mercoledì 20 marzo 2013

Rapporto Giarda sulle #province: la supercazzola statistica

Davvero la stampa si fa attrarre, talvolta, dall'uomo che morde il cane, anche se l'uomo è sdentato ed il cane di pelouche.

In questi giorni la stampa sta strombazzando tantissimo il rapporto_spending lasciato dal Ministro Giarda come "eredità al nuovo governo", in particolare per il riferimento ai circa 500 milioni di euro che non si sarebbero risparmiati, per aver fatto decadere il progetto di riforma delle province avviato con ben tre inconcludenti decreti del Governo Monti.

Nessuno, tuttavia, mette in evidenza che si tratta, in sostanza, di un mero esercizio statistico, privo di qualsiasi realistico riferimento all'analisi che occorrerebbe fare davvero: cioè guardare uno per uno i bilanci di ciascuna provincia, comprendere le fonti di finanziamento, verificarne la destinazione e rilevare i possibili risparmi.

E' lo stesso rapporto che evidenzia la sua assoluta lontananza dalla realtà quando, letteralmente, afferma: "L'esercizio presentato è molto astratto e prescinde dalle valutazioni di natura organizzativa che sarebbero necessarie per stime aventi precisi riflessi finanziari; per la difficoltà di tali valutazioni è da notare che il decreto non associa risparmi di spesa (né le possibili conseguenti riduzioni dei trasferimenti) all‟accorpamento".

Un  minimo di rigore di analisi dovrebbe indurre la stampa, sia generalista, sia specializzata, a ringraziare del contributo, ma a rubricarlo per quello che è: nulla di effettivo, solo analisi accademica.

Invece, si sta vendendo come oro colato una prova di laboratorio, solo perchè utile a continuare a sparare a zero alla vittima sacrificale del momento, le province.

8 commenti:

  1. Mi chiedo se ci fanno o ci sono. In entrambi i casi, costoro costituiscono spreco, per definizione inutile, di denaro pubblico. Come? Con l'obolo che percepiscono per le funzioni indegnamente ed ipoteticamente assolte.

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  2. Bisognerebbe partire da un presupposto, che sei livelli di governo sono insostenibili, non rispetto al criterio meramente finanziario delle spesa e non solo in quello economico dei costi benefici, in realtà ancora mai esplorato, ma considerando almeno parametri quali l'appropriatezza dei servizi, l'adeguatezza, l'utilità interna (tra livelli di governo sovrapposti con medesime competenze) e esterna per la comunità amministrata, per arrivare all'efficacia, efficienza e economicità, in una parola il buon andamento. E' chiaro che anche il buon senso direbbe che sarebbero prioritari interventi su quel 70% di Comuni pulviscolari sotto i 5.000 ab. con medesime competenze di ogni altro comune metropolitano, di altra portata rispetto quelli previsti per le gestioni associate in unione o convenzione. Altrettanto chiaro che è impraticabile politicamente intervenire nel problema dei Piccoli Comuni e che l'agenda vuole un capro espiatorio che massimizza interferire la gestione del consenso. Rimane che ogni apparato esistente difende le proprie prerogative mentre della aree disseminate con Comuni microscopici potrebbe essere gestiti per aree vaste da definire dal basso. Sono quasi certo che le Province non sarebbero disposte allo stesso modo dei Comuni per ovvi problemi di riorganizzazione che dovrebbero in un qualche modo assumersi.

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  3. Dalle parti mia si dice : "Misura ad occhio"...Ed è proprio cosi che è andata. E' evidente, infatti, che lo scopo non era quello di stabilire il risparmio (sempre che ci sia),ma di quantificare una somma tale da giustificare la stronzata del riordino

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  4. Occorre sicuramente una ripartizione rigorosa e tassativa delle competenze degli enti, perchè tutti non possono fare tutto. In ogni caso, le province sono erroneamente considerate enti che si sovrappongono ai comuni e che complicano i procedimenti. Chi conosce le funzioni delle province sa che non è vero. Le interferenze sono prevalentemente delle regioni e dei grandi comuni, che si interessano di ogni scibile umano, attivando anche figure come il "garante degli animali".

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  5. Lara Sturba ("..2013, Grillo in Parlamento....e dopo la luce venne il buio isstituzionale")28 marzo 2013 alle ore 10:36

    Concordo con Vincenzo.

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  6. I non mi avventurerei in percorsi e rischi da apprendisti stregoni. La Carta costituzionale del 1948 ci ha indicato 3 (tre) livelli di governo locale: regioni; province; comuni. Mi sembra un assetto razionale. Certo, si possono ridiscutere gli ambiti, i dettagli. Si possono, ad esempio, rivedere certe astratte divisioni territoriali in funzione delle mutate dinamiche socio-economiche. Io sono contro la soppressione delle province e, allo stesso modo, sono contro l'accorpamento/accoppamento dei comuni minori. Certo, occorre rivedere la distribuzione delle funzioni ma soprattutto delle regole che disciplinano gli assetti organizzativi (Roma non può essere governata con lo stesso strumentatario con cui si governa un comune di 2.000 abitanti) ma non si può auspicare l'accorpamento di tutti i comuni infra 5.000 abitanti. Capisco che sia una tentazione forte e per una società in cui prevale la cultura "metropolitana" anche apparentemente razionale e semplice. I comuni minori sono come quegli alberi piantati sui costoni dei tanti colli che costellano il nostro paesaggio. In apparenza la loro presenza non appare rilevante. Al primo disboscamento irrazionale però cominciano i guai: i costoni smottano paurosamente; le frane si moltiplicano, il terreno non tiene più. Il territorio deve essere "presidiato" a tutela sia del tessuto sociale che dell'ambiente. Tagliare i circa 5.000 comuni under 5.000 abitanti significa inaridire totalmente una parte cospicua di questo Paese, abbandonandola a se stessa. Anche lì, andrebbe condotta una seria analisi costi benefici, allargando però le valutazioni alle c.d. "esternalità". I comuni minori sono mediamente gli enti dove si spreca di meno. Dove il controllo "sociale" è più immediato; dove i fenomeni di corruttela e di malaffare sono più contenuti se non inesistenti. Sono i luoghi dove ancora la politica si fa realmente per ragioni di "servizio" alla comunità, essendo notorio che le indennità percepite dagli amministratori sono minime e spesso sono anche rinunciate o devolute alla stessa comunità. Gli amministratori cioè sono spesso votati ad una attività di mero "volontariato". Tra l'altro, non va dimenticato che a partire dal 2013, grazie alle recenti riforme, lo stato non provvede più in alcun modo al sostentamento dei comuni ma sono le comunità locali ed il sistema fiscale locale a provvedere alle necessità degli enti (compresi quelli minori).

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  7. Sono d'accordo. C'è una furia contro gli enti locali ingiustificata. Poi, che senso ha eliminare l'ente intermedio, che potrebbe essere potenziato per aiutare i comuni minori proprio in un'ottica di diverso "strumentario", ma nel contempo prevedere accorpamenti forzosi in unioni di comuni, enti che non rafforzano nulla se non le debolezze dei comuni che ne fanno parte?

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