il Governo, avendo accertato quale maggioranza parlamentare lo possa sostenere e nel quale è la fiducia che il Parlamento assicura al Governo la fonte di legittimazione dell’azione di quest’ultimo.

L’elezione diretta del premier finisce inevitabilmente per svilire quasi del tutto le funzioni del Presidente della Repubblica, a quel punto privato di ogni rilevanza nella formazione del Governo e della maggioranza: il premio del 55% assicura comunque in modo automatico la maggioranza, per altro annullando ogni principio di equa compartecipazione dei cittadini al voto.

Il premio appare oggettivamente sproporzionato ed eccessivo e può consentire il parossismo di premiare con una maggioranza schiacciante una lista che nemmeno arrivi a rappresentare il 30% complessivo del corpo elettorale.

Qualcosa di molto vicino ad ogni tipologia di “lege truffa” e che evidenzia il retrogusto di un frutto acerbo, come la legge Acerbo.

A completamento del caos, delle incoerenze e degli errori “grammaticali” la previsione secondo la quale il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio dei Ministri eletto l’incarico di formare il Governo e nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i Ministri.

Si conserva in capo al Presidente della Repubblica un potere a quel punto solo formale e formalistico, privo di qualsiasi contenuto e sostanzialmente svilente: la figura istituziuonale del Capo dello Stato viene ridotta a semplice segretariato di concetto, formale.

 

Articolo 4

(Modifica dell’art. 94 della Costituzione)

All’articolo 94 della Costituzione sono apportate le seguenti modifiche:

A)    Il terzo comma è sostituito dal seguente: “Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non venga approvata la mozione di fiducia al Governo presieduto dal Presidente eletto, il Presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente eletto di formare il Governo. Qualora anche quest’ultimo non ottenga la fiducia delle Camere, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere.”;

B)     dopo l’ultimo comma è aggiunto il seguente: “In caso di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio, il Presidente delle Repubblica può conferire l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento al Presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all'indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha chiesto la fiducia delle Camere.”

 

L’articolo 4 del disegno di legge di riforma della Costituzione prosegue nell’illogicità, nelle sgrammaticature, nel caos.

Intende modificare, infatti, l’articolo 94, comma 3, della Costituzione:

1.       trasformando la “fiducia” da fondamentale esercizio del potere del Parlamento di sostenere un Governo che dal Parlamento stesso emana, in un mero atto anch’esso solo formalistico: l’elezione diretta del “premier” dovrebbe comportare la conseguenza inevitabile di scindere il rapporto di fiducia tra Parlamento, non coinvolto nella formazione della maggioranza, e Governo. 
Il voto di fiducia diviene poco più che l’opera di robot eterocomandati. Qualora i “nominati” trascinati in Parlamento dall’effetto votazione del premier, del resto, dovessero riservare qualche scherzo, basterebbe un richiamo all’ordine: ad una prima fiducia non assegnata, dovrebbe conseguire, infatti, un secondo voto di fiducia.     
Non è chi non veda l’assurdità di tale previsione: si conserva l’istituto della fiducia, totalmente incompatibile con l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, ma di fatto la si svuota. Perché il Governo, sostanzialmente automaticamente derivante dalle elezioni, si consideri sfiduciato occorrono ben 3 votazioni.     
Né si dà alcuna chance al Parlamento (in una Repubblica parlamentare!) di provare a formare una nuova maggioranza e al Presidente della Repubblica di esercitare le prerogative connesse: alla terza bocciatura del Governo l’unica soluzione è il ritorno al voto;

2.       svilisce ulteriormente le funzioni del Presidente della Repubblica e del Parlamento, ridotti ad automi privati di qualsiasi intervento volto ad incidere a garanzia del funzionamento delle istituzioni.

Il nuovo comma che la proposta intenderebbe introdurre nell’articolo 94, poi, è un capolavoro di insensatezza giuridica.

La norma contempla la possibilità della cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio. Tale eventualità può essere collegata a molteplici circostanze: al di là di vicende biologiche della vita, le cause di cessazioni possono essere molteplici, ma l’esperienza insegna che nella gran parte dei casi esse sono di natura politica: le maggioranze, le coalizioni e le stesse correnti interne alle liste del premier non sempre sono tetragone ed unitarie. Nulla può escludere che lo stuolo di eletti sulla scia del Presidente del Consiglio per qualsiasi ragione ritengano di abbandonarlo per strada.

Coerenza con un sistema di elezione diretta vorrebbe che a quel punto si ritorni alle urne. Invece, la norma di fatto, così come congegnata, istituzionalizza quel che a parole la riforma vorrebbe evitare, cioè gli “intrighi di Palazzo”. Basta una bella congiura ben congegnata contro il premier, eletto dai cittadini, per defenestrarlo, ma imporre ai cittadini la permanenza di quella maggioranza eletta sull’onda del premier cessato, magati ritrovando al posto di questo il protagonista delle trame volte a cacciarlo.

Un palese tradimento al legame che la riforma vorrebbe creare tra “premier eletto” e corpo elettorale, costretto a vedere al posto dell’eletto un altro.

Il tutto, giustificato da una previsione tanto altisonante, quanto palesemente inefficace e solo retorica: attuare comunque le dichiarazioni relative all'indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha chiesto la fiducia delle Camere. Come se i programmi di Governo fossero, da un lato, vincolanti, sempre rispettati e in ogni caso non condizionati da fattori esterni (eppure non è troppo lontana l’esperienza della pandemia, della guerra in Ucraina, della crisi in Medio Oriente, degli shock energetici, delle crisi economiche degli strumenti finanziari, per citarne solo alcuni).

 

Insomma, una riforma disastrosa, che se approvata ed applicata probabilmente rivelerebbe molti altri aspetti di parossistica inefficacia e di sudamericanizzazione.

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