sabato 29 marzo 2014

#province Il delirio delle funzioni e delle competenze dopo il ddl Delrio

Sarà complicatissimo, al limite davvero del delirio, attuare il ddl Delrio per le province riformate, diverse da quelle destinate ad essere sostituite dalle città metropolitane.

Si parla di “attuazione” perché moltissimi degli effetti che la riforma intende produrre, in particolare quelli connessi allo “svuotamento” di funzioni e competenze, al loro riordino e alla riassegnazione ad altri enti, sono rinviati ad una serie di successivi atti normativi.

I tempi e le modalità (complicatissime) previste nei commi da 89 a 97 dell’articolo 1 del disegno di legge approvato al Senato.

Il ddl, come primo passaggio, distingue tra funzioni fondamentali, che resteranno in capo alle province riformate e funzioni non fondamentali. Queste ultime saranno oggetto dei possibili trasferimenti ad altri enti. Ma il sistema immaginato è davvero confusionario e frutto di un lavoro indice di scarsa competenza e consapevolezza.

Infatti, accanto a questo gruppo di funzioni, ve n’è un terzo. Guardiamone l’elenco.

Funzioni fondamentali necessarie.

a)                  pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizza-zione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza;

b)                 pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e con-trollo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente;

c)                  programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programma-zione regionale;

d)                 raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali;

e)                  gestione dell’edilizia scolastica;

f)                   controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale.

L’ultima, quella prevista alla lettera f), rasenta il paradosso. Alle province si intende sottrarre la funzione delle politiche del lavoro, che probabilmente dovrebbe confluire in una nuova agenzia, ma, incredibilmente, si assegna loro, per giunta come funzione fondamentale, uno spicchio di competenza connesso appunto al lavoro. Per altro, connesso ad una materia che con la politica attiva, cioè il compimento di azioni che aiutino i lavoratori a risultare spendibili nel mercato del lavoro e le aziende nella ricerca, non ha nulla a che vedere. Infatti, il “controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale”, attiene alla contrattualistica del lavoro, ai rapporti già instaurati ed al loro modo di regolarli ed attuarli, in ambito aziendale. Richiede, dunque, poteri di ingerenza nell’autonomia dei privati e nell’organizzazione aziendale, cui dovrebbero fare fronte obblighi specifici imposti ai datori, che possano essere oggetto di controllo.

Ma, queste funzioni dovrebbero attenere alle competenze dei servizi ispettivi, operanti presso le direzioni territoriali del lavoro. Assegnarle alle province ed ai centri per l’impiego, per altro ben sapendo dell’imminenza della loro profonda riforma, rappresenta un altro indice del velleitarismo del ddl di riforma delle province.

Funzioni facoltative.

La provincia può altresì, d’intesa con i comuni, esercitare le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive.

Si tratta di una funzione che possono svolgere anche le città metropolitane e che, da sola, basta a svelare l’errore di impostazione di chi ritiene utile eliminare un livello intermedio di governo tra comuni e regioni.

I comuni di popolazione inferiore ai 5000 abitanti in Italia sono 5683 su 8098, pari al 70,18%. La parte più grande, dunque, dei comuni italiani risultano troppo piccoli, sia come dimensione territoriale sia, soprattutto, come organizzazione, per poter gestire attività talvolta molto complesse, come appunto la gestione degli appalti. Se c’è da realizzare una scuola, un ponte, un impianto sportivo, le difficoltà non cambiano sia che l’opera debba svolgersi a Roma o Ferrara di Monte Baldo. Cambia tutto se si pensa alla strutturazione organizzativa e all’abitudine stessa a svolgere procedure di progettazione tecnica e di gestione amministrativa e contrattuale molto complesse.

Il commissario per la spending review Carlo Cottarelli ritiene, in parte condivisibilmente, necessario ridurre le stazioni appaltanti operanti in Italia, circa 30.000. Come si nota, quasi un terzo sono concentrate proprio nei comuni e nei piccoli comuni in particolare. Un ente intermedio come le province, non troppo lontano dai territori e meglio attrezzato di un singolo piccolo comune, appare di per sé il più idoneo a gestire, per conto ed in collaborazione, con i comuni, funzioni amministrative molto complesse.

Insomma, le province apparivano per loro stessa natura quelle stazioni uniche appaltanti (Sua), che la manovra “salva Italia” di Monti, già presa dal furore abolizionista delle province, modificando il d.lgs 163/2006, attribuì obbligatoriamente alle unioni di comuni.

Il Legislatore, adesso, ci ripensa, sia pure solo parzialmente. Se vi fosse una coerenza con le proposte di Cottarelli, queste funzioni dovrebbero essere assegnate obbligatoriamente alle province, con anche indicazione della regolamentazione tra esse ed i comuni per stabilire la ripartizione degli oneri conseguenti.

Invece, si tratta di una funzione solo eventuale e, per altro, “a tempo determinato”. Non si deve dimenticare, infatti, che le province, nel disegno complessivo di riforma, sono destinate ad essere abolite.

Non si capisce, allora, il senso di una corretta visione di coordinamento funzionale delle attività dei comuni (per altro riscontrabile anche nella funzione provinciale di “raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali”) in capo alle province, alla vigilia della loro definitiva eliminazione.

Una reale e corretta volontà di riforma e razionalizzazione avrebbe dovuto puntare decisamente sulle province come centro di coordinamento necessario di alcune attività troppo complesse per la struttura debolissima della stragrande maggioranza dei comuni, che enti come le unioni di comuni non sono in alcun modo in grado di gestire, trattandosi non di unioni di forze, ma di debolezze.

Le province, oltre tutto, ma, in ogni caso, una circoscrizione di area vasta intermedia tra comuni e regioni, sarebbero l’alveo naturale per l’eliminazione di comunità montane, consorzi, autorità d’ambito ed l’innumerevole ed imprecisato numero di enti sub-regionali (come le Arpa) per una vera razionalizzazione.

Funzioni fondamentali eventuali.

Il legislatore sembra essersene accorto, ma solo parzialmente e in modo, ovviamente, estremamente confusionario.

Infatti, introduce una terza categoria di funzioni, che potremmo definire “fondamentali eventuali”.

Si stabilisce, infatti, che, qualora disposizioni normative statali o regionali di settore riguardanti servizi di rilevanza economica prevedano l’attribuzione di funzioni di organizzazione dei predetti servizi, di competenza comunale o provinciale, ad enti o agenzie in ambito provinciale o sub-provinciale, si applicano obbligatoriamente (in quanto si tratta di disposizioni che costituiscono princìpi fondamentali della materia e princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica) le seguenti disposizioni. Il Dpcm, oppure le leggi statali o regionali, secondo le rispettive competenze, che assegneranno le funzioni provinciali ad altri enti, dovranno anche sopprimere i predetti enti o agenzie e  attribuirne le funzioni alle province nel nuovo assetto istituzionale, con tempi, modalità e forme di coordinamento con regioni e comuni, da determinare nell’ambito del processo di riordino, secondo i princìpi di adeguatezza e sussidiarietà, anche valorizzando, ove possibile, le autono-mie funzionali. Le regioni che adottino le leggi di riordino sono incentivate a prevedere la soppressione di uno o più enti o agenzie, attraverso “misure premiali” con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali, previa intesa in sede di Conferenza unificata, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Anche in questo caso non si può fare a meno di notare l’incoerenza del complesso normativo, che vorrebbe ridurre le funzioni e competenze delle province, ma invece finisce addirittura per incrementarle, ma con un orizzonte limitato, data l’intenzione di sopprimerle.

Complessivamente, lasciare in capo alle province funzioni fondamentali, oltre a quelle facoltative e quelle “fondamentali facoltative” costituisce un errore clamoroso di natura istituzionale ed organizzativa. Infatti, si lasciano in vita, non si sa per quanto, le province riformate, attribuendo loro comunque funzioni e competenze non del tutto irrilevanti, spostando di alcuni mesi il problema vero: chi svolgerà quelle funzioni, una volta abolite.

4 commenti:

  1. La logica conseguenza è che non si dovrebbero abolire le Province, nè toglierle dalla Costituzione. Ma, se non si tocca la Costituzione, anche la "Delrio" può essere cassata dalla Corte Costituzionale.

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  2. Non sarei così sicuro che tutto il progettino fili liscio…

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