sabato 23 marzo 2013

Abolizione #province, priorità alta per sviare l'attenzione dai veri problemi

Il Sole 24 Ore del 23 marzo 2013, nell’articolo “Bersani riparte da sviluppo, costi politica e legge elettorale” qualifica come priorità alta l’abolizione delle province.

Tale decisione avrebbe, dunque, medesima dignità di attenzione della riforma elettorale, della riforma del lavoro, della modifica del patto con l’Europa, dello sblocco dei pagamenti verso le imprese.

Essendosi ormai ridotta la politica ad una serie di slogan semplici e di facile comprensione, in stile Gabibbo, l’articolo non stupisce. Né meraviglia che Bersani cerchi di racimolare un po’ di consenso su un tema che ormai catalizza il favore di tutti, grazie ad un’incessante campagna di stampa, ma soprattutto al fatto che M5S ha a sua volta inserito l’eliminazione delle province nel proprio programma.

A dare la carica è, del resto, si dice, la decisione “anticipatrice” del “modello Sicilia”, che “ha abolito per prima le province”.

Ora, di fronte ai mantra ed agli slogan è difficile ragionare con profondità di argomentazione.

Per esempio, nessuno, ma assolutamente nessuno, tra i giornalisti dei grandi media si è preso la briga di verificare cosa la Sicilia abbia approvato. Se lo avessero fatto, si sarebbero accorti che:

a)      la legge approvata non abolisce assolutamente nulla, ma demanda ad un’altra legge (ma allora cosa l’hanno approvata a fare? Solo propaganda? Diamoci una risposta…) il compito di abolirle, entro il 31 dicembre 2013;

b)      se venisse approvata la riforma immaginata, il secondo livello di governo regionale non sparirebbe per nulla, ma al posto di 9 province spunterebbero decine di “liberi consorzi” e 3 città metropolitane; alla faccia della riduzione degli enti, della riorganizzazione dello Stato, del risparmio dei costi.

Il fatto è che non basta enunciare ottimi intenti. Occorre vedere come questi vengono concretamente realizzati.

L’abolizione delle province avrebbe un senso solo dandosi due condizioni:

a)                  si tratti di una vera razionalizzazione organizzativa; e allora è assurdo far nascere al loro posto qualsiasi altro ente; l’unica soluzione è far accorpare le funzioni e competenze alle regioni, così da creare economie di scala, o almeno provarci;

b)                 si conseguano risparmi molto significativi per la finanza pubblica, superiori agli ingentissimi costi che la manovra comporta.

Ebbene, tanto la prima quanto la seconda delle condizioni non sembrano per nulla darsi, osservando le proposte che circolano.

Infatti, sebbene le province svolgano funzioni e competenze di ambito evidentemente sovracomunale, si blatera di distribuirle verso i comuni.

In quanto alla questione dei risparmi, l’articolo del Sole inserisce l’azione sulle province nell’ambito di un pacchetto che dovrebbe rilanciare lo sviluppo, attraendone l’abolizione tra i “costi della politica.

Bene. Ma non vengono illustrati i conti, i numeri. Non si dice, cioè, quale beneficio economico e finanziario deriverebbe dall’abolizione.

Poniamo che si tratti, allora, di risparmiare tutto l’onere discendente dalle remunerazioni di presidenti, assessori e consiglieri. Nel 2012 si è trattato di 104 milioni. Ora, il bilancio dello Stato per il 2012 ha previsto una spesa di 805 miliardi 805 miliardi.

Il risparmio discendente, dunque, dalla cancellazione delle province e, dunque, dalla spesa per gli organi di governo rappresenta lo 0,01% del bilancio.

Si dirà che occorre pur iniziare da qualche parte. Ma sarebbe piuttosto semplice osservare che quando occorre tagliare, si deve partire dalle grosse voci dei bilanci. Se si Parte dai dettagli si compie un grande sforzo, per non ottenere nulla di concreto.

Ma, si potrebbe ulteriormente obiettare, si potrebbero destinare i fondi ad esempio al rifinanziamento degli incentivi alle imprese che assumano lavoratori licenziati da aziende con meno di 15 dipendenti.

Recentemente il Governo ha annunciato di aver stanziato 20 milioni a questo scopo. Diventerebbero, così, 124.

Ottima idea, certo. Però, l’incentivo cui pensa il Governo è pari a 190 euro al mese per assunzioni di almeno 6 mesi. Facendo un breve conto, si riuscirebbe a garantire l’incentivo per poco più di 108 mila lavoratori in tutta Italia. A fronte di una disoccupazione che conta milioni di persone che perdono il lavoro.

Non si intende affermare che non vadano fatti tutti gli sforzi per cambiare lo stato delle cose. Ma sembra assolutamente evidente che l’efficacia della rinuncia all’acquisto di 10 miliardi di F35 o ad opere immense e costosissime sia di molto superiore.

Il problema non dovrebbe la dimensione della popolarità della misura che si intende adottare, bensì la misura dell’efficacia economica e finanziaria della decisione.

Si dirà, ma nel 2011 le province sono “costate” 11 miliardi. Cancellandole si potrebbero risparmiare.

Doppio errore. Le province non “costano” 11 miliardi, ma ne spendono 11. Ragionare in termini di “costo” è una trappola qualunquista-liberista, che vuol fare passare il compito delle amministrazioni pubbliche, cioè distribuire ricchezza in termini di servizi mediante spesa, in “costo”, cioè “spreco”.

Quegli 11 miliardi si spendono per mantenere e costruire più di 5000 edifici scolastici, mantenere e sviluppare una rete stradale di 130 mila chilometri, ad esempio. Sparite le province, le funzioni che esse gestiscono (grossa parte delle quali ricevute da Stato e regioni appena 12 anni fa; una follia ogni decennio rivedere gli assetti organizzativi) restano. Dunque, gli 11 miliardi non si risparmiano, semplicemente si spostano da un centro di spesa all’altro.

E, comunque, rapportando gli 11 miliardi al totale della spesa pubblica (sempre gli 805 miliardi visti prima) si tratta dell’1,37%.

In ogni caso, perfino il “super tecnico” tra i tecnici, il Ministro Piero Giarda nel suo dossier (pagine da 195 in poi) di fine mandato (leggermente cervellotico e dadaista) ha stimato che dall’accorpamento delle province (idea abbastanza bislacca del Governo Monti) al massimo il risparmio avrebbe potuto essere di 500 milioni: il ragguardevole risultato dello 0,06%.

Ma nessuno, si ribadisce, si è curato di conteggiare il costo della soppressione o dell’accorpamento delle province. Proviamo solo ad immaginare le volture contrattuali dell’immenso patrimonio, la soppressione dei sistemi informatici ed il conferimento dei dati nei nuovi enti subentranti, gli archivi, i contratti.

L’attacco a testa bassa contro le province sembra esattamente quello che è: la distrazione dai veri problemi, che sono di portata molto più ampia, ma non comprensibili anche perché non spiegati.

Sempre l’articolo del Sole considera la riforma del lavoro (un problema epocale, di dimensioni miliardi di volte più importanti dell’abolizione delle province) prioritario tanto quanto l’eliminazione delle province.

Ma, quale sarebbe l’idea? Semplicemente il riequilibrio delle aliquote contributive tra contratti flessibili e contratti standard, così da rendere questi meno costosi.

Dunque, si offre alla popolazione, sopraffatta da migliaia di aziende che chiudono e milioni di disoccupati, la soluzione falsa delle province, e quella ancora più falsa della riforma del lavoro, secondo le indicazioni sintetizzate sopra.

Lo capisce chiunque che in una fase di recessione come questa non si rilancia il lavoro con la riforma del diritto del lavoro, bensì col rilancio dell’economia.

In ogni caso, il problema del diritto del lavoro e della contrattualistica deriva da decenni nei quali si è tollerato, anzi si sono stati regolati, tipi di contratti che hanno permesso ai datori di scegliere ragionando semplicemente sul costo. Il lavoro a tempo indeterminato è il più costoso di tutti e, infatti, è utilizzato ormai nel 13% scarso dei casi.

La riduzione del costo dei contributi non serve a nulla. Lo dimostra il flop incredibile dell’apprendistato, usato nel 4% circa dei casi. Certo, i corsi di formazione proposti dalle regioni non sono gran che, la burocrazia connessa è molta.

Del resto, perché i datori dovrebbero utilizzare l’apprendistato se la riforma-Fornero consente adesso di avvalersi di partite Iva molto semplicemente, curandosi solo di evidenziare un reddito non superiore a 18 mila euro l’anno e potendo contare sul congelamento delle ispezioni per un anno? Oppure, perché formalizzare un rapporto di lavoro, se i tirocini non sono nemmeno qualificati come tali, non presentano oneri previdenziali e non costringono ad agire come sostituto di imposta?

La soluzione dell’allineamento dei costi tra contratti “standard” e “non standard” è una proposta inutile, inefficace in partenza. Anche perché i contratti a tempo indeterminato “standard” come visto prima non lo sono proprio per nulla, visto che si utilizzano in bassissima percentuale.

Però, teorizzare “la riforma del lavoro”, insieme con “l’abolizione delle province” fa chic, desta l’immaginario collettivo, fa credere che si risolvano i problemi. Come quando si consegna il provolone al sindaco che non ha risolto la piccola buca del marciapiede di periferia del paesino.

7 commenti:

  1. E' incredibile il pressapochismo della stampa (pure di un certo livello)!
    Dobbiamo pretendere conti e cifre dei costi di ogni riforma!
    Basta farci prendere in giro.

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  2. Purtroppo, prevale come sempre, solo la semplificazione da slogan di piazza

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  3. Sono anni ormai che cerco qualcuno con cui parlare seriamente CONTRO questa idea assurda di sopprimere le Provincie. Forse mi ascolterà lei e mi risponderà senza ignorarmi come la maggiore parte dei blogger e/o giornalisti con i quali ho cercato di esporre la mia idea.
    Dunque abbiamo in Italia 4 livelli di controllo: Stato, regione, provincia e comune. E almeno su una cosa tutti, ma proprio tutti, sono d’accordo, c’è un livello di troppo.
    Peròaffermo che le Province devono essere mantenute, magari sopprimendo solo qualche assurdità sarda da meno di trenta mila abitanti … Dobbiamo eliminare le Regioni. Perché le Regioni sono in perenne contrasto con lo Stato, l’ha scritto anche lei mi sembra, mentre sono state create per portare il ”verbo statale” presso le popolazioni, in altre parole amministrare e invece sono altri 20 piccoli Stati rognosi. Dobbiamo eliminare le Regioni perché tutto la nostra vita amministrativa è modellata da sempre sulla Provincia: Provveditorato? Provinciale. Vigile del Fuoco? Comando provinciale. Guardia di finanza? Carabinieri? Polizia? Comandi provinciali. Catasto? Provinciale (e comunale) ASL ? no AS Provinciale. Le strade ? sono o comunali o provinciali. L’acqua? Idem
    Perché la Provincia non è troppo grande, né troppo piccola, né troppo lontana dalla gente. Pure le forze armate sono oltre le regioni, ci sono tre macro comandi e poi quelli provinciali.

    Cosa comporta l’eliminazione delle Regioni? Prima di tutto ci sarà uno e uno solo a legiferare: lo Stato. A questo si potrebbe affiancare una camera delle Province, con due membri per provincia, scelti/eletti dai sindaci e dal gruppo consiliare della provincia, con il compito di presentare allo Stato le istanze delle provincie e di approvare le leggi dello stato che riguardano direttamente la vita delle provincie: scuole, sanità, trasporti. Potrebbe egregiamente sostituire il Senato e magari anche l’Anci. Niente poi impedisce alle provincie di consorziarsi per avere più forza, ma senza elezioni, spese di conduzione, senza personale, senza compiti né doveri.
    E’ ovvio che vanno eliminate anche le Regioni a statuto speciale, non ho mai capito perché un Siciliano vale più di un Calabrese o di un piemontese! Viviamo nello stesso Stato con gli stessi problemi e le stesse necessità, e gli stessi mezzi per venirne a capo.
    Ho letto con piacere che anche Lei considera il DDL - veramente un ddl - appena approvato in Sicilia, un vera bufala: i consorzi sono semplicemente un altro nome per le province, invece di semplificare, vanno ad appesantire ulteriormente la già complicata Amministrazione siciliana. Che i comuni decidano di mettere in comune alcuni problemi e la loro soluzione è una cosa buona e giusta, attraverso i consorzi, o agglomération come le chiamano in Francia, ma rimane una decisione locale ed è solo segno di amministrazione oculata e intelligente. Ma la soluzione proposta oggi alla Sicilia non risolve assolutamente niente dato che ci sono ancora e sempre 4 livelli decisionali. Però questo ddl siciliano conferma che ho ragione: non si può fare a meno di un livello provinciale, cioè più vicino alla popolazione, che la coinvolga meglio, che la consideri soggetto e non suddito.
    Se è arrivato a questo punto nella lettura, La ringrazio per l’attenzione. Ho già cercato in lungo e in largo su internet qualche comitato pro provincia e contro le regioni, non ho mai trovato niente. Forse sbaglio grossolanamente, forse soffro di “buonsensite acuta” , ma gradirei sapere cosa ne pensa. Della soppressione delle Regioni.

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  4. Le regioni, in presenza dell'Europa, hanno perso senso come enti dotati di potestà normativa. Soprattutto perchè sono un centro di spesa spaventoso, appunto per tale potestà e per il (mal)governo della sanità.
    La follia del federalismo ha rafforzato enormemente governi però deboli, più facilmente condizionabili da piccole lobby territoriali, da piccoli potentati, da poche migliaia di voti.
    Io, però, non sono per abolire alcun ente, salvo quelli sub regionali e sub comunali: consorzi, enti parco, aato, consorzi imbriferi ed enti regionali vari. E' lì che occorre disboscare e sopprimendo quegli enti sarebbe logica la soluzione razionale: dare ulteriore significato alle province assegnando ad esse quelle funzioni soppresse.

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  5. Ma così rimangono 4 livelli di governo, cosa che non esiste o è in fase di cancellazione nel resto dell'europa, e il semplice fatto di sopprimere consorzi, enti, e altri enti , trasferendo alle province le loro competenze non è simile al giochetto siciliano che abolisce le province e crea i consorzi? E a cosa servono le Regioni se afferma che hanno perso il loro potere di legiferazione e sono un pozzo senza fondo?

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  6. No. Se gli enti di sottogoverno subregionali e infracomunali confluiscono nelle province, i livelli sarebbero davvero 3, senza orpelli vari e senza perdere funzioni e competenze.
    Le regioni, a mio avviso, servirebbero per la creazione di una legislazione specifica per i mercati produttivi e per la connessione scuola, formazione e lavoro. Occorrerebbe ridurre di molto il loro potere legislativo e correggere le storture del sistema sanitario nazionale. Diverrebbero utili e meno dispendiose.

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  7. Sono un dipendente provinciale e cerco di essere obiettivo. Le Province vanno assolutamente riorganizzate, non è possibile avere un dirigente ogni 20 dipendenti. Gli organi costano troppo. I consumi vanno limitati. Ma al di là di tutto mi chiedo sempre una cosa; possibile che tutti sappiano quello che va fatto e come va fatto e il parere di noi che ci lavoriamo da 20 anni non conti mai nulla neppure come parere non vincolante? Eppure proprio noi livelli bassi che siamo a contatto con gli utenti sappiamo più di tutti quello che funziona e quello che non funziona.

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