sabato 4 gennaio 2014

Stazione Unica Appaltante uccisa in fasce dall’abolizione delle #province



L’articolo 1, comma 343, della legge 147/2013, intervenendo a modificare la disciplina della Stazione Unica Appaltante (Sua), conferma che questo strumento, potenzialmente utilissimo per razionalizzare gli appalti, risulti inutile e depotenziato, soprattutto per la scellerata decisione di eliminare le province e non affidare loro la funzione.

La Sua, come si ricorda, ha lo scopo di far fare a meno ai comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti di svolgere da sé le gare d’appalto. I piccoli comuni nella maggior parte dei casi non dispongono materialmente della forza per svolgere la funzione di stazione appaltante. Gestire le procedure di gara, così farraginose e complesse nell’ordinamento italiano, porta a lentezze e difficoltà, dovute anche ad un’inevitabile carenza di specializzazione, nei piccoli comuni.

Non solo: la Sua, se funzionasse, potrebbe scongiurare i pericoli di lesione del principio della concorrenza connessi proprio alla dimensione estremamente ridotta degli enti appaltanti, che, allo scopo di aggirare le difficoltà procedurali connesse agli appalti, sono certamente indotti a frazionare le basi di gara quanto più possibile, per abbassare le soglie, violando, dunque, anche le più basilari disposizioni del codice dei contratti, poste a garantire la massima partecipazione possibile delle imprese alle gare. Non è un caso che in Italia le procedure negoziate siano sempre diffusissime, nonostante gli interventi “anticorruzione”.

Ora, il comma 243 della legge di stabilità 2014, nel prevedere che “Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle acquisizioni di lavori, servizi e forniture, effettuate in economia mediante amministrazione diretta, nonché nei casi di cui al secondo periodo del comma 8 e al secondo periodo del comma 11 dell'articolo 125”, esclude per i piccoli comuni, anche laddove avessero aderito alla Sua, dall’obbligo di avvalersene per le procedure di acquisizione di appalti di lavori, beni o servizi al di sotto della soglia di 40.000 euro, consentendo loro di effettuare autonomamente i cottimi fiduciari.

In sostanza, la legge di stabilità finisce quasi per legittimare esattamente i comportamenti e le pratiche di fatto già attivate dai piccoli comuni, proprio allo scopo di aggirare le regole procedurali sugli appalti.

Si vanifica, così, la stessa utilità delle Sua. Che scontano un gravissimo vizio genetico: esse sono state introdotte col d.l. 201/2011, convertito in legge 214/2011, il tristemente famoso “decreto salva Italia”, che, come si ricorderà, conteneva le prime norme – poi dichiarate incostituzionali – sullo svuotamento ed accorpamento delle province.

Per questa ragione, il legislatore invece di effettuare la scelta più logica, attribuire alle province la funzione di Sua, stabilì che esse dovessero costituirsi nell’ambito di unioni di comuni o di specifici uffici consortili. Una scelta talmente sbagliata e scorretta che i termini per la costituzione di siffatti uffici sono stati più volte prorogati. Per altro, le unioni di comuni o gli uffici consortili, se posti in essere tra piccoli comuni non sono certo di per sé idonei a superare il deficit di funzionalità e competenze.

Non è, dunque, un caso che la legge di stabilità 2014 giunga fino al significativo depotenziamento dell’utilità delle Sua, come visto prima, proseguendo nello scellerato intento di non attribuire le funzioni connesse all’unico soggetto territorialmente realmente idoneo e strutturato, cioè le province, perché il legislatore continua pervicacemente a perseguire l’inutile (come ha specificato la Corte dei conti, sul piano finanziario) e controproducente eliminazione delle province. Eppure, l’articolo 19, comma 2, del d.lgs 267/2000 prevede che la provincia, in collaborazione con i comuni e sulla base di programmi da essa proposti, promuove e coordina attività nonché realizza opere di rilevante interesse provinciale sia nel settore economico, produttivo, commerciale e turistico, sia in quello sociale, culturale e sportivo; aggiungendo al terzo comma che la gestione di tali attività ed opere avviene attraverso le forme previste dal presente testo unico per la gestione dei servizi pubblici locali. Dunque, lo strumento normativo era già esistente e risulterebbe, oltre tutto, confermato dallo stesso ddl Delrio, che conferma le funzioni di coordinamento provinciali.

Non solo, ma in aperta contraddizione con la singolare obliterazione delle province dalla funzione di Sua, nel regolare le funzioni in materia di edilizia scolastica, il ddl Delrio le assegna ai comuni, prevedendo, però, che con specifiche intese possano essere assegnate proprio alle province, con uno schema sostanzialmente sovrapponibile a quello della Sua (al netto delle eventuali implicazioni di carattere patrimoniale).

Le Sua sono certamente destinate a successivi ulteriori depotenziamenti, a testimonianza del loro inevitabile fallimento, come fallimentare sarà sempre e necessariamente ogni tentativo di attribuire ad enti deboli, poco strutturati, che uniscono debolezze senza costituire forza, quali le unioni di comuni, funzioni che per loro natura sono sovracomunali: l’errore esiziale del ddl Delrio.

 

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