La Uil ha presentato ai media
uno studio sui servizi pubblici per il lavoro comparati tra Italia, Francia e
Germania, per la verità non contenente alcuna novità, ma subito per molti è
stata l’occasione parlare di “flop” dei centri per l’impiego.
Occorre chiedersi se sia
esattamente questa la conclusione da dover trarre, letti i principali dati
elaborati dalla Uil.
Suscita la sensazione del “flop”
il dato relativo all’intermediazione, che vede in effetti l’Italia perdente su
tutta la linea.
Infatti, in Italia i servizi
pubblici per il lavoro intermediano il 3,1% dei contratti, cioè meno della metà
(il 46,26%) di quanto avviene in Francia ove la percentuale di intermediazione
pubblica è del 6,7%; il dato è ancor più deludente se paragonato a quello della
Germania rispetto alla quale in Italia si intermedia meno di un terzo (il
29,52%): infatti l’intermediazione
tedesca al 10,5% dei contratti.
Alcune preliminari
considerazioni, comunque, si possono trarre. Anche in Paesi nei quali i servizi
per il lavoro funzionano bene, la percentuale di intermediazione è molto bassa.
In Francia il 93,3% dei contratti segue canali diversi dall’intermediazione
pubblica; in Germania lo stesso accade nell’89,5% dei casi.
Il dato italiano è, dunque,
deludente, ma in un quadro di libero mercato, ove è piuttosto evidente che l’intermediazione
privata prevalga, perché quella pubblica ha un logico ruolo di regolatore e di
intervento per smussare gli angoli, non certo di esclusivo fulcro dell’intermediazione.
Andiamo oltre. Lo studio della
Uil, poi, analizza le risorse che le tre Nazioni prese in esame destinano (dati
2011) ai servizi per il lavoro. Non si tratta di novità, perchè l’Eurostat da
sempre mette in evidenza questi elementi di analisi. Comunque, da quanto
rilevato dall’Istat, in Italia si investe lo 0,04% del Pil; in Francia lo
0,25%; in Germania lo 0,34%.
Nessuno, tuttavia, ha constatato
che in Italia i servizi pubblici per il lavoro:
a)
intermediano meno della metà di quanto accade in
Francia, pur avvalendosi di investimenti di 6,25 volte inferiori;
b)
intermediano meno della metà di quanto accade in Germania,
pur avvalendosi di investimenti di 8,25 volte inferiori.
Una constatazione semplicissima
come questa, basata su elementi rilevati dallo studio Uil evidenzia, un fatto
piuttosto chiaro: se in termini di efficacia i servizi per il lavoro italiani
sono deficitari, in termini di efficienza, cioè di rapporto tra risultati
ottenuti e risorse utilizzate, sono parecchie volte più efficienti di quelli
francesi e tedeschi. Questo è un flop?
Ma, si potrebbe obiettare che in
realtà in Italia comunque operino nei servizi per il lavoro troppi dipendenti,
idea generalmente applicata a tutto l’apparato pubblico. E’ proprio così? Lo
studio della Uil, anche su questo punto niente affatto innovativo, conferma di
no.
Nel 2011 in Italia gli operatori
erano 8.575; in Francia 49.400; in Germania 115.000 mila. Dunque, l’intermediazione
di poco inferiore alla metà di quella francese è realizzata da servizi che nel
2011 disponevano di un numero di dipendenti inferiore di 5,76 volte. Il
rapporto con la Germania è ancora più disarmante: i servizi per il lavoro in
Italia nel 2011 avevano 13,41 volte meno dipendenti, pur con una capacità di
intermediazione inferiore di 3 volte. Si tenga presente che, grazie alla
riforma delle province, nel 2016 il numero degli addetti ai servizi per il
lavoro si è ulteriormente contratto a 5.337 dipendenti.
Che si tratti di una questione
di efficienza è dimostrato dall’ultimo dato rilevato dalla Uil, la spesa media
per lavoratore intermediato: euro 8.674 in Italia, contro euro 15.062 della
Germania, euro 21.593 della Francia ed euro 14.062 della Ue.
Questi dati pare siano
sufficienti a dimostrare che si potrebbe realmente parlare di “flop” dei centri
per l’impiego, se questi disponessero delle medesime risorse di quelli presi a
paragone o, almeno, di risorse minimamente comparabili.
Se si afferma “flop dei centri
per l’impiego”, si dà la sensazione che siano questi uffici e i dipendenti che
ivi lavorano a lavorare poco e male.
I dati dello studio Uil, invece,
se analizzati in modo corretto, svelano un’altra verità: che in Italia si
investe pochissimo nei servizi da rendere per aiutare le persone a cercare
lavoro, di fatto conculcando un diritto che, non a caso, in Paesi competitori
più attenti ai temi del lavoro e del sociale è sostenuto con investimenti di
decine di volte maggiori.
Il “flop”, allora, non è affatto
dei centri per l’impiego, bensì di anni di politiche ed interventi che hanno
negato costantemente simili investimenti. Né il Jobs Act, e in particolare il
d.lgs 150/2015, cambiano direzione: la riforma dei servizi per il lavoro,
infatti, non prevede nessun investimento in tali servizi e, anzi, postula l’invarianza
di una spesa che, come notato, rispetto a Francia e Germania è infinitesimale.
Tanto che lo stesso striminzito risultato del 3,1% di intermediazione stupisce
negativamente, ma contemporaneamente porta a chiedersi come sia stato comunque
raggiunto, vista la scarsezza di mezzi e risorse.
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