sabato 27 ottobre 2012

Caso #Parma. Cortocircuito tra politica e gestione

Luigi Oliveri

 

I rapporti tra dirigenza e organi politici di governo continuano a costituire un problema ed a prestarsi a letture ed interpretazioni controverse.

Negli scorsi giorni sui quotidiani è apparsa la notizia che un dirigente del comune di Parma ha approvato, con una determina, l’incarico per la progettazione preliminare per la progettazione preliminare del secondo stralcio funzionale della “Via Emilia bis”, all’insaputa e “contro la volontà” del Sindaco e, nel suo complesso, del Movimento 5 Stelle.

Per la verità, i quotidiani hanno qualificato erroneamente l’incarico come “consulenza”: frutto della comprensibilissima poca conoscenza, nella stampa non specializzata, delle per la verità complicate e bizantine regole sugli affidamenti dei servizi e delle consulenze.

Il punto centrale, tuttavia, è un altro. Gli amministratori del comune, affermando di aver appreso della determina “solo dai giornali” hanno inteso porre rimedio avviando “un’indagine interna”.

I cortocircuiti di questo episodio sono tantissimi e sono riconducibili essenzialmente a due aspetti fondamentali:

a)                  la sostanziale mancanza di consapevolezza, da parte degli organi di governo, delle responsabilità discendenti da obbligazioni contratte e delle modalità per programmare e condurre le attività di un ente locale;

b)                 l’assenza di controlli esterni di legittimità e anche di merito.

Andiamo al primo tema. Non affrontiamo, inizialmente, il tema – comunque rilevante – del modo col quale il provvedimento dirigenziale giunge a motivare l’affidamento dell’incarico.

Ciò che rileva immediatamente è il “conflitto” tra giunta del comune di Parma ed il dirigente, scaturente dalla “mancanza di informazione”.

E’ un ritornello davvero molto frequente nelle amministrazioni locali e, forse, non solo. Spesso la giunta o singoli assessori affermano di “non essere stati preavvisati” dell’adozione di determinati provvedimenti.

E’ il richiamo della foresta verso tempi passati, nei quali la funzione di programmazione e controllo si fondeva con quella gestionale, a tal punto che persino ferie e permessi dei dipendenti erano oggetto di deliberazioni delle giunte.

Una commistione del tutto confliggente con i principi posti direttamente dall’articolo 97, commi 1 e 2, della Costituzione, attuati con la legge le legge 142/1990, la legge 241/1990, il d.lgs 29/1993 prima ed il d.lgs 165/2001, poi ed un’infinita giurisprudenza. La funzione politica deve essere separata da quella gestionale. La parte politica ha tutto il diritto di esprimere il proprio indirizzo e di elaborare programmi operativi ad esso ispirati, in modo da orientare la successiva gestione che deve rispettarli, con l’intento di raggiungere i risultati ivi previsti.

Ma la gestione per giungere ai risultati stabiliti è:

a)      vincolata da norme, contratti ed obbligazioni;

b)      autonoma nella scelta della strada da percorrere, purchè legittima, rispondente al fine e le risorse allo scopo movimentate siano correttamente spese.

Il sistema di congiunzione di due apparati separati, gli organi di governo e la dirigenza, è dato dai programmi e dalle modalità del controllo sui risultati.

Non esiste alcun potere degli organi politici di ingerirsi nelle scelte operative affidate alla funzione gestionale, né di pretendere informative preventive sulle decisioni da adottare. Si ricreerebbero i meccanismi di invasione della sfera gestionale, da parte della politica, che la normativa da oltre 20 anni ha inteso eliminare.

Non si deve, tuttavia, dimenticare che negli enti locali la politica non dispone di quella particolare libertà nei fini dell’agire, di cui dispone, invece la politica in Parlamento. Spesso si dimentica che gli enti locali “amministrano”, non esercitano la funzione legislativa, ma esecutiva, sia pure con una rilevante autonomia.

Gli organi di governo non formano le leggi, vi si assoggettano, come debbono rispettare contratti, obbligazioni, regolamenti, norme di ogni altro genere.

Tra queste, anche quelle che regolano i rapporti tra politica e gestione, troppo spesso travalicate e violate mediante incarichi a contratto a “dirigenti di fiducia”, attribuiti proprio allo scopo di rompere la membrana di separazione che vuole la legge.

Prevedere una “indagine interna” sull’adozione della determina, alla luce delle considerazioni svolte e della normativa, è totalmente privo di legittimità e di senso.

Gli organi di governo non dispongono di poteri di “indagine” ed influenza sulla gestione. Si indaga su cosa? Sul nulla.

Non esiste nessun potere, legittimo, di travalicare il confine tra politica e gestione. L’organo di governo con la sua “indagine” non potrebbe né riformare, né pretendere la riforma del provvedimento, che se avvenisse solo per quel motivo, risulterebbe illegittimo. Perché sarebbe un modo per aggirare l’impianto normativo e rendere solo nella forma dirigenziale una volontà che sarebbe, invece, della politica.

Né sindaco, giunta ed assessori possono pensare di incidere sull’attività gestionale solo sulla base dell’espressione di una volontà politica.

Perfettamente legittimo che il Movimento 5 Stelle avversi questa o quell’opera e che non intenda realizzarla.

Tuttavia, non basta enunciare questi intenti in campagna elettorale o sulla stampa. Per fermare un treno amministrativo in corsa ci vuole altro.

Il provvedimento dirigenziale avversato dalla giunta comunale di Parma richiama un accordo con la provincia, dal quale discendono una serie di obbligazioni ed altri provvedimenti che hanno anche specificato il modo di adempiere.

Il provvedimento adottato, dunque, è esclusivamente frutto dell’obbligo di attuare previsioni, accordi e programmazioni vigenti, che hanno anche determinato impegni di risorse finanziarie.

Non c’è bisogno di stupirsi per l’adozione di un provvedimento di tal genere. C’è solo da attendere quando esso venga adottato.

Per evitare che esso sopravvenga, come detto sopra, l’enunciazione politica non serve a nulla. Il dirigente e la struttura amministrativa sono tenuti ad eseguire gli accordi, come del resto anche gli organi di governo, a pena di pesanti responsabilità amministrative ed erariali.

La giunta, invece di rimanere inerte e trasecolare di fronte ad un atto solo dovuto, poteva e doveva agire in altro modo: col programma di governo adottato in consiglio, col Piano esecutivo di gestione. Ma non prima di aver valutato la vincolatività degli accordi presi e le conseguenze derivanti dall’inadempimento, civilistiche e finanziarie.

Insomma, per rivedere una programmazione di un accordo di programma occorre modificare l’accordo, non rimanere colpiti per l’adozione di provvedimenti.

La giunta poteva e doveva intervenire subito, fornendo indicazioni precise con gli strumenti della programmazione e dell’indirizzo rituali, invece di cadere dalle nuvole ed attivare inutili indagini interne.

Il secondo aspetto, tuttavia, quello dell’assenza di sistemi di controllo, esterni, giammai interni, è altrettanto rilevante.

Di certo, non conoscendo a fondo la vicenda connessa all’opera pubblica controversa, si resta colpiti dalla circostanza che l’accordo tra comune e provincia risale al 2006 e che, dunque, ben dopo 6 anni si giunga all’assegnazione dell’incarico del progetto preliminare: il che vale a dire che l’opera è ancora lontanissima dall’essere realizzata.

Ci saranno stati senz’altro una serie di motivi, che comunque dai provvedimenti non traspaiono.

Anzi, l’atto dirigenziale sul tema di merito dell’incarico per la progettazione preliminare non risulta esente da un frequentissimo vizio, sempre frutto dell’errato modo di concepire ed attuare il principio di autonomia tra politica e gestione. Infatti, si afferma che la giunta comunale ancora nel 2006 ha “esplicitato orientamento positivo di indirizzo ai fini dell’affidamento di un incarico a professionista esterno per la progettazione preliminare”.

Trattandosi di attività totalmente afferente la gestione, la giunta non ha alcuna voce in capitolo in merito. E’ uno dei tanti aspetti del cortocircuito relazionale, quello della dirigenza che coinvolge l’organo di governo a cercare “copertura” politica alle proprie decisioni. Ricerca anch’essa inutile, perché il regime delle competenze non si modifica, come nemmeno quello delle responsabilità.

Un sistema di controlli esterni, se esistente, al di fuori delle dinamiche relazionali interne agli organi potrebbe in modo terzo ed imparziale rilevare questi difetti e anche contribuire, senza indagini interne e “coperture” più o meno inventate, al buon andamento dell’amministrazione.

Il tema dei controlli è centrale. Ormai lo si è compreso, anche se ad innescare l’interesse sulla questione sono state ostriche e champagne, piuttosto che casi come quello del comune di Alessandria, portato dove ora si trova anche e soprattutto per la totale assenza di un filtro terzo su decisioni e spese incontrollate. Un comune nel quale organi politici e gestionali, almeno quelli contabili, andavano molto d’accordo e si parlavano tanto. Ma non è questo ciò che consente un’amministrazione sana e corretta.

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