sabato 15 marzo 2014

Tutte le illusioni della #spendingreview #Renzi #Pa #governo

Doveva essere pronta già da un po’ la spending review di Carlo Cottarelli. Invece, dovremo pazientare ancora un po’. Perché i conti non tornano. Fin qui abbiamo solo una “spending preview”, un’anteprima, col rischio che resti tale anche dopo la sua “venuta alla luce”, perché le sue cifre sono molto ballerine.

Brutto segno. E’ la prova ultima che la manovra descritta (ma non scritta) dal Governo nel consiglio dei ministri dello scorso 13 marzo poggia su basi finanziarie, cioè il reperimento dei fondi, tutt’altro che certe.

Del resto, è noto: Cottarelli ritiene possibile ottenere, nel 2014, un risparmio di circa 3 miliardi sugli 8 mesi di esercizio restanti; il Governo punta, invece a 5 miliardi.

Evidentemente, una differenza di quasi il 40% delle stime significa che le medesime stime sono molto, ma molto lontane dalla precisione. Dunque, il finanziamento delle manovre governative mediante la spending review è qualcosa di molto simile ad un salto nel buio.

Non c’è da stupirsi. In Italia abbiamo completamente travisato il significato e lo scopo della revisione della spesa, confondendola con un’operazione di taglio.

Non è così. La revisione della spesa dovrebbe seguire questi passaggi:

a)      individuare le specifiche spese;

b)      verificare la loro destinazione e gli scopi;

c)      controllare se gli obiettivi sono conseguiti;

d)      controllare se diversi centri di spesa hanno il medesimo grado di conseguimento degli obiettivi, spendendo, però, più o meno della spesa media complessiva;

e)      verificare se è possibile estendere a tutti i centri di spesa le modalità di gestione più economiche;

f)        confrontare gli obiettivi delle spese tra loro;

g)      assegnare ordini di priorità;

h)      scegliere quali attività ed obiettivi abbiano un basso grado di priorità;

i)        riallocare le spese a bassa priorità verso quelle considerate prioritarie;

j)        giungere alla fine alla verifica di risparmi complessivi e alla rimodulazione dei bilanci a base zero, senza, cioè, una tecnica di incremento dello “storico”.

Si tratta di un processo ben più completo e lungo di quelli attivati sia da Bondi sia da Cottarelli. Che, appunto, non sono affatto spending review, ma più banali, anche se complesse, ricerche di tagli. Per altro, condotte in modo necessariamente sommario, perché i commissari hanno esaminato solo i macro dati dei bilanci, senza avere cognizione minima delle modalità di dettaglio di gestione delle spese.

Tra le idee trapelate, spicca quella di "ridurre il numero delle stazioni appaltanti" a sole 30, 40.

Ora, passare da una stima di circa 30.000 stazioni appaltanti ad un numero inferiore è evidentemente corretto, per quanto occorra tenere presente che incombe sempre l’elevatissimo numero di comuni, 8100, che terrebbe comunque questa soglia piuttosto alta. Ma, pensare di passare da 30.000 a 30 è semplicemente provocatorio e per nulla utile o sostenibile; almeno, non per tutte le tipologie di appalto.

Cottarelli, come tanti, confonde l’appalto con la “gara”. Ma, a monte c’è la progettazione ed a valle c’è la gestione del contratto. Queste fasi, le più delicate e lunghe dei procedimenti di acquisto non possono ovviamente essere accentrate.

E’ immaginabile che 30-40 stazioni appaltanti, allora, possano rendere conto a 30.000 enti competenti all’esecuzione di lavori, servizi e forniture, nella fase di progettazione ed elaborazione degli atti di gara?

Ovviamente no. Concentrare su centrali di committenza come la Consip o centrali regionali la competenza per gli appalti è possibile. Ma, solo per prestazioni in qualche modo standardizzabili, come servizi di telefonia, acquisti di beni (come arredi da ufficio o scolastici). Già andare alla standardizzazione di servizi complessi risulta sostanzialmente impossibile, come dimostrano le difficoltà e anche gli alti costi dei global service previsti dalla Consip. Né è possibile immaginare un mega appalto nazionale per le pulizie: l’analisi specifica delle strutture, degli spazi, delle distanze, rendono ogni appalto troppo particolare per poter essere gestito in unico campo nazionale o regionale.

Lo stesso vale per i lavori pubblici, per i quali, non a caso, il codice dei contratti prevede la stazione unica appaltante, cioè un centro che si occupi appunto solo della gestione della gara e, per questo, una dimensione “intercomunale”, avendo compiuto la scelta, illogica, di non assegnare questa competenza alle province, ma alle unioni di comuni.

È impensabile concentrare, per fare un solo esempio, appalto e fornitore in una mega area territoriale, per il caso delle piccole manutenzioni e ricambi di utensileria. Si tratta di attività necessarie, per esempio, per lavori di manutenzione dei beni degli enti che, occorre ricordare, non sono svolti solo in edifici in centro città, ma anche nelle campagne, in collina, in impervie zone di montagna. Centralizzare simili appalti è semplicemente una sciocchezza.

Non per questo, tuttavia, una riduzione o concentrazione di centrali d'appalto risulterebbe sbagliata sempre. Anzi, in alcuni casi è consigliabile. Si pensi agli acquisti di arredo e alle manutenzioni delle scuole.

Tuttavia, i governi che si affidano alla sapienza di "commissari straordinari " per la spending review, per risparmiare, "scoprono" che per certi appalti è bene ridurre le stazioni appaltanti e che fanno? Decidono di abolire le province. Sicchè per le scuole superiori, restando all'esempio, ci si troverebbe con 1600 (corrispondenti al numero dei comuni in cui sorgono fabbricati con scuole superiori) invece di 107 stazioni appaltanti.

Non sembra proprio che vi sia molta coerenza tra spending review, per quanto spuria, e complessivo disegno di riforma ordinamentale.

Il sospetto è che vizi di ragionamento come quelli evidenziabili per l’idea delle stazioni appaltanti possano esservi su tutte le voci del piano di Cottarelli.

Non approfondiamo la questione delle auto blu: è troppo chiaro che si tratta solo di un omaggio al populismo imperante e che i possibili risparmi risulterebbero semplicemente irrilevanti sul piano finanziario.

Proviamo, però, a guardare punto per punto i dati della spending “preview” come emersi dai giornali, per tentare di capire meglio fondatezza e grado di efficacia della manovra.







































Voce



Risparmio immaginato



Fattibilità ed efficacia



Stipendi degli alti dirigenti e manager pubblici



500 milioni


Sembra di capire che l’idea consista di ridurre del 10% gli emolumenti dei “dirigenti pubblici”.

Sulla questione si sta facendo una confusione enorme, perché vengono compresi tra i “dirigenti pubblici” i vertici delle società pubbliche. Che sono altra cosa.

I dirigenti pubblici veri e propri, sono lavoratori dipendenti, appartenenti ai ruoli delle amministrazioni pubbliche. Sembra che il taglio riguarderà solo quelli della “prima fascia” dello Stato.

La fattibilità appare alta, anche se un taglio del 10% che porta a 500 milioni di risparmio, significa che la voce di spesa per i “manager” pubblici da sola sarebbe di 5 miliardi.

Francamente, appare assurdo che poche centinaia di persone costino al bilancio una cifra così smisurata.

Si pensi che le “famigerate” province, 107 enti con 56000 dipendenti, hanno un volume di spesa, al 2013, di poco più di 10 miliardi.

Questo dimostra che l’attenzione verso le province o il Senato è solo populismo.

Dubbi sui tempi. Se non si impone la riduzione per legge a valere dalle retribuzioni di maggio, ma si lascia che le riduzioni siano frutto di nuovi contratti alla scadenza di quelli già in essere, perché pacta sunt servanda, il risparmio non si avrà certo tutto nel 2014.

Ma, quanto sarebbe costituzionalmente legittima una tagliola agli stipendi imposta per legge?

Blocco totale del turn-over nel pubblico impiego



500 milioni


Non sarebbe una novità, ma un film già visto. Che farebbe ulteriormente invecchiare la già anzianissima compagine dei dipendenti pubblici, ai quali, però, si richiede al contempo modernità e dinamismo.

Ora, l’ipotesi, tuttavia, fa acqua. Infatti, in questo caso non si tratta certo di tagliare spese, come per il caso dei manager.

Occorrerebbe aspettare che il personale pubblico interessato vada in pensione.

A meno, anche in questo caso, di non prevedere che a maggio 2014 tutti quelli con i requisiti di anzianità o vecchiaia vadano in pensione, anche in questo caso il risparmio sarebbe molto graduale e contabilizzabile solo a fine anno. Ma il volume di spesa per la manovra governativa impone che le coperture avvengano subito.

Incentivi a imprese



2 miliardi


Non possono certo essere tagliati gli incentivi già assegnati che devono essere pagati.

La manovra può solo consistere nella riduzione degli stanziamenti, per evitare di prevedere la spesa che si immagina di risparmiare.

Occorre aspettare necessariamente il Def e adeguare il bilancio. Per maggio sarebbe troppo tardi.

Tagli al Ministero della difesa



100 milioni nel 2014


1,5 miliardi nel 2015


2,2 miliardi nel 2016


La cifra prevista nel 2014 è troppo irrisoria per poter essere considerata seriamente fonte di recupero delle ingentissime risorse di cui ha bisogno il Governo.

Riduzione delle spese per locazioni dello Stato



700 milioni


Ancora una volta, a meno di una disposizione di improbabile costituzionalità che autorizzi lo Stato a disdire alla velocità della luce i contratti, la riduzione delle spese per locazioni non potrebbe che avvenire man mano che scadono o si disdicono i contratti, nel rispetto delle clausole e con i periodi di preavviso.

Immaginare di conseguire i 700 milioni di risparmi a maggio è semplicemente impensabile.

Sarebbe, poi, necessario anche quantificare i costi ingenti di traslochi e trasferimenti, ovviamente valevoli per il solo primo anno, tali da vanificare in non insignificante parte un risparmio più credibile solo per il 2015 e a regime.

Acquisti di beni e servizi



2 miliardi


Non è dato sapere nel dettaglio da cosa deriverebbero questi risparmi.

Si è capito che Cottarelli vorrebbe insistere ancora sull’accentramento degli appalti verso la Consip o altre centrali di committenza.

Peccato che gli acquisiti mediante centrali di committenza siano già da due anni (ma, in verità, più ancor) obbligatori, che, come ha dimostrato Report, non è affatto vero che i prezzi della Consip siano migliori e che se non si attiva un sistema di controllo preventivo di soggetti terzi rispetto alle stazioni appaltanti sull’adempimento all’acquisto tramite centrali di committenza, nulla garantisce che l’obiettivo di risparmio venga davvero realizzato.

La sommatoria di questa spending “preview” molto sommaria e di più che dubbia fattibilità, almeno nei tempi necessari per pagare la “cambiale” dei 10 miliardi di riduzione del cuneo fiscale, dà 5,8 miliardi. In linea teorica, dunque, Renzi avrebbe ragione, se si guardano le cifre in modo acritico. Se si pone mente alla concreta realizzabilità e commutabilità dei risparmi nel 2014, la musica cambia e diviene molto più tetra.

Certo, non sono stati evidenziati dai giornali altri possibili risparmi dalle altre voci, come per esempio, quelle più in voga: tagli dalle auto blu e dall’abolizione del Senato e delle province.

In quanto alle auto blu, abbiamo più volte avuto modo di evidenziare come il costo complessivo di questa voce sia di circa un miliardo, del quale circa 750 milioni sono spesa per personale, cioè gli autisti.

La riduzione delle vetture può portare a risparmi su non oltre 250.000 milioni, per un importo ovviamente molto più basso. Occorre considerare che, per altro, già da anni le spese sono state tagliate di un buon 50% e che la gran parte del parco vetture è in noleggio. Dunque, anche in questo caso, il risparmio sarebbe conseguibile in modo molto graduale nel tempo, dovendosi attendere la conclusione dei contratti. A meno anche in questo caso di norme-ghigliottina sui contratti, di dubbia costituzionalità.

Per quanto riguarda l’abolizione delle province, non desta alcuna sorpresa, ma solo rassegnato fastidio il modo con cui i media non specializzati in analisi normativa trattano la questione. Su La Repubblica del 15 marzo 2014, l’articolo “Difesa e polizia, stretta sugli sprechi” a firma Roberto Petrini, riportava, a proposito della spending review, il seguente passaggio: “si punta alla abolizione delle province, già in discussione in Parlamento, che porterebbe in ‘dote’, come ha detto Renzi nei giorni scorsi, anche il dimagrimento delle 108 prefetture e sedi di Bankitalia”.

Sono tutte informazioni non corrette. L’abolizione delle province non è affatto in discussione in Parlamento, presso il quale giace il ddl Delrio che, essendo una legge ordinaria, non può abolire le province, previste dalla Costituzione. Infatti, si tratta di uno scellerato disegno di trasformazione delle province in enti “di secondo grado” (il “modello” approvato in Sicilia è semplicemente un disastro gattopardiano) alle quali sottrarre progressivamente competenze. L’abolizione delle province giungerà con la riforma, semmai, della Costituzione e del suo Titolo V.

Allo stesso modo, non è per nulla vero che le province portino con sé l’eliminazione delle sedi delle prefetture o di qualsiasi altro ufficio statale periferico. Lo Stato potrebbe dall’oggi al domani, con una semplicissima sua legge, decidere di riarticolare i propri uffici periferici come meglio ritiene, in quanto non esiste alcun legame obbligatorio con l’ente provincia.

I risparmi, dunque, dalle province, che nessun organo tecnico del governo ha fin qui mai quantificato e che la Corte dei conti ha ben due volte considerato inesistenti a fronte dei certi maggiori costi, non possono essere portati a finanziare la spesa della manovra che il Governo intende avviare.

Meno che mai quelli derivanti dalla modifica del Senato, il quale non costa 1 miliardo, come ha più volte erroneamente fatto pensare Renzi, ma poco più di 500 milioni. Cifra che per l’80% è destinata a personale e servizi, dunque incomprimibile se non si abolisce il Senato, ma lo si trasforma nella mostruosa camera delle autonomie cui si sta pensando. E, anche in questo caso occorrerebbe aspettare una riforma della Costituzione, totalmente incompatibile con qualsiasi spending, review o preview che sia.

 

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