Su
Il Sole 24 Ore del 3 ottobre 2015, Giorgio Santilli intervista Raffaele
Cantone, presidente dell’Anac, per magnificare la “soft regulation”.
Ancora
una volta, il provincialismo italico e l’assenza di idee, costringono ad
utilizzare gli inglesismi, che rendono tanto “figo” chi li pronuncia, molto
trendy, manager e ovviamente cool.
Per
soft regulation si intende un processo che ha ormai deciso di intraprendere il
Parlamento in maniera esplicita mediante la riforma degli appalti, ma in realtà
già da tempo vigente, sia pur non in forme sempre esplicitamente regolate:
l’abbandono della regolazione di una materia mediante disposizioni di legge o
regolamentari, per lasciarla, invece, alle pronunce interpretative o linee
guida di autorità di varia natura.
In
parole povere: il disegno di riforma degli appalti intende abbandonare il
regolamento di esecuzione del codice dei contratti, dpr 207/2010 (bene: si
tratta di un fardello illeggibile di centinaia di articoli), per sostituirlo
con poteri di regolazione non ancora ben definiti da attribuire all’Anac.
Ovviamente,
il primo a rallegrarsi e gongolare per questa “evoluzione” del diritto è
Raffaele Cantone, che certo non lo nasconde nell’intervista. Santilli osserva “Le linee guida Mit-Anac al posto del
regolamento. Per molti è una soluzione ardita”. Ma, sicuro di sé Cantone ribatte: “Sono stato io a suggerire al ministro Delrio questa soluzione che fa
storcere il naso ai puristi del diritto perché sfugge alle classificazioni
tradizionali delle fonti. Effettivamente la soluzione costituisce una nuova frontiera di forte sperimentazione che io
difendo e considero fondamentale perché introduce una soft regulation che consente un maggiore confronto con il mercato”.
Apprendiamo
con soddisfazione che una persona che di professione fa il magistrato e da tale
carica non si è dimesso nel prestarsi ad attività amministrativa a stretto
contatto col Governo, ritiene che il diritto sia roba da “puristi”. Siamo sicuri
che nell’esercitare la funzione di magistrato non si sarà mai fatto sfiorare da
simile modo di vedere la legge, la sua funzione, il sistema delle fonti. Anche
perché dovrebbe risultare chiaro che detto sistema va relazionato con un
orpello che forse i puristi del diritto considereranno ancora utile, mentre gli
innovatori meno, la Costituzione: dunque, la soft regulation dovrebbe essere in
qualche misura integrabile nel sistema disciplinato dalla Costituzione. Riba da
“puristi”, certo.
Ma,
a far storcere e molto la bocca, non è tanto l’invenzione di un sistema
normativo che ha ben poco di costituzionale e democratico. Affidare ad
un’authority la regolazione di rapporti commerciali tra soggetti che operano
nel mercato non desta problemi; attribuire poteri di regolazione ad
un’authority, come l’Anac, in un ambito come quello degli appalti, ove si opera
in un regime non di mercato, bensì di relazioni molto delicate tra PA e propri
fornitori, è completamente un’altra cosa.
E’
evidente che i principi democratici impongono ai Governi di esercitare la
regolazione dei rapporti tra PA e privati con leggi, per far sì che si possa
imputare la scelta al popolo che elegge i Parlamenti e garantire l’interesse
generale ed il controllo democratico, mentre una soft regulation come
immaginata da Cantone diviene una sorta di dialogo a due tra il Ministro dei
lavori pubblici e l’uomo della provvidenza di turno insediato presso l’Anac.
Ciò
che fa storcere, dicevamo, davvero la bocca, allora, è l’affermazione finale di
Cantone: la soft regulation “consente un
maggiore confronto con il mercato”. Prego? Cosa vuol dire, avrebbe dovuto
chiedere l’intervistatore.
La
domanda non è stata fatta, la risposta rimane incerta. Sorge, allora,
fortissimo il dubbio che l’Anac ed il suo presidente possano immaginare che la
soft regulation, adottata con propri atti di regolazione del tutto sfuggenti al
controllo e al processo di formazione della volontà parlamentari, possa essere
frutto non di una regolazione dell’interesse generale, ma di ciò che chiede il
mercato, cioè le aziende, cioè la controparte della PA.
E’
ovviamente un’apertura incondizionata ai poteri delle lobby. Finchè c’è un
Cantone, persona autorevolissima e dalla schiena dritta, alla guida dell’Anac,
potrebbe anche essere che l’attenzione al mercato si risolva solo nella
produzione di regole soft volte a facilitare i processi di relazione tra PA e
fornitori, senza incidere sugli interessi pubblici. Basta, però, scivolare
verso futuri incarichi a persone già pochissimo meno autorevoli di Cantone, per
rendere fortissimo il rischio che le lobby prendano un sopravvento tale da
rendere vano sperare che le riforme degli appalti e la soft regulation, come le
centrali di committenza o ogni altro strumento possano davvero ridurre i costi
delle commesse pubbliche e rendere più efficiente e meno corrotto il sistema.
Già
le lobby si muovono. Quella degli ingegneri ed architetti, duramente colpita da
anni di crisi nera dell’edilizia e riduzione abissale della spesa pubblica di
investimento, sta ottenendo un primo risultato: l’eliminazione dell’incentivo
del 2% per i progettisti interni agli enti pubblici. Un regalo ai
professionisti esterni, che costerà milioni e milioni alla PA.
E’
questo quello che si vuol ottenere con la soft regulation? Il completo
superamento di uno strumento di garanzia e di partecipazione, come la legge
approvata da un Parlamento liberamente eletto, da parte di strumenti
individuali del “principe illuminato”, come la direttiva, la Faq o il tweet? La
direzione presa è molto chiara. Gli sviluppi, purtroppo, pure.
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