sabato 6 febbraio 2016

Salario accessorio: la prova dell’inadeguatezza dell’armonizzazione contabile

L’espressione “armonizzazione contabile” è suggestiva. Dà l’idea di un intervento normativo appunto “armonico”, ben equilibrato, coerente, chiaro, capace di regolare in modo semplice la disciplina contabile. Allo stesso modo, uno degli elementi dell’armonizzazione contabile, la “competenza finanziaria potenziata” evoca una contabilità “potente”, capace di imbrigliare qualsiasi equivoco e di risolverlo, mediante regole talmente tanto vincolanti quanto evidenti e semplici.

Ovviamente, niente di tutto questo risulta aderente alla realtà. Il prodotto del d.lgs 118/2011, purtroppo, è l’ennesimo caos. Basti pensare alla disastrosa redazione dei “principi contabili”. Prima della riforma dell’armonizzazione contabile, poche decine di regole erano previste dal d.lgs 267/2000 per disciplinare la finanza locale; dopo, queste regole si sono convulse e moltiplicate sia nel Tuel, sia nella soffocante (e mal scritta) ridda di principi: pagine e pagine di regole complicatissime, che abbisognano di esempi e tavole, a loro volta altrettanto complicate. Tali, comunque, da non fornire certezza alcuna agli operatori e non in grado nemmeno di coprire esattamente l’intero ventaglio della disciplina, che pure vorrebbero armonizzare in modo potenziato.


L’esempio più clamoroso è dato dalla regolazione sicuramente imprecisa, involuta, lacunosa, atecnica e lontana dalla realtà dei fatti, prevista per gli impegni di spesa legati alla contrattazione decentrata integrativa.

Il principio contabile 4/2, punto 5.2, cerca di impostare anche sulla contrattazione decentrata integrativa regole analoghe a quelle indicate per l’acquisizione di beni e servizi. Il risultato è un caos.

Il tutto, parte certamente da molto lontano e, in particolare, da visioni burocratiche, formalistiche e restrittive della gestione, fonti, per altro, dell’immane contenzioso generato dalle ispezioni del Mef, che a tali visioni pedanti e pedisseque spesso si appoggiano, incoraggiate da chiavi di lettura dell’Aran molte volte lontanissime dalla realtà giuridica, per la semplice ragione che l’Aran ricava i propri orientamenti applicativi da un’operazione di vera e propria creazione del diritto e di regole del tutto inesistenti nei contratti.

Partiamo, allora, da un primo vizio genetico che attanaglia da sempre la materia e che, per effetto della contabilità nuova, diviene esiziale: la necessità del provvedimento formale di costituzione del fondo della contrattazione decentrata.

Qual è la norma che impone di adottare il provvedimento formale di costituzione del fondo? A questa domanda nessuno sarà in grado di rispondere, per una ragione molto ovvia: questa norma semplicemente non esiste. Almeno, non esisteva prima della micidiale formulazione del principio contabile 4/2, punto 5.2.

In via di sola e mera prassi, si è accettato che ai fini della costituzione del fondo occorra un provvedimento specifico. Proprio perché è una sorta di diritto da “consuetudine” connesso alla opinio iuris ac necessitatis (peccato che in Italia le consuetudini non costituiscano fonte di diritto), non sono mai state chiarite alcune circostanze:

  1. qual è l’organo competente: è maggioritaria la tesi che si tratti di atto gestionale, ma non di rado si vedono atti di costituzione del fondo adottati dagli organi di governo;

  2. la natura della costituzione: atto unilaterale oppure negoziale; anche in questo caso, sebbene la maggior parte degli interpreti e degli operatori sia persuasa che si tratti di un atto non negoziale, quasi tutti i contratti, comunque, incorporano la costituzione del fondo come clausola del contratto;

  3. termine entro il quale costituire il fondo: non essendovi alcuna regolazione normativa della disciplina, non è dato desumere alcun termine; è percepito in modo chiaro che il fondo andrebbe costituito all’inizio dell’esercizio finanziario, ma i casi di costituzione a fine anno o, addirittura, nell’anno successivo a quello di riferimento non si contano.

Nessuno ha mai dato una risposta alla domanda: ma, è davvero proprio necessario costituire il fondo, con un provvedimento formale di natura gestionale?

Accorta dottrina[1], afferma: “Ricordiamo che per la costituzione del fondo per le risorse decentrate non è necessario che sia stato approvato il bilancio preventivo”.

Poniamo, ora, che quanto affermato sia corretto e che, dunque, occorra necessariamente che l’approvazione del bilancio di previsione preceda la costituzione del fondo mediante provvedimento espresso. Questo significa che il provvedimento di costituzione deve risultare vincolato alle indicazioni del bilancio, del quale è, nella sostanza, solo un elemento esecutivo-esplicativo.

Si potrebbe, anzi, si dovrebbe, allora, trarre una conclusione: se il provvedimento di costituzione del fondo è attuativo delle indicazioni del bilancio di previsione, ha realmente valore costitutivo? Oppure, solo dichiarativo?

Per rispondere, occorrerebbe chiedersi, ancora: il responsabile di servizio o dirigente competente ad adottare il fondo (accettando la tesi della competenza gestionale) potrebbe mai approvare un provvedimento di costituzione del fondo che si differenzi (specie in rialzo) rispetto a quanto ha stabilito il consiglio, mediante il bilancio di previsione?

La risposta è scontata: no. Ma, allora, a cosa serve il provvedimento formale di costituzione del fondo? E’ perfettamente immaginabile cosa abbia pensato chiunque abbia letto l’ultima domanda posta: “a nulla”.

In effetti, poiché il bilancio di previsione deve rispondere al principio di verità, il capitolo riferito al fondo delle risorse decentrate ivi contemplato non può che riferirsi ad una corretta quantificazione delle risorse medesime. Il provvedimento può avere l’esclusivo valore di meglio dettagliare il contenuto complessivo finanziario del fondo. Quindi, è da considerare un provvedimento avente natura dichiarativa e non costitutiva.

Ciò che, realmente, “costituisce” il fondo è il provvedimento che lo rende davvero disponibile al bilancio.

Citiamo altra dottrina[2], che in maniera acuta sottolinea: “Contabilità e bilancio, al contrario del passato, sono due fenomeni distinti. La prima registra gli impegni che, solo quando esigibili, si imputano in bilancio. Ne deriva che, in caso di entrate vincolate, le spese impegnate ma non esigibili sono reimputate, con il fondo pluriennale vincolato, nell'esercizio in cui si manifesta l'esigibilità. Per aversi fondo pluriennale vincolato è essenziale, con eccezioni riguardanti le opere pubbliche, una spesa impegnata ma non esigibile”.

Il bilancio rende impegnabili le risorse stanziate, secondo le regole contabili. Ma, l’impegno viene imputato al bilancio, solo quando risulta esigibile e, cioè, quando venga in essere il titolo giuridico che fonda l’insorgere dell’obbligazione da parte dell’amministrazione.

Ora: l’impegno di spesa sulle risorse decentrate, su cosa si appoggia? Sul bilancio di previsione, oppure sul provvedimento di costituzione del fondo, sapendo che detto provvedimento, ovviamente, non può impegnare alcuna spesa? Anche in questo caso, non possiamo rispondere che in un modo: è il bilancio di previsione il presupposto dell’impegno di spesa, non l’atto di costituzione del fondo. Che, dunque, non costituisce un bel nulla, ma, solo, esplicita e dichiara, senza funzione costitutiva.

Se queste banalissime riflessioni fossero tenute ben presenti, la ricostruzione tanto cara ad Aran e servizi ispettivi del Mef, basata su opinioni e consuetudini, potrebbe essere facilmente contestata e privata di fondamento. Non esiste, meglio dire non dovrebbe esistere, un problema di mancata costituzione del fondo, una volta che il bilancio di previsione sia approvato, perché è il bilancio che costituisce il fondo.

Questa semplice riflessione sarebbe utilissima per scardinare uno dei principali problemi connessi appunto alla contrattazione: l’esistenza del fondo.

Purtroppo, però, i bilanci di previsione in Italia sono divenuti qualcosa d’altro. Li si approva da 26 anni sempre con ritardi crescenti, fino a giungere a ben oltre l’estate, se non addirittura a novembre.

La costituzione del fondo, dunque, se considerata subordinata e connessa al bilancio di previsione rischia comunque di intervenire molto tardi e non per colpa di inerzie delle delegazioni trattanti o per colpa di atteggiamenti ostruzionistici delle parti sindacali. Il che, dunque, poi spinge a sottoscrivere i contratti decentrati a fine anno, se va bene; oppure l’anno successivo, se va peggio (trascuriamo il dato patologico della mancata sottoscrizione).

Dato quanto sopra, cosa fanno i principi contabili? Semplificano in modo armonicamente potenziato? Nemmeno per sogno. Creano ulteriore caos, a partire dall’accettazione supina della necessità che esista un provvedimento di costituzione del fondo.

Vediamo cosa è scritto nel principio contabile: “Alla fine dell’esercizio, nelle more della sottoscrizione della contrattazione integrativa, sulla base della formale delibera di costituzione del fondo, vista la certificazione dei revisori, le risorse destinate al finanziamento del fondo risultano definitivamente vincolate. Non potendo assumere l’impegno, le correlate economie di spesa confluiscono nella quota vincolata del risultato di amministrazione, immediatamente utilizzabili secondo la disciplina generale, anche nel corso dell’esercizio provvisorio […] In caso di mancata costituzione del  fondo nell’anno di riferimento, le economie di bilancio confluiscono nel risultato di amministrazione, vincolato per la sola quota del fondo obbligatoriamente prevista dalla contrattazione collettiva nazionale. Identiche regole si applicano ai fondi per il personale dirigente”.

Peggiore formulazione e regolazione delle fattispecie sarebbe stato davvero difficile realizzare.

Notiamo che gli augusti redattori del principio contabile:

  1. sono riusciti nel capolavoro di mettere in dubbio che la costituzione del fondo sia atto di natura gestionale, riferendosi ad un atto di “delibera”, ascrivibile, come noto, agli organi di governo e non a quelli gestionali;

  2. hanno incardinato nel sistema la necessità del provvedimento formale di costituzione del fondo, nonostante abbia utilità pari a zero, senza per altro indicare scadenze e modalità.

Un capolavoro di caos, che, infatti, ha gettato nel caos le amministrazioni, sempre più avvitate nel già troppo difficile processo di contrattazione.

Seguiamo, comunque, le casistiche possibili rispetto alla contrattazione, ancora una volta richiamando la dottrina[3].

Prima casistica: entro l’esercizio finanziario vi sia il bilancio di previsione, sia approvato il provvedimento di formale costituzione del fondo, sia approvato (in questo caso dalla giunta) l’incremento della parte variabile del fondo ai sensi dell’articolo 15, commi 2 e 5, del Ccnl 1.4.1999 e sia sottoscritto in via definitiva il contratto.

Tutto, in questo caso, è andato liscio. È possibile impegnare la spesa, imputando quella relativa all’anno in corso (sostanzialmente la gran parte delle risorse stabili) all’anno stesso; l’imputazione, invece, del salario legato al risultato (come anche delle risorse variabile per incentivi alla progettazione, o per l’avvocatura o per gli uffici tributi), all’anno successivo, con finanziamento che trova la propria fonte nel fondo pluriennale vincolato. Le progressioni orizzontali vanno imputate, invece, nel medesimo anno: la valutazione viene effettuata l’anno successivo, ma gli effetti decorrono dal primo di gennaio dell’anno nel quale si è stipulato il contratto (se lo si stipula entro l’anno).

Seconda casistica. Entro l’esercizio finanziario vi sia il bilancio di previsione, sia approvato il provvedimento di formale costituzione del fondo, sia approvato (in questo caso dalla giunta) l’incremento della parte variabile del fondo ai sensi dell’articolo 15, commi 2 e 5, del Ccnl 1.4.1999 ma non sia stato sottoscritto in via definitiva il contratto.

La dottrina citata, condivisibilmente afferma: in questo caso il fondo “va gestito mediante l'avanzo vincolato. Questa spesa, difatti, non è impegnabile e l'assenza dell'impegno vieta il ricorso al fondo pluriennale vincolato. Ricordiamo che l'avanzo vincolato può essere da subito applicato al bilancio di previsione e utilizzato anche in esercizio provvisorio”.

Benissimo, tutto questo risponde a quanto indicato nel principio contabile. Piccolo problema: come si fa a ritenere giuridicamente possibile stipulare, l’anno dopo, un contratto per l’anno prima? Eppure, questa è una convinzione radicatissima nelle amministrazioni, per altro fonte di strali da parte delle ispezioni del Mef.

Il principio contabile sembra ammettere la possibilità che il contratto si stipuli con quel ritardo che, invece, ispettori, Aran e Corte dei conti non hanno mai ammesso.

E’ proprio così? L’ordinamento, dunque, accetta che il contratto possa stipularsi senza nessun termine?

Non diremmo. Se così fosse, non avrebbe alcun senso la previsione delle disposizioni contrattuali vigenti sull’ultrattività dei contratti stipulati in precedenza, disposta proprio come rimedio principe all’assenza di un nuovo contratto.

In mancanza del nuovo contratto, si applica il vecchio. Il rischio è, però, che la destinazione delle risorse ivi prevista non sia sufficiente per finanziare tutti gli istituti e le indennità.

Ma, se la clausola di ultrattività è da considerare ancora vigente, perché il principio contabile ammette l’idea di somme che non si possono impegnare, tanto da confluire invece che nel fondo pluriennale vincolato, nell’avanzo vincolato?

Armonizzazione e potenziamento avrebbero dovuto spingere verso una direzione ben diversa, che, invece, il principio contabile ha scelto per la contrattazione nazionale collettiva. Infatti, si prevede che l’imputazione dell’impegno avviene “nell’esercizio di riferimento, automaticamente all’inizio dell’esercizio, per l’intero importo risultante dai trattamenti fissi e continuativi, comunque denominati, in quanto caratterizzati da una dinamica salariale predefinita dalla legge e/o dalla contrattazione collettiva nazionale”.

Ma, gli augusti estensori del principio contabile sanno certamente che buona parte dei “trattamenti fissi e continuativi” che siano “caratterizzati da una dinamica salariale predefinita dalla legge e/o dalla contrattazione collettiva nazionale” sono compresi nella parte stabile del salario accessorio: per esempio la retribuzione individuale di anzianità; oppure l’indennità di vacanza contrattuale. Ma, anche l’indennità di comparto, imposta dalla contrattazione collettiva nazionale come trattamento fisso e continuativo, pur finanziato dalle risorse decentrate. Le stesse progressioni orizzontali, per quanto decise a livello decentrato, una volta realizzate accedono al trattamento fondamentale, pur trovando il finanziamento nel fondo per il salario accessorio. Nel caso di specie, si tratta di istituti a ben vedere sottratti a qualsiasi contrattazione, posto che essa, come è noto, si riferisce alla destinazione delle risorse. Le stesse progressioni orizzontali già svolte e, dunque, il salario accessorio di sviluppo già attribuito, non costituiscono elemento di contrattazione, ma di adeguamenti automatici connessi al turn over del personale (restituzioni al fondo nel caso di cessazioni, rifinanziamenti dal fondo nel caso di assunzioni)[4].

Quindi, perché non estendere questo meccanismo automatico anche alle altre voci del fondo di parte stabile, regolate dai contratti decentrati ultrattivi? Si sarebbe potuto (e dovuto) prevedere un impegno automatico anche relativo alle altre voci, posto che esse finanziano comunque prestazioni continuative: pensiamo alle retribuzioni di posizione e risultato per le posizioni organizzative (negli enti con la dirigenza); oppure alle indennità d maneggio valori, turno, rischio, disagio, particolari responsabilità: i servizi a turno, i lavori rischiosi, le attività delle PO non è che spariscano all’improvviso perché non c’è l’impegno di spesa!

Sarebbe stato sufficiente prevedere un impegno provvisorio automatico a valere sul bilancio dell’esercizio di riferimento, da sostituire come scrittura contabile una volta stipulato il nuovo contratto.

In ogni caso, a contratto non stipulato nell’anno finanziario di riferimento, ma in quello successivo, come è possibile immaginare di imputare correttamente sul piano amministrativo la spesa relativa alla produttività? Il principio contabile trae davvero in inganno: lascia trasparire la possibilità che il contratto si possa stipulare l’anno successivo ed impegnare-imputare la spesa relativa sull’avanzo vincolato da applicare per le risorse del fondo di parte stabile diverse da quelle che non traggono fonte dalla legge o dai Ccnl direttamente; e pare suggerire di poter fare altrettanto per le risorse di parte variabile. Tuttavia, sul piano giuridico, senza il contratto che l’anno precedente abbia fornito titolo per attivare il finanziamento dei processi valutativi, si tratterebbe di introdurre, in sostanza, il finanziamento ed il titolo stesso per la “performance” in via retroattiva. La Corte dei conti e l’ispettorato del Mef sarebbero d’accordo? Lecito dubitarne.

L’assenza del contratto collettivo decentrato integrativo entro l’anno implica l’irrimediabile perdita della possibilità di erogare il fondo di parte variabile connesso alla performance. L’eventuale parte del fondo di parte stabile residuale, non destinato, che come è noto finanzia la produttività, potrebbe essere utilizzata senza problemi solo se il principio contabile consentisse un impegno automatico di massima a valere sul contratto precedente ultrattivo. Il che non è.

C’è, poi, la terza situazione, esiziale: entro l’esercizio finanziario non vi sia il bilancio di previsione, oppure vi sia ma non sia approvato il provvedimento di formale costituzione del fondo, il che rende inutile che sia approvato (in questo caso dalla giunta) l’incremento della parte variabile del fondo ai sensi dell’articolo 15, commi 2 e 5, del Ccnl 1.4.1999 e rende impossibile sottoscrivere in via definitiva il contratto.

Secondo il principio contabile, ciò crea delle economie di bilancio, che confluiscono nel risultato di amministrazione, ma vincolato per la sola quota del fondo obbligatoriamente prevista dalla contrattazione collettiva nazionale.

Di fatto, questa terza situazione non è molto diversa dalla precedente, perché manca comunque il contratto, cioè il titolo per impegnare legittimamente, ed imputare, la spesa. Come la precedente situazione si prevede che vadano non nel fondo pluriennale vincolato, ma nel risultato di amministrazione tutte le economie, vincolate (ed applicabili al bilancio) per la sola parte obbligatoriamente prevista dalla contrattazione collettiva nazionale. Secondo la dottrina citata[5]Dalla mancata costituzione deriva che solo la quota del fondo obbligatoriamente prevista dalle regole nazionali, ossia le risorse stabili, è considerabile avanzo vincolato”.

Se fosse così, se, cioè, tutte le risorse stabili fossero considerabili avanzo vincolato, davvero non vi sarebbe differenza con la situazione precedente, se non l’assenza delle possibilità, che però è solo illusoria, di considerare applicabile l’avanzo anche per la parte variabile del fondo, in via retroattiva.

In realtà, come visto prima, la parte stabile del fondo è composta da risorse che debbono essere erogate comunque, senza la necessità di una destinazione contrattata; altra parte delle risorse, invece, necessita la destinazione negoziale. Questa seconda parte, per effetto della poco saggia indicazione del principio contabile, è da considerare non vincolata nell’avanzo di amministrazione e, dunque, avanzo libero.

Questo excursus contribuisce a prendere atto che gli estensori dei principi contabili hanno agito in modo isolato, senza coordinare bene, come sarebbe stato necessario, la propria azione con le indicazioni normative e contrattuali e, probabilmente, senza nemmeno concertare con l’Aran, la magistratura contabile ed i servizi ispettivi quanto da loro scritto, che, infatti, crea immensi problemi attuativi.

Si nota certamente che l’idea fissa della necessità di un provvedimento formale di costituzione del fondo, diverso dal bilancio di previsione, è solo fonte di potenziali enormi problemi. Si è persa l’occasione di precisare che un provvedimento formale è necessario, a inizio anno, al massimo entro febbraio, solo nel caso di rinvio dell’approvazione del bilancio di previsione: tale costituzione non potrebbe consentire l’impegno della spesa, ma almeno eviterebbe le conseguenze devastanti previste dai principi contabili.

Si nota, ancora, che il principio contabile può indurre le amministrazioni a ritenere possibile non stipulare i contratti per tempo, perché pone un rimedio contabile ad una situazione tuttavia non rimediabile sul piano giuridico, visto che i contratti non possono avere efficacia retroattiva. Si è persa l’occasione per coordinare la disciplina finanziaria e contabile con quella dell’ultrattività dei contratti.

Si nota, infine, che questo sistema così complesso non è di alcun aiuto operativo, ma fonte di ulteriore caos.

Nessuno sottolinea che il processo di costituzione del fondo e della contrattazione può e deve realizzarsi anche in assenza della specifica indicazione delle cifre. La contrattazione ha il solo scopo di dettare “i criteri per la ripartizione e destinazione delle risorse finanziarie”. I criteri, dunque, non le cifre. Un atto dichiarativo della costituzione del fondo potrebbe non essere nemmeno necessario, perché il criterio consiste, per esempio, nel convenire di effettuare o meno le progressioni orizzontali ed in caso affermativo, destinare una certa percentuale delle risorse destinabili; criterio è decidere di confermare o meno l’indennità di turno, in relazione all’organizzazione dei servizi e destinare una certa percentuale, e così via. Così agendo, le contrattazioni potrebbero essere velocissime, le preintese stipulate addirittura prima dell’anno finanziario (come la contrattazione nazionale collettiva richiederebbe), sì da avere traccia del titolo giuridico prestissimo e poter poi stipulare il contratto definitivo non con efficacia retroattiva, ma in tempi magari dilatati da esigenze di rinvio dei bilanci, su istituti già contrattati tra le parti ben prima.

Il sistema, insomma, già non funzionava prima, come attestato dalla circostanza che le ispezioni hanno espresso rilievi praticamente nel 100% dei casi. Le cose sono, allora, chiare: non essendo possibile immaginare che tutti gli enti delinquono o siano composti da incompetenti, le regole sono troppo complesse ed esposte ad interpretazioni estemporanee.

Si poteva e doveva porvi rimedio. Ma, i principi contabili, al contrario, hanno creato e stanno creando ancora caos su caos.

Un’ulteriore dimostrazione? Citiamo per un ultima volta l’accorta dottrina più volte richiamata[6]: “Si tenga presente, infine, che, a prescindere dalla formale costituzione o meno del fondo, in corso d'anno parte dell'accessorio viene comunque liquidata a fronte di prestazioni eseguite (posizioni organizzative, rischio, reperibilità eccetera)”.

Questa affermazione può trovare condivisione solo a patto di ritenere operante (come dovrebbe essere) l’ultrattività del contratto precedente non rinnovato e di poter considerare automaticamente impegnata la spesa connessa.

La conclusione cui arriva l’autore è di assoluto buon senso e porta immediatamente ad un moto di condivisione. C’è un però: i principi contabili assolutamente non lo prevedono e, al contrario, sembrano deporre per la soluzione opposta, altrimenti non si capirebbe perché persino le risorse stabili dovrebbero confluire nell’avanzo vincolato.

Allora, traendo spunto dalle riflessioni dottrinali che nel frattempo stanno maturando, sarebbe auspicabile che si scenda dalla torre d’avorio e si abbandoni, contestualmente, la convinzione che possano essere solo le regole contabili a governare il mondo. Se in Italia c’è un eccesso di juristocracy (del che è per altro lecito dubitare), altrettanto vero è che il passaggio da una disciplina di ordinamento solo ed eccessivamente giuridico, ad una solo governata da idee e regole economico-finanziarie (molto, troppo volatili, come l’esperienza insegna) è esiziale. Lo ha fatto capire la Corte costituzionali, per esempio, con le sue decisioni sul blocco delle indicizzazioni delle pensioni, sugli incarichi dirigenziali ai funzionari cooptati delle Agenzie, sul blocco della contrattazione nel pubblico impiego. Ragioni e metodi della contabilità e della finanza debbono sposarsi, e non rendersi autonome, con quelle del diritto. Queste due, poi, dovrebbero sottomettersi alla logica e al buon senso. Ma, forse, è chiedere troppo.

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[1] C. Dell'Erba, La costituzione del fondo per le risorse decentrate (www.ilpersonale.it 13/7/2015).

[2] L. Cimbolini, 2016 i fondi per il nuovo contratto del pubblico impiego, ne il Quotidiano degli Enti Locali.

[3] L. Cimbolini, cit.

[4] La negoziazione sulla destinazione del fondo per le progressioni orizzontali può scattare solo laddove si decida di realizzare nuove procedure selettive per la progressione economica.

[5] L. Cimbolini, cit.

[6] L. Cimbolini, cit.

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