domenica 14 luglio 2013

La facile scusa della troppa #burocrazia #Governo #bufale #Kazakistan #Panebianco

Il tentativo della stampa che si assume il compito di sorreggere ad ogni costo il Governo di negarne responsabilità ed incapacità diviene sempre più sfacciato e privo di argomenti credibili.

Dopo l’incredibile vicenda del rientro forzato in Kazakistan della signora Shalabayeva, per assecondare la negazione di responsabilità di ben tre ministri, il Presidente del Consiglio, il Ministro degli interni ed il Ministro degli esteri, adesso la moda di attribuire le colpe alla “tecnostruttura”o “burocrazia” è divenuta claim ossessivo.

Non c’è trasmissione, media, giornale che non abbia alzato ulteriormente il livello della linea di fuoco contro la “burocrazia”, accusata non solo di essere il “peso” dello Stato per antonomasia, ma anche di agire contro la politica e all’insaputa di questa.

Gli eventi ad insaputa di ministri, sia per fatti attinenti alla loro sfera personale, ma soprattutto se concernenti il loro mandato, dovrebbero portare, in qualsiasi Paese, ad un’unica logica ed inevitabile conclusione: le dimissioni spontanee o la rimozione del ministro stesso.

E’ ben evidente che se un ministro non è al corrente di un’operazione come quella che ha riguardato la moglie e la figlia del principale dissidente del governo kazako, le alternative sono solo due: o non sta affermando il vero, e dunque la scusa della burocrazia è una solenne sciocchezza; oppure, dice la verità e, dunque, dimostra di non avere in alcun modo le redini del ministero alla cui direzione è piazzato.

Far credere che una struttura verticistica e gerarchizzata (in stile militare) come il Ministero degli interni non abbia comunicato allo staff del Ministro, con congruo anticipo, il blitz è impresa piuttosto ardua, ma la stampa si sta impegnando moltissimo, con ottime possibilità di successo. Basti pensare al risultato della feroce campagna di stampa per l’abolizione delle province. Ripetendo fino all’ossessione un concetto, per quanto strampalato e dannoso nella sua attuazione possa essere, si finisce per darlo non solo come vero, ma anche come inevitabile e necessario.

Sul Corriere della sera del 14 luglio, Angelo Panebianco (La ragnatela del non fare - http://www.corriere.it/editoriali/13_luglio_14/burocrazia-peso-enorme_9a20bc7e-ec4d-11e2-b462-40c7a026889e.shtml) non si sottrae certo a rinforzare con la sua voce il coro di chi, come arma di distrazione di massa, svia dalle responsabilità della politica, per additare la “burocrazia” come origine di tutti i mali.

Leggiamo alcuni passaggi dell’illuminato politologo: “La burocratizzazione crea una ragnatela normativa che, mentre soffoca la società, funziona da rete di protezione contro qualunque velleità di tagliare o razionalizzare la spesa. In ogni settore della vita sociale c'è stata, c'è, continuerà a esserci, una proliferazione continua di norme ingarbugliate che appaiono prive scopo, di razionalità e di logica alle vittime ma che uno scopo ce l'hanno: servono all'autoriproduzione degli apparati burocratici”.

Panebianco, come moltissimi, finge di cascare dal pero. Nell’articolo mistifica (non possiamo immaginare che lo pensi sul serio, visto che dà mostra di conoscere l’ordinamento giuridico) che sarebbe la burocrazia a creare le norme. Ma, Panebianco sa, lo sa benissimo, che il potere legislativo è del Parlamento, nonostante da molti anni risulti in qualche modo “avocato” dal Governo. Chi elabora le leggi non è la burocrazia: sono gli organi costituzionali a ciò deputati.

Insistere sulla bugia clamorosa secondo la quale sarebbe la burocrazia a dettar legge è semplicemente ridicolo. Ma anche voluto: in questo modo si indica ai cittadini qual è l’untore. Non è il politico, bensì il burocrate, del quale il primo sarebbe vittima.

La teoria bislacca e semplicemente falsa che portano avanti Panebianco ed altri corifei è quella secondo la quale le leggi le scrivono i funzionari e i dirigenti e non sempre i politici hanno il pieno controllo e la cognizione dei contenuti tecnici. E si tratta di funzionari e dirigenti “fissi”, che restano sempre al loro posto e, dunque, in qualche modo tentati di conservare il proprio potere con norme che, a dispetto delle direttive politiche, ne confermino ruolo e funzioni.

Anche questo non corrisponde per nulla a verità. In Italia vige uno spoil system molto spinto, chcchè Panebianco, Gavazzi, Renzi ed altri raccontino. I ministri hanno le mani totalmente libere nell’incaricare chi meglio credono negli uffici di gabinetto e legislativi, laddove le iniziative legislative si formano e vengono in essere; altrettanto possono per incaricare chi meglio credono nelle segreterie generali e al vertice dei dipartimenti. La favola dell’inamovibilità dei dirigenti di vertice è una frottola: ad ogni nuovo insediamento di ministro, si assiste a ciclopiche operazioni di trasloco e transumanza verso gli uffici, cui sono chiamati “uomini di fiducia”. Se la scarsa qualità delle leggi che questi signori, alla fine, propongono è quella che si riscontra, le responsabilità sono molto chiare: sono da attribuire a ministri poco competenti, che, per altro, si circondano di staff non migliori.

Quale sarebbe la soluzione per Panebianco? Un colpo di genio: “Nessuno ne avrà mai la forza politica ma sarebbe vitale eliminare il predominio dei giuristi nell'amministrazione. Occorrerebbe impedire a chiunque di accedere ai livelli medio-superiori di una qualsivoglia amministrazione pubblica nazionale o locale (e anche delle magistrature amministrative, dal Consiglio di Stato alla Corte dei conti) se dotato solo di una formazione giuridica. Servirebbero invece specialisti addestrati a valutare l'impatto - effetti e costi economici e sociali - di qualunque norma e procedura. Specialisti nel semplificare anziché nel complicare. Meglio se potessero anche vantare lunghi soggiorni di formazione presso altre amministrazioni pubbliche europee e occidentali”.

Fantastico. Fare le leggi ed amministrare è funzione fondamentalmente giuridica. La giurisprudenza ha una branca speciale e fondamentale, l’indirizzo amministrativo, poiché amministrare significa porre regole e, dunque, conoscere il sistema giuridico è fondamentale.

Ma, Panebianco predica che l’amministrazione deve essere composta non si sa bene da quali “specialisti”: come riempire gli ospedali non di medici, ma di esperti di contabilità, o i cantieri delle opere pubbliche non di ingegneri ma esteti.

L’imperatore Giustiniano è noto non solo per il tentativo di riunificazione dell’impero, ma anche per la redazione del Corpus iurisi civilis. Consapevole che ciascuno deve svolgere il ruolo in base a capacità e competenze, affidò le campagne militari al grande generale Belisario e la stesura del Digesto a Triboniano e ad una commissione composta (guarda caso) da giuristi. Secondo Panebianco, bene avrebbe fatto Giustiniano a mettere Triboniano a capo dell’esercito e Belisario a guidare la stesura del Corpus iurisi civilis!

La burocrazia ha le sue colpe, ma la produzione di troppe norme, troppo complesse, troppo inefficaci, troppo contraddittorie, ha la sua fonte e responsabilità a Palazzo Chigi, Palazzo Madama e Montecitorio. Vi sono, poi, i problemi concernenti la concreta attuazione e certamente responsabilità individuali anche di chi, poi, negli uffici amministra. Ma le regole folli (ma si pensi solo al Durc, prodotto frutto esclusivo delle contorsioni mentali del legislatore) non sono applicate per decisione o capriccio dell’esecutore.

La favola raccontata da Panebianco ed epigoni è che i ministri sono troppo prigionieri di una tecnostruttura un po’ gaglioffa, che si sovrappone loro e ne condiziona le decisioni. L’esempio che se ne dà è ciò che avviene nell’ambito del ministero dell’economia, nel quale sarebbe la tecnostruttura ad imporre politiche come i tagli lineari o interventi miranti solo al rispetto degli equilibri di bilancio. Come se non fosse stato il Parlamento a dettare le regole del patto di stabilità o, da ultimo, a modificare in fretta e furia la Costituzione, per imporre il pareggio di bilancio. Come se sulla “scrivania di Quintino Sella”, abusatissimo modo per descrivere il Ministro delle finanze, non avessero seduto anche soggetti direttamente reclutati proprio dalla tanto dileggiata “tecnostruttura” (Siniscalco e Grilli, tanto per fare due nomi soli, da dove provenivano?), a dimostrazione che la “tecnostruttura” è spessissimo, ad alti livelli, composta da possessori di tessere di partito, pronti a confondere e mescolare politica e gestione, generando il peggiore sistema di amministrazione possibile.

Le spinte, tuttavia, verso una “tecnostruttura” composta da “esperti” di non si sa cosa, ma “fedeli” e “di fiducia” e chiaramente orientati a quel partito, quella corrente, quel leader, sono evidentissime.

Una schiera di burocrati allineati e coperti alle indicazioni di partito, pronti ad eseguire ciecamente, ma solo in favore di chi sta dalla loro “parte”. Sono cose già viste e tristemente vissute. Ma, una politica che si allontana sempre più dalla realtà invece di cercare le proprie responsabilità, invece di ascoltare le lagnanze dei tantissimi burocrati, che saprebbero come pagare nei termini di debiti delle pubbliche amministrazioni o rendere semplicissimo per un imprenditore ottenere permessi e licenze, si arrocca, con i corifei dei giornali, verso un mondo parallelo. Nel quale regna chi è “all’insaputa” e non risponde. Mai.

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