Solo nell’autunno dello scorso anno, con la conversione in legge del “decreto-Madia”, il d.l. 90/2014, in molti inneggiavano alla “staffetta generazionale” ed allo “sblocco del turn over”.
Si diceva e ribadiva che la PA aveva “cambiato pagina”, in virtù di un decreto grazie al quale i giovani avrebbero avuto finalmente spazio, anche grazie al progressivo innalzamento dei tetti annuali di spesa per il turn over.
Per gli enti locali, già nel 2014 la spesa passò al 60% del costo delle cessazioni dell’anno precedente, e nel 2016 sarebbe dovuta ascendere all’80%.
Già all’epoca, chi scrive ebbe a nutrire molte perplessità sulla durata nel tempo di queste “aperture” alle assunzioni. Era facile comprendere che si trattava di regole molto traballanti, limitandosi semplicemente a guardare i Def e le connesse note di aggiornamento, per accorgersi che la spesa di personale della PA rimaneva ferma o era destinata alla riduzione, per comprendere che le manovre indicate dal d.l. 90/2014 avevano il fiato corto.
Non si poteva immaginare, tuttavia, che il fiato fosse proprio cortissimo o assente. La “staffetta generazionale” era soltanto una bolla di sapone, irrealizzabile, perché connessa a pochissime migliaia, se non centinaia di pensionamenti.
In secondo luogo, l’innalzamento dei tetti della spesa, a pochissimi mesi dalla vigenza della legge 114/2014 di conversione del decreto, venne vanificato dalla legge 190/2014, che con il suo intervento esiziale sulla riforma delle province, come è noto ha di fatto congelato per due anni le assunzioni. Con buona pace delle staffette generazionali, dell’ampliamento delle capacità di spesa, delle aspirazioni degli idonei, oltre alle mille altre disfunzioni e problemi creati, tanto che ancora alle soglie dall’undicesimo mese di vigenza non solo il processo di ricollocazione dei dipendenti provinciali non è ancora partito, ma si corre ulteriormente a mettere toppe – parziali, troppo parziali – ai danni causati dalla legge 190/2014.
Quale toppa è già stata messa, in malo modo, dal d.l. 78/2015, convertito in legge 125/2015. Ma, l’intervento è stato talmente parziale e poco incisivo che il Governo, ammettendo ancora una volta indirettamente la fallimentare struttura della legge 190/2014, deve ancora correre ai ripari.
Tuttavia, poiché il Governo si ostina a tenere in piedi una disciplina normativa che non vuole ammettere espressamente essere totalmente sbagliata per non perdere i consensi creati ad arte sul tema, i correttivi sono ancora una volta parziali e poco efficaci. Sebbene, in chiara controtendenza con norme e indicazioni risalenti a nemmeno un anno fa.
Così, il disegno di legge di stabilità per il 2016, andando in contrasto frontale col “decreto-Madia” ed anche allo scopo di reperire parte del finanziamento delle poche centinaia di milioni messi a disposizione per il rinnovo dei contratti, inciderà sul turn-over, riportando le lancette dell’orologio a due anni fa, quando la soglia era del 40% del costo delle cessazioni dell’anno precedente.
Una mossa che per il 2016 ha anche poco senso, visto che anche questa annualità sarà interessata dal congelamento delle assunzioni, nel tentativo di ricollocare i dipendenti provinciali in sovrannumero. Ma, si tratta di un segnale molto chiaro: chi si illudeva davvero che nel 2018 il turn over sarebbe tornato al 100% aveva fatto i conti senza il Pil, il deficit, l’obbligo del pareggio di bilancio, gli indicatori macroeconomici da crisi ancora profonda, al di là del “segno più” previsto per il 2015, uno 0,9% di Pil, a fronte di una caduta del Pil stesso a -9% dal 2008 ad oggi.
La seconda pezza al malo modo di regolare il processo di ricollocazione dei dipendenti provinciali è legato all’idea di inserire nella legge di stabilità 2016 un finanziamento, in questi giorni quotato in 100 milioni, per sostenere in particolare la spesa del Ministero della giustizia, chiamato ad assumere circa 2.000 sovrannumerari.
Anche in questo caso è la confessione indiretta dell’errore clamoroso della legge 190/2014 che ha di fatto inchiodato ed impedito il riordino previsto dalla legge Delrio; quest’ultima, pur tra mille difetti e velleità, aveva chiarito che il personale provinciale passasse con dotazioni finanziarie che le medesime province avrebbero dovuto trasferire agli enti destinatari delle mobilità (e delle funzioni). Il prelievo forzoso di 3 miliardi alle province ha impedito il funzionamento di questo meccanismo, scaricando i costi delle assunzioni sulle regioni e, in parte, sugli enti che assumessero i soprannumerari: infatti, l’articolo 1, comma 424, della legge 190/2014, obbliga ad utilizzare le risorse assunzionali.
Questa decisione della legge 190/2014 è la principale causa di 10 mesi di stallo, nel quale le mobilità dei dipendenti provinciali si sono viste col contagocce. Il finanziamento di 100 milioni per il Ministero della giustizia conferma l’erroneità della legge di stabilità dello scorso anno: la ricollocazione dei dipendenti non poteva non essere finanziata, alla stregua di una cessione di ramo d’azienda.
Inoltre, ancora una volta lo Stato si dimostra patrigno nei confronti delle regioni ed enti locali: infatti, il ddl di stabilità 2016 con lo stanziamento dei 100 milioni in esame ammette indirettamente gli errori commessi, ma la correzione la riserva solo a se stesso. Per altro in modo estremamente generoso: con una retribuzione media di poco meno di 30.000 euro dei dipendenti provinciali, per assumerne 2.000 basterebbero poco più di 60 milioni.
Infine, i testi del ddl che si inseguono (nella puntuale ridda di indiscrezioni dovuta alla circostanza che il Consiglio dei ministri evidentemente non approva testi consolidati) indicano che per le mobilità verso il Ministero della giustizia non occorrerà il nulla osta. Una previsione piuttosto strana: se le mobilità, come pare, saranno guidate dall’applicativo PMG ai sensi del DM 14.9.2015, ciò significa che i 2.000 provinciali destinati al Ministero saranno necessariamente soprannumerari. Ma, se le province individuano i dipendenti soprannumerari, è ovvio che non occorrerà alcun nulla osta per la loro mobilità, visto che la condizione di sovrannumerarietà implica la sostanziale cancellazione dalla dotazione organica e dal ruolo.
Dietro ad una simile previsione del ddl di stabilità 2016 si potrebbe aprire un altro immenso problema: l’eventualità che le mobilità verso il Ministero della giustizia riguardino anche personale non formalmente soprannumerario. Una situazione che creerebbe ulteriore caos alla situazione già in accettabilmente confusionaria creata dalla legge 190/2014.
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