Non essere “addetto ai lavori” per un sindaco implica l’assenza di responsabilità erariale, nel caso di adozione di delibere che conducano a spese non giustificate?
Stando alla recente giurisprudenza della Corte dei conti, l’assunto sembra restringersi al caso in cui il sindaco in questione sia il primo cittadino di Firenze, incidentalmente divenuto anche Presidente del consiglio. Per gli altri sindaci, no.
E’ noto che la Sezione Prima d’appello centrale della Corte dei conti, con la sentenza 4 febbraio 2015, n. 107, ha mandato assolto l’attuale premier per l’assunzione nel suo staff e della giunta, quand’era sindaco, di quattro dipendenti inquadrati con lo stipendio da laureati, pur essendo privi della laurea, fondamentalmente perché il sindaco “non è un addetto ai lavori”. Sicchè, la circostanza che l’istruttoria condotta dagli uffici non fece chiaramente rilevare l’illegittimità di quegli inquadramenti, fu ritenuta sufficiente, insieme appunto all’assenza di competenza specifica, per assolvere il sindaco.
Un mese prima dell’assoluzione del premier la sentenza 19 gennaio 2015, n. 3 della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale dell’Emilia Romagna, invece aveva condannato al risarcimento del danno erariale l’ex sindaco del comune di Cervia, per una situazione analoga: aver dato corso all’assunzione del direttore generale del comune, privo di laurea.
Una lampante disparità di trattamento, per casi sostanzialmente uguali. Si dirà: la sentenza della Sezione Emilia Romagna era antecedente a quella della Sezione I centrale d’appello, dunque quest’ultima avrebbe potuto essere l’apertura di un nuovo indirizzo giurisprudenziale, particolarmente garantista per i sindaci.
Non sembra che le cose stiano prendendo questa piega. Almeno, a giudicare da quanto ha deciso la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Puglia, con sentenza 10 febbraio 2015, n. 68. Oggetto, sempre l’assunzione negli staff, regolate dal famigerato articolo 90 del d.lgs 267/2000, sostanzialmente sfociate in illegittimi inquadramenti di veri e propri dirigenti (l’articolo 90 utilizzato, insomma, al posto del concorso o dell’articolo 110 sempre del Tuel), in assenza della verifica dell’assenza di professionalità interne.
Al di là del merito della sentenza, che chiarisce – si spera per sempre – che l’articolo 90 del d.lgs 267/2000 ammette solo la costituzione di rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato e non l’immissione negli staff politici di collaboratori coordinati e continuativi, è fondamentale la parte finale del dispositivo, ove si legge: “Circa la sussistenza dell’elemento soggettivo nella specie della colpa grave, il Collegio, in ossequio al criterio della “colpa in concreto”, ritiene che per ravvisare la gravità il giudizio di riprovevolezza debba basarsi su un quid pluris rispetto ai parametri di diligenza posti dagli artt. 1176 c.c. e 43 c.p.
Nel caso che ci occupa è indiscutibile che il Sindaco e la Giunta abbiano posto in essere atti rientranti esclusivamente nelle proprie competenze. Ne deriva che sarebbe bastata una diligentia minima nell’esame preliminare degli atti da adottare circa la ravvisabile legittimità e liceità degli stessi; esame che comunque non poteva prescindere dalla constatazione del noto orientamento giurisprudenziale in materia assunto da questa stessa Sezione Regionale della Corte dei Conti e che si è avuto modo di riportare sopra.
L’inesperienza amministrativa, nonché il possesso di titoli di studio estranei alla gestione amministrativa non possono rilevare ai fini dell’esenzione da responsabilità allorchè si verta in tema di atti gestionali adottati autonomamente dagli organi politici e rientranti, per l’appunto, nelle scelte discrezionali riconosciute dalla legge ad essi. In altri termini, non può essere affermata una irresponsabilità tout court dei soggetti politici, i quali sono comunque tenuti, nell’esercizio delle proprie specifiche ed esclusive competenze, a ben documentarsi, in fase istruttoria, sulla legittimità-liceità del proprio operato”.
Si tratta della negazione assoluta e decisa di quanto ha affermato la Sezione I centrale d’appello. Esattamente al contrario di ciò che ha deciso tale Sezione, la Sezione Puglia ritiene inesistente nell’ordinamento una presunzione di irresponsabilità dei sindaci (e degli organi di governo) derivante sia da inesperienza professionale, sia da assenza di titoli di studio adeguati all’attività politica da svolgere.
Insomma, il “non essere addetti ai lavori”, lungi dall’essere un’esimente, non rileva nel modo più assoluto per escludere la responsabilità erariale, perché in ogni caso incombe sui politici l’obbligo di documentarsi, esaminare le istruttorie, approfondire e verificare la legittimità dei provvedimenti, specie quando si tratta di quelli indubitabilmente ricadenti nella propria sfera esclusiva, come l’assunzione dei dipendenti dei propri staff.
La Sezione Puglia, per ribadire ancor meglio le proprie conclusioni, poi afferma: “E’ appena il caso di rilevare “incidenter tantum” che un “parere” di regolarità tecnica reso dal competente Responsabile non esime gli organi politici, in considerazione della delicatezza degli atti gestionali da assumere direttamente e in via esclusiva, da ulteriori accertamenti “in subiecta materia”, trattandosi per l’appunto di un mero parere al quale tuttavia è pure attribuita una certa rilevanza, stante il disposto del comma 3 del citato art. 49 T.U.E.L.”. Dunque, nemmeno la presenza di pareri favorevoli o comunque laconici, esclude il dovere degli organi di governo di approfondire le questioni sulle quali deliberare.
Questa sentenza rende ancor più delicato il problema che sta aprendo il disegno di legge delega di riforma della PA, oggi all’attenzione della Camera, che come è noto intende introdurre l’esclusiva responsabilità della dirigenza. Ma, soprattutto, evidenzia in capo alla Corte dei conti una forte incoerenza nel valutare situazioni tra loro sovrapponibili, lasciando aperto, amaramente, il sospetto che certe assoluzioni e certe condanne non siano il frutto di valutazioni del tutto serene e coerenti.
Mi viene in mente il famoso "La Legge non ammette ignoranza"
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