domenica 17 marzo 2013

#trasparenza Costi della politica sotto la lente, ma solo per regioni e #province

L’articolo 28 del decreto-trasparenza è la norma-simbolo di un’iniziativa normativa che ha ricevuto certamente un’accelerazione dagli scandali dovuti alla spesa incontrollata ed all’impiego ancor meno disciplinato delle risorse ai gruppi consiliari di tanti, troppi consigli regionali.

Art.28 Pubblicità dei rendiconti dei gruppi consiliari regionali e provinciali

1. Le regioni, le province autonome di Trento e Bolzano e le province pubblicano i rendiconti di cui all'articolo 1, comma 10, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, dei gruppi consiliari regionali e provinciali, con evidenza delle risorse trasferite o assegnate a ciascun gruppo, con indicazione del titolo di trasferimento e dell'impiego delle risorse utilizzate. Sono altresì pubblicati gli atti e le relazioni degli organi di controllo.

2. La mancata pubblicazione dei rendiconti comporta la riduzione del 50% delle risorse da trasferire o da assegnare nel corso dell'anno.

Lo spunto della disposizione in commento, deriva dall’articolo 1, commi 9 e 10, del d.l. 174/2012, convertito in legge 213/2012:

9. Ciascun gruppo consiliare dei consigli regionali approva un rendiconto di esercizio annuale, strutturato secondo linee guida deliberate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e recepite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, per assicurare la corretta rilevazione dei fatti di gestione e la regolare tenuta della contabilità, nonchè per definire la documentazione necessaria a corredo del rendiconto. In ogni caso il rendiconto evidenzia, in apposite voci, le risorse trasferite al gruppo dal consiglio regionale,con indicazione del titolo del trasferimento, nonchè le misure adottate per consentire la tracciabilità dei pagamenti effettuati.

10. Il rendiconto è trasmesso da ciascun gruppo consiliare al presidente del consiglio regionale, che lo trasmette al presidente della regione. Entro sessanta giorni dalla chiusura dell'esercizio, il presidente della regione trasmette il rendiconto di ciascun gruppo alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti perché si pronunci, nel termine di trenta giorni dal ricevimento, sulla regolarità dello stesso con apposita delibera, che è trasmessa al presidente della regione per il successivo inoltro al presidente del consiglio regionale, che ne cura la pubblicazione. In caso di mancata pronuncia nei successivi trenta giorni, il rendiconto di esercizio si intende comunque approvato. Il rendiconto è, altresì, pubblicato in allegato al conto consuntivo del consiglio regionale e nel sito istituzionale della regione”.

La cosa che sorprende, ma forse non troppo, è l’estensione che l’articolo 28 fa di una disciplina normativa dedicata esclusivamente alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano alle province.

E’ bene precisare che questo commento è riferito al testo del decreto legislativo approvato dal Governo a fine gennaio e non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale e, dunque, non ancora soggetto ad eventuali correzioni del testo.

Ebbene, una correzione sarebbe assolutamente necessaria proprio al testo dell’articolo 28, il quale, al di fuori da qualsiasi delega legislativa (e, dunque, sul punto, risultando illegittimo costituzionalmente per eccesso di delega) estende alle province cautele e misure previste per altri enti.

In ogni caso, la stesura del testo approvato dal Governo testimonia per l’ennesima volta l’avversione nei confronti di enti, le province, additate a simbolo del “costo della politica”, nonostante la prova schiacciante dei numeri dimostri esattamente il contrario.

Come evidenziato dall’Unione Province Italiane[1], il “costo della politica” delle province, in rapporto agli altri enti territoriali, è del tutto irrisorio:

I compensi 2012 degli eletti nelle istituzioni locali e nazionali

PARLAMENTO

439.732.000

di cui Senato

141.882.000

di cui Camera Deputati

297.850.000

Regioni

800.702.827

Comuni

556.593.000

Province

104.700.000

Fonti:  Bilancio Previsione Camera Senato 2012; banca dati Siope 2012

La tabella che segue rende ancora più chiara la distribuzione degli oneri per gli organi politici:

SPESA PER ORGANI POLITICI IN MILIONI

2012

%

PARLAMENTO

439

23,12%

REGIONI

800

42,13%

COMUNI

556

29,28%

PROVINCE

104

5,48%

 

1899

100%

La spesa delle province, dunque, con riferimento agli organi di governo costa quanto due F35 ed incide, sul totale complessivo, per il 5,48%.

E’ davvero singolare che il legislatore delegato estenda a detti enti, senza alcuna delega a monte, le previsioni richieste, a giusta ragione, per le regioni, che fanno la parte del leone della spesa, incidendo per il 42,13%, 8 volte le province.

Per altro, il legislatore dimostra di essere incappato in un errore macroscopico. Ha probabilmente ritenuto che anche alle province si applichino le regole di gestione dei gruppi consiliari vigenti nelle regioni. Queste li hanno sciaguratamente ripresi dal modello offerto dalla Sicilia, che presenza una fortissima separazione tra strutture della Giunta regionale ed Assemblea regionale siciliana, la quale è dotata di una sua assoluta autonomia di bilancio, contabile, organizzativa e quale datore di lavoro.

Anche i consigli delle regioni a statuto ordinario, nella sostanza, sono divenuti enti autonomi all’interno della regione, dotati di un bilancio proprio, definito con leggi regionali, che assegnano ai gruppi le loro dotazioni.

Per le province le cose non stanno affatto così. Ad esse si applicano, esattamente come ai comuni, le disposizioni del d.lgs 267/2000 che attribuisce ai consigli una limitatissima autonomia funzionale ed organizzativa. I consigli comunali e provinciali non sono soggetti autonomi, non hanno un proprio bilancio, non dispongono di strutture differenziate.

La limitata autonomia di cui dispongono è disciplinata dall’articolo 38, comma 3, del Tuel: “I consigli sono dotati di autonomia funzionale e organizzativa. Con norme regolamentari i comuni e le province fissano le modalità per fornire ai consigli servizi, attrezzature e risorse finanziarie. Nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti e nelle province possono essere previste strutture apposite per il funzionamento dei consigli. Con il regolamento di cui al comma 2 i consigli disciplinano la gestione di tutte le risorse attribuite per il proprio funzionamento e per quello dei gruppi consiliari regolarmente costituiti”.

Le “strutture apposite” altro non sono che ripartizioni degli uffici comunali, non uffici posti alle dirette dipendenze dei consigli, che non hanno soggettività giuridica. Ai consigli il bilancio dei comuni e delle province può assegnare limitate risorse, finalizzate al proprio funzionamento. Tutti i flussi finanziari sono parte del bilancio dell’ente locale e, dunque, sono soggetti a tutte le procedure di approvazione, gestione e controllo di qualsiasi spesa, non godendo di alcun regime particolare, a differenza di quanto avviene nelle regioni, che agiscono con leggi, per altro ritenendo – erroneamente – sottratta l’attività amministrativa dei consigli al sindacato di legittimità, come proprio l’articolo 1, commi 9 e 10, del d.l. 174/2013 ha dimostrato.

Non si capisce, dunque, per quale ragione l’articolo 28 preveda per le province forme di controllo che non si attagliano per nulla agli enti locali, ma sono necessarie solo per le regioni.

Tanto è vero che i comuni, che spendono per gli organi di governo 5 volte di più delle province (e in molti grandissimi comuni le spese dei consigli, quantitativamente, non sono molto lontane da quelli affrontati da alcune regioni), non sono compresi nell’adempimento dell’articolo 28.

Dunque, con riferimento alle province, l’articolo 28 appare null’altro se non un ammiccamento nei confronti delle tante voci che considerano le province un peso da estirpare, senza, ovviamente, leggere i numeri e conoscere a fondo l’entità dei problemi.

Per altro, i rendiconti di cui all’articolo 1, comma 10, della legge 213/2012, in quanto non riguardanti le province, ma solo le regioni, le province stesse non avrebbero modo di pubblicarli, visto che non li producono ed elaborano.

I giusti e condivisibili inviti alla trasparenza nei confronti delle regioni, chiamate a pubblicare i rendiconti, le dotazioni assegnate e le modalità di spesa, potevano essere estesi alle province, ma allora anche ai comuni, senza richiamare il rendiconto di cui all’articolo 1, comma 10, della riforma dei sistemi di controllo.

Di conseguenza, la sanzione prevista dal comma 2 dell’articolo 28 può considerarsi applicabile solo alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, ma non alle province.

Insomma, un pastrocchio, figlio della corsa poco meditata all’abolizione o ridimensionamento delle province, che meriterebbe una correzione urgente, prima che il testo dell’articolo sia pubblicato così come formulato dal Governo.

Luigi Oliveri

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