Ricordate l’attuale Sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Graziano Delrio, trionfante dopo l’approvazione della sua (deleteria) riforma delle province? Tra le molte affermazioni prive di qualsiasi elemento dimostrativo, tese a spiegare la presunta utilità di una riforma tra le più sgangherate mai viste, c’era quella secondo la quale grazie all’intervento sulle province, si sarebbero ricavate risorse per costruite mille asili nido.
In particolare, l’incauta affermazione/promessa era riferita al risparmio dei “costi della politica” delle province, fatti passare come chissà quale ingentissima cifra. Nella realtà, al netto degli effetti delle manovre di Tremonti del 2011, si sarebbe trattato di 35 milioni di risparmi, come ha anche tentato di spiegare, inutilmente, la Sezione Autonomie della Corte dei conti al Parlamento nel corso delle vacue audizioni tenute in merito alla riforma Delrio.
In effetti, degli effetti di bilancio derivanti dalle leggi il Governo non se n’è fatto nulla e, dunque, nel d.l. 66/2014 (il “decreto Irpef” con la prima dose degli 80 euro) ha piazzato per le province un taglio di 100 milioni, forfettariamente riferiti al risparmio su costi da indennità e gettoni di presenza, che invece costavano il 65% in meno.
A meno, comunque, di una clamorosa distrazione di chi scrive, non risulta, però, da nessuna iniziativa normativa una “conversione” di questi risparmi in spesa per asili nido. D’altra parte, 100 milioni diviso i mille presunti asili nido che deriverebbero dal taglio alle province determinerebbero una spesa di 100.000 euro. E lo capisce chiunque che con tale cifra un asilo nido nemmeno lo si inizia, ma, soprattutto, non lo si può neanche gestire.
E allora? Ci si sarebbe aspettati il ritorno di fiamma con la legge di stabilità, che nel frattempo inferisce alle province, nel solo 2015, un taglio di ben un miliardo, destinati a diventare 2 nel 2016 e 3 nel 2017. Hai voglia di asili nido, no?
Ma, anche in questo caso, l’analisi della legge lascia delusi. Il tema “asilo nido” non viene nemmeno minimamente sfiorato.
Viene il lontanissimo (e certamente infondato) sospetto, allora, che tutti i riferimenti ai benefici derivanti dalla riforma delle province riguardanti gli asili nido fossero solo propaganda.
Purtroppo, ma sarà un’impressione sbagliata, questo sospetto viene ingigantito dalla circostanza che il disegno di legge di stabilità, lungi dall’investire un centesimo in asili nido, investe circa 200 milioni nell’ormai famoso “bonus bebè”, attraverso sempre 80 euro alle neomamme. Facendo qualche moltiplicazione, 80 euro per 12 mesi fa 960 euro; dividendo 200 milioni per 960 a beneficiarne sarebbero circa 208.000 famiglie.
Ma, un solo asilo nido, anche minimale, con una sola aula, di famiglie ne soddisfa almeno 6. E la costruzione e soprattutto la gestione dell’asilo nido non solo risolverebbe uno dei grandi deficit sociali dell’Italia, che da sempre non dedica alcuna attenzione alle esigenze della famiglia e, in tal modo, alimenta in modo decisivo i problemi occupazionali delle donne, ma aiuterebbe alla creazione di posti di lavoro.
In sostanza, dunque, la riforma delle province sugli asili nido ha avuto impatto zero via zero. Questo, non solo perché, in effetti, non poteva essere altrimenti, ma anche per la semplice ragione che di asili nido si parla solo. Costruire asili nido significa avere progetti a medio termine, indirizzare gli investimenti verso un’utilità sociale diffusa, ma poco visibile. Destinare, invece, anche poche risorse per poche famiglie d’èlite (il paradosso è la fruibilità del bouns bebè anche per famiglie con redditi piuttosto alti) con bonus annunciati in trasmissioni perfettamente simboleggianti il kitsch politico-nazional-popolare nel quale viviamo, dà molti più consensi. Che, se consentite, per la conservazione del potere contano molto di più degli asili nido.
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