La riforma “rivoluzionaria” della pubblica amministrazione era prevista per aprile. E’ slittata a giugno. Va bene, dettagli. L’importante è che le norme siano approvate, in tempi serrati. Se slitta qualche termine, che importa? Dunque, il 13 giugno, approvata la riforma. Cioè no. Il 13 giugno non si sa cosa sia stato approvato. Forse un decreto legge, forse un disegno di legge delega, forse entrambi.
Sta di fatto che, come noto, dal 13 giugno si è dovuto aspettare il 24 giugno, 11 giorni, per avere finalmente l’idea precisa di cosa il Governo avesse approvato. Era un decreto-legge, il 90/2014.
Ma, la riforma della PA, almeno alla luce di quel decreto, di rivoluzionario non ha assolutamente nulla. Si parla di “staffetta generazionale”, ma in realtà non c’è alcun ringiovanimento del personale. Né è dato riscontrare il minimo risparmio di spesa o diminuzione d’entrata.
Si dirà: la riforma contemplava, però, anche un disegno di legge delega. Che è stato approvato a luglio (non ad aprile, né a giugno). Anche del testo di questo disegno di legge delega, approvato l’11 luglio, ancora oggi, mentre si scrive, a 8 giorni di distanza non si ha traccia. E’ il nuovo gioco del “legifera al buio”. L’importante è approvare la legge. Il suo contenuto concreto c’è sempre tempo per definirlo.
Sembra, tuttavia, che dai testi per ora in circolazione, il Governo abbia voluto tenere fede ad uno dei punti della riforma della PA, enunciati nella famosa lettera che nella primavera scorsa sostituì l’adozione della riforma (tanto è lo stesso: lettera, legge, decreto legge, slide o legge-delega sono la stessa cosa; basta inserire nella Costituzione le slide, no?).
Si tratta dell’abolizione della figura dei segretari comunali. Essa appare nell’articolo dedicato alla dirigenza pubblica.
Sulla dirigenza, i media generalisti e, soprattutto, il qualunquismo demagogico “anti casta” fibrilla per il fatto che si stia introducendo la “licenziabilità” (come se non fosse già oggi prevista). La dirigenza, dunque, fa audience. E pazienza se la riforma che si delinea a tutto serve, tranne che alla licenziabilità, ma è finalizzata, soprattutto, alla creazione di una dirigenza politicizzata, in tutto e per tutto organica alla politica.
A cosa realmente serva l’abolizione dei segretari comunali è, invece, tutto da capire. Sburocratizzare? I segretari comunali non hanno alcun rilievo ai fini degli appesantimenti burocratici. Sono una figura di coordinamento e garanzia e, anzi, la loro presenza consente di snellire, controllare, sostituirsi per i ritardi e prevenirli, organizzare al meglio.
Risparmiare denaro pubblico? Non si prevede il licenziamento dei segretari comunali, che gradualmente transiteranno nei ruoli dirigenziali. Dunque, non vi sono immediati o rilevabili effetti di risparmio.
Rilanciare il Pil e l’economia? Questo effetto, che sarebbe certamente auspicabile e ben venuto, purtroppo non si evince neanche dall’intero disegno di riforma, figurarsi quanto possa essere connesso all’abolizione di una figura come i segretari comunali.
E’ un’abolizione che potrebbe apparire, nella sostanza, fine a se stessa. Che, tuttavia, per come impostata – almeno sulla base dei testi oggi disponibili – espone, per l’ennesima volta, al caos organizzativo ed interpretativo.
Abolita la figura, non è chiarissimo che fine facciano le funzioni svolte. Esse, tuttavia, non possono estinguersi.
Le funzioni del segretario espressamente enunciate dal d.lgs 267/2000 e dalla legge 190/2012 sono molteplici:
1) compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti;
2) sovrintendenza allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e coordinamento dell'attività, salvo quando ai sensi e per gli effetti del comma 1 dell'articolo 108 il sindaco e il presidente della provincia abbiano nominato il direttore generale;
3) partecipazione con funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta e cura della verbalizzazione;
4) espressione del parere di regolarità tecnica, nel caso in cui l'ente non abbia responsabili dei servizi;
5) possibilità di rogare tutti i contratti nei quali l'ente è parte ed autenticare scritture private ed atti unilaterali nell'interesse dell'ente;
6) direzione del controllo di regolarità amministrativa successiva;
7) esercita le funzioni di direttore generale nell'ipotesi prevista dall'articolo 108 comma 4
8) esercizio della funzione di responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza;
9) possibilità di esercitare ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia.
Nessuna delle funzioni sopra elencate appare riunciabile (salvo la n. 9, comunque fondamentale in particolare nei comuni di piccole dimensioni).
L’eliminazione della figura del segretario comunale, comporta una sorta di “diaspora” delle sue funzioni tipiche, le quali potranno essere, dunque, “distribuite” tra più incarichi dirigenziali.
L’effetto concreto, dunque, della cancellazione del segretario consiste proprio nell’eliminazione della figura in quanto tale, sicchè non vi sarà più una linea di continuità “status-funzioni”. I comuni potranno istituire un incarico dirigenziale simile a quello del segretario, oppure ripartirne le funzioni tra incarichi vari.
Se questo, tuttavia, appare corretto e possibile per gli enti di grandi dimensioni nei quali operino figure dirigenziali, non altrettanto chiare sono le conseguenze sembra per i comuni privi di dirigenza.
Lo schema di disegno di legge distingue in questo caso tra i comuni con 5.000 e oltre abitanti e quelli con meno di 5.000 abitanti.
Per i primi, anche se privi di dirigenti, è data la facoltà di “nominare comunque un dirigente apicale con compiti di attuazione e controllo dell’indirizzo politico, coordinamento dell’attività amministrativa e controllo della legalità amministrativa, in luogo del segretario comunale”.
Una previsione un po’ strana, perché sembra rendere facoltativa la funzione, ad esempio, di controllo della legalità amministrativa.
Forse era opportuno precisare molto meglio i contenuti. Si dovrebbe, comunque, interpretare la norma nel senso che ferme restando le funzioni irrinunciabili connesse oggi alla figura del segretario, esse possono continuare (ovviamente) ad essere ricondotte ad una figura unica. La norma sembra scritta in modo da lasciar intendere che gli enti privi di figure dirigenziali possano assumere un dirigente da quello che sarà l’albo unico dei dirigenti locali, per affidargli queste funzioni. Ci sarebbe da capire, allora, il meccanismo di nomina e le conseguenze operative. Infatti, la presenza di un unico dirigente nell’ente comporta disfunzioni operative di non poco conto, perché non si può più dare luogo all’assegnazione di funzioni dirigenziali ai funzionari, ai sensi dell’articolo 109, comma 2, del d.lgs 267/2000.
Nulla esclude, comunque, che dette funzioni possano essere attribuite ai funzionari apicali, distribuite come nel caso degli enti con dirigenti.
Per i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, nelle more del completamento dei processi associativi, si stabilisce che in ogni caso la funzione direzionale apicale dovrà essere gestita in forma associata. Dunque, la riforma intende escludere che presso ciascun piccolo comune possa (tanto meno debba) esserci una figura direzionale. I piccoli comuni saranno tenuti ad associarsi. In questo caso, potranno avvalersi della facoltà di nominare un dirigente, come nei comuni con oltre 5.000 abitanti ma privi di dirigenza, con tutte le connesse difficoltà operative segnalate prima.
Che si tratti di un caos oggettivo, sembra difficile possa sfuggire. Allora a cosa serve l’abolizione della figura del segretario comunale? Appare totalmente funzionale al rafforzamento della dirigenza funzionale alla politica vista prima.
Non si dimentichi che il d.l. 90/2014 ha già esteso alla percentuale spropositata del 30% della dotazione organica la possibilità di assumere dirigenti ed apicali fuori dotazione organica. Sarebbe la sublimazione del tentativo prodotto nel 1997: consentire ai sindaci totale arbitrio nella scelta del segretario comunale. Basterà, dopo l’attuazione della riforma, prendere un dirigente dall’esterno, meglio se, ovviamente, funzionale al partito, e attribuirgli l’incarico ed il gioco è fatto. Niente più specifici concorsi, agenzie o ministeri a garanzia della professionalità della figura, procedure per incaricare e nominare.
Ancora una volta, l’analisi dei contenuti della riforma stenta a reperire sugli specifici istituti l’utilità generale, che dovrebbe essere il fine di ogni legge.
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