Scrive Dario Di Vico sul Corriere della sera di oggi che bene fa Monti a diffidare della concertazione, esercizio passatista al quale si appella il sindacato, soprattutto la Cgil, per riprodurre veti e riti che hanno ingessato la politica e l'economia.
I sindacati hanno certamente molte colpe: la prima di cercare un collateralismo (e non è stata certo la Cgil protagonista di ciò) con la politica, per braccare consenso, cariche, nomine.
Tuttavia, forse a Monti e al Corriere della sera sfugge un dato essenziale: dal 1993, data di apertura del metodo della concertazione e della moderazione salariale, i redditi da lavoro dipendente sono praticamente rimasti fermi. Non si può certo imputare ai sindacati e ai lavoratori di aver creato una spesa insostenibile. È vero, sulle pensioni i sindacati molte volte hanno alzato le barricate. È altrettanto vero, però, che in Italia pensioni e famiglia hanno supplito a uno stato sociale arretratissimo, senza sussidi alle famiglie, senza asili nido, con un sistema di protezione dalla disoccupazione da terzo mondo.
L'Italia le spese pazze, che non si può più permettere, non le ha certo indirizzate, mai, a famiglia e sociale, mentre le ingenti spese sul lavoro spesso hanno tenuto in piedi aziende decotte e permesso ai privati di lucrare con provvidenze pubbliche.
Forse, allora, ascoltare le ragioni dei sindacati, ma anche degli enti locali, cioè i rappresentanti dei ceti colpiti violentemente dalla manovra finanziaria spacciata per spending review e cercare di orientarla verso target diversi era un imperativo.
Monti, col decreto sulle presunte ma inesistenti liberalizzazioni, ha dato molto ascolto, dai tassisti agli assicuratori. E per cancellare le province, ma senza essere capace di evidenziare da tale decisione un centesimo di risparmio, ha dato molto ascolto al populismo facile di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo.
Quando a Monti la concertazione piace, mostra di avere orecchie acutissime per sentire. E per tentare la strada della ricandidatura. Che gli piace moltisissimo....
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