Se qualcuno della stampa generalista leggesse la legge 190/2012, cosiddetta legge Severino, scoprirebbe che, pur essendo denominata "legge anticorruzione", con il contrasto alle mazzette non ha nulla a che vedere.
Infatti, la legge 190/2012 non si cura del reato di corruzione (se non nella sua seconda parte che dedica alcune riforme al codice penale), bensì della "corruzione amministrativa". Si tratta, cioè, di tutti quei comportamenti che, nell'ambito della gestione dell'attività amministrativa, compromettano (anche solo potenzialmente) il perseguimento dell'interesse pubblico "corrompendolo" o inquindandolo con il soddisfacimento di interessi privati, ancorchè ciò non comporti reato.
Questa definizione del concetto di corruzione di cui tratta la legge 190/2012 è sostanzialmente dettata proprio dall'Autorità nazionale anticorruzione, nel suo Piano Nazionale Anticorruzione.
L'Anac, dunque, è perfettamente consapevole di quale sia la portata del suo ruolo. Che non è affatto quello di scoprire le mazzette, come da tantissimi giorni si legge sui giornali. L'Anac, invece, si limita a dettare, mediante il già citato piano nazionale, regole generali da rispettare per prevenire comportamenti di corruttela, potendo svolgere limitati poteri di verifica e controllo sull'adozione, da parte delle amministrazioni pubbliche, di propri piani "aziendali" anticorruzione, codici di comportamento ed azioni concrete di presidio ed applicazione di tali piani. Tutto qui.
Per quanto la stampa generalista desti l'impressione che l'Anac disponga di pochi poteri di controllo e repressione dei reati di corruzione, nella realtà l'Anac, per espressa previsione della legge 190/2012, non dispone per nulla di tali poteri. D'altra parte, spetta alla magistratura e non certo ad un organismo amministrativo perseguire i reati.
Oggettivamente, stupisce un po' che il neo presidente dell'Autorità con le sue dichiarazioni presti il fianco all'impressione falsata che delle competenze ed attività dell'Anac viene fornita in questi giorni. Il presidente, infatti, lamenta pochi poteri e si presenta ora come disponibile, ora come dubbioso, sulla possibilità che accetti il ruolo di commissario delle procedure di gara per Expo, piuttosto che per Mose. Attività che, comunque, con la repressione dei reati nulla ha a che vedere, riguardando, invece, lo svolgimento delle funzioni amministrative in modo efficiente, efficace e nel rispetto della legalità.
La legge 190/2012, inoltre, non prende in alcun modo in esame l'operato del corruttore, mentre considera come potenziale corrotto solo ed esclusivamente il dipendente pubblico: nemmeno una riga o una parola della legge è dedicata, infatti, agli organi di governo, insomma agli amministratori politici.
Insomma, la legge Severino è partita dall'assioma che la corruzione "amministrativa" sia un rischio proprio soltanto del dipendente pubblico. Per questa ragione dedica solo ai dipendenti pubblici la notevole quantità di norme e passaggi burocratici da essa previsti. E il dpr 62/2013 il Codice di comportamento nazionale (al quale devono corrispondere tanti singoli codici di comportamento specifici per ciascuna amministrazione) riguarda solo ed esclusivamente i dipendenti pubblici.
Insomma, in poche parole stupirsi perchè l'Anac non riesce a scoprire od evitare la corruzione è non solo inutile, ma fuori luogo, proprio perchè il compito dell'Anac non è per nulla questo. Oggetto delle sue competenze non sono i reati, non sono i singoli atti gestionali, ma solo la verifica se gli enti abbiano adottato o meno i piani anticorruzione e i codici di comportamento, se questi possano risultare credibili e funzionali, esprimere pareri sul tema, raccordarsi con le istituzioni internazionali ed il Dipartimento della Funzione pubblica e poco altro.
Se, dunque, qualcuno leggesse davvero i contenuti reali della legge 190/2012 scoprirebbe che tutta l'enfasi attribuita in questi giorni alle competenze dell'Autorità e ai contenuti stessi della legge è piu' un modo per fuorviare dalla soluzione dei problemi legati alle mazzette negli appalti.
Tale soluzione non può reperirsi nell'operato dell'Anac. Nè nelle funzioni dell'Autorità per la vigilanza dei contratti pubblici (Avcp), altra authority a sua volta presa in considerazione dalla stampa che si stupisce della presunta inefficacia delle misure di prevenzione e repressione delle mazzette.
Anche in questo caso, tuttavia, la mira è totalmente sbagliata. L'Avcp non ha il compito di scoprire le tangenti. Semmai, ha la funzione di garantire il corretto rispetto del complesso complicatissimo delle disposizioni normative che regolano gli appalti pubblici, ricavate dalla ridda contorta ed inestricabile delle norme contenute nelle centinaia di articoli che compongono il d.lgs 163/2006 (codice dei contratti pubblici) e il dpr 207/2010 (regolamento di attuazione del codice dei contratti). L'Avcp, poi, si cura di sanzionare in vario modo le aziende che non rispettino alcuni obblighi procedurali e interviene, su segnalazione delle parti, per verificare e risolvere casi di irregolarità amministrativa.
Tra l'altro, l'Avcp è uno strano caso di autorità "indipendente" che, però, viene finanziata dai soggetti nei confronti dei quali svolge il suo operato, mediante il famigerato contributo che sia le amministrazioni appaltanti, sia gli appaltatori, debbono versarle. Le prime, per pubblicare i bandi; i secondi, per partecipare alle gare.
Non è, dunque, nemmeno l'Avcp il soggetto che possa efficacemente scoprire le tangenti, o, comunque, prevenirle e reprimerle.
Nella realtà, come spiega su Italia Oggi del 7 giugno 2014 Tino Oldani (C'è anche un'Authority che dovrebbe vigilare sugli appalti pubblici ma non ha mai scoperto una sola tangente. Perchè non abolirla?), gran parte del sistema delle tangenti o della corruzione deriva dai paradossi della legislazione. Insomma, causa prima degli spazi nei quali si infiltra il malaffare è proprio il Parlamento, con le sue leggi.
Tra le tante attività che l'Avcp svolge, c'è anche quella di realizzare studi e ricerche informative sul sistema degli appalti. Piu' volte l'Avcp ha spiegato e dimostrato che - come per altro intuirebbe facilmente chiunque - la corruzione è molto piu' semplice nel caso di affidamenti diretti, senza gara e attraverso procedure di urgenza.
Bene. Nonostante queste ovvietà, comunque ben approfondite e dimostrate, il costume del Parlamento è spessissimo quello di approvare leggi e norme "in deroga" alle regole poste dal codice dei contratti pubblici e dal suo regolamento di attuazione, per favorire proprio procedure accelerate di affidamento diretto nel caso delle "grandi opere", cioè quelle caratterizzate da costi ed investimenti imponenti e, dunque, per loro stessa natura, piu' "appetibili" da chi intenda delinquere.
Per paradosso, accade che risulti molto piu' complicato acquistare una fornitura di cancelleria, che non affidare i lavori del Mose. Infatti, le procedure ordinarie di appalto sono stringenti, pervasive, ingabbianti e rendono complesso e lungo spendere perfino cifre di non rilevante entità per poche migliaia di euro. Invece, grazie alle deroghe, tutto diventa improvvisamente semplice, liscio e diretto, ma meno controllabile.
I risultati di questo modo di agire ed intendere la normativa sugli appalti e la corruzione sono sotto gli occhi di tutti.
Autorità amministrative non possono risolvere i problemi, anche perchè guardano da Roma all'intero sistema degli appalti in Italia.
L'esperienza dei grandi appalti e dei grandi costi dovrebbe far riflettere su idee oggettivamente un po' discutibili come quelle proposte da Cottarelli sulla concentrazione delle procedure di appalto in poche decine di stazioni appaltanti: tutti gli appalti diverrebbero "grandi opere" per cifre rilevantissimi, tali da essere esposti per la rilevanza delle cifre gestite all'aggressione di corruttori e corrotti.
Gli strumenti per incidere davvero sulla corruzione sono altri. Chiudere con le deroghe poste a facilitare le trattative private proprio per i grandissimi appalti; sfoltire il ginepraio di norme, regole, procedure, passaggi, contenuto nel codice dei contratti, buone solo per complicare gli affari semplici ma non ad impedire la corruttela; reintrodurre controlli amministrativi esterni e preventivi di legittimità sugli atti amministrativi e sui contratti, sciaguratamente aboliti 17 anni fa dalle leggi Bassanini.
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