Che occorra una collaborazione tra pubblico e privato per estendere quanto possibile i servizi di aiuto alla ricerca di lavoro per i disoccupati non v'è alcun dubbio.
Vanno bene certamente tutte le iniziative ed i progetti che vadano nella direzione della più stretta collaborazione possibile.
E' tuttavia ben strano che articoli di giornale (vedasi La Stampa del 18 dicembre 2013), ben indirizzati, raccontino le mirabilie delle agenzie private di collocamento, astenendosi dal compiere pochi semplici ragionamenti ed approfondimenti:
1) se funzionano così egregiamente, come mai, allora, l'incontro domanda offerta continua ad avere problemi?;
2) perchè limitarsi ad osservare che i centri per l'impiego intermediano il 3% circa dei rapporti di lavoro, senza ricordare che i soggetti privati, in particolare le agenzie di somministrazione, ne intermediano il 2%?
Il tutto sembra esclusivamente volto ad una propaganda molto precisa: screditare (ma, ormai è uno sport nazionale) il servizio pubblico anche oltre le ragioni di una severa critica e cercare di orientare le risorse per investimenti sul settore privato.
L'articolo di oggi su La Stampa metteva a confronto i dati della mediazione pubblica italiana con quelli in Gran Bretagna. Quest'ultima intermedia 10 volte tanto, il 33%.
Ovviamente, però, il giornalista si è astenuto dal riportare i dati Eurostat, che, riferiti al 2009, segnano questi ordini di grandezza:
nel 2009, l'Italia ha investito nei servizi pubblici per il lavoro 543 milioni di euro; la Gran Bretagna 5,4 miliardi (10 volte di più). I dipendenti operanti nei centri per l'impiego in Italia sono circa 7.700; in Gran Bretagna 67.000.
Nel fare confronti e dare informazioni, è giusto fornire dati completi, perchè altrimenti si corre il rischio di lasciar credere che i paragoni siano "orientati" a lasciar passare un preciso messaggio.
Ora, è del tutto evidente che al di là della sicura perfezionabilità del funzionamento dei servizi per l'impiego in Italia, essi risultano totalmente sottodimensionati, sotto qualsiasi punto di vista, rispetto a Nazioni paragonabili all'Italia.
Il rimedio dovrebbe, di conseguenza, consistere nel prendere atto di questi abissi spaventosi, cercando di colmarli con investimenti adeguati.
Invece, si fa esattamente l'inverso. O, meglio, la proposta del Prof. Ichino coglie nel segno, indicando un sistema ordinato di collaborazione tra pubblico e privato, ma prevede un investimento non per il sistema pubblico, così sottodimensionato rispetto ai Paesi con i quali ci si confronta, bensì per i privati. Per altro, di 15 milioni di euro.
Insomma, è come volere colmare un gap spaventoso, come quello indicato sopra, derivante da una spesa di 540 milioni, contro una di 5,4 miliardi, volendo coinvolgere i privati ed investendo l'irrisoria somma di 15 milioni. Così da poter dire, poi, quando la sperimentazione sarà fallita - perchè con così pochi soldi riguarderà ovviamente pochissime persone ed aree territoriali, sì da risultare irrilevante - si potrà però continuare a dare la croce addosso ai capri espiatori. Che, alla fine, non sono i centri per l'impiego, si badi; bensì i cittadini, che non riescono ad ottenere dall'Italia investimenti pubblici minimamente adeguati, nell'ambito dei servizi per il lavoro, ai sudditi della Corona di Inghilterra.
[…] – 18 dicembre 2013 – #lavoro Sperimentazione pubblico privato giusta, ma nozze con fichi secchi di Luigi […]
RispondiElimina