Se c’è un ambito particolarmente
sofferto e continuamente oggetto di norme, prassi, sentenze e atti di controllo
contraddittori e incoerenti è quello che riguarda gli incarichi dirigenziali e
lo spoil system.
Nei giorni scorsi, sono venute
in luce tre pronunce molto complicate e di difficile coordinamento tra loro,
che, ulteriormente, si incastrano con estrema difficoltà nel disegno di riforma
contenuto nella legge 124/2015 che, come noto, mira a potenziare moltissimo lo
spoil system, attraverso la formidabile precarizzazione degli incarichi
dirigenziali.
Andiamo con ordine (non
cronologico). La Corte dei conti, Sezione Centrale del controllo di legittimità
sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, ha adottato la
deliberazione 5 febbraio 2016, n. 2, così massimata: “Il conferimento di incarichi dirigenziali non può prescindere
dall’effettuazione delle procedure
concorsuali ai sensi dell’art. 19 del d.lgs 165/2001. Sono illegittimi i conferimenti effettuati
senza il rispetto delle forme regolamentari di pubblicità dei posti vacanti ed in assenza delle procedure valutative
in quanto il suddetto procedimento appare effettuato al duplice scopo di
contemperare sia l’interesse dell’Amministrazione ad attribuire il posto al più
idoneo in ossequio al principio del buon andamento, sia ad assicurare la parità di trattamento e le legittime aspirazioni degli
interessati, come ripetutamente affermato da questa Sezione con delibere
nn. 21/2010/PREV; 3/2013/PREV; 25/2014/PREV”.
Il fatto è molto semplice:
presso la Presidenza del consiglio dei ministri un dirigente rischiava di
rimanere senza incarico, per effetto delle norme del Governo Monti sulla
riduzione delle dotazioni dirigenziali. Sicchè, la Pcdm ha pensato bene di
assegnargli direttamente un incarico dirigenziale tra quelli disponibili nei
ruoli, senza attivare la procedura pubblica selettiva prevista dall’articolo
19, commi 1 e 1-bis[1], del d.lgs 165/2001.
L’incarico attribuito in via d’urgenza,
saltando le procedure, come si legge nella deliberazione della magistratura
contabile, era già stato oggetto “di
specifica procedura concorsuale che si era conclusa con l’individuazione di un
aspirante che, peraltro, vi aveva subito rinunciato, in tal modo facendo
sorgere la legittima aspettativa di altro partecipante a vedersi nominato in
sua vece”. Insomma, l’incarico non era proprio così disponibile come la
Pdcm aveva ritenuto.
E’ piuttosto evidente come il
datore di lavoro pubblico abbia avuto (come spessissimo si può riscontrare nei
fatti) una gran voglia di anticipare nei comportamenti gli effetti che saranno
garantiti dalla riforma Madia: la possibilità, cioè, di scegliere senza alcuna
limitazione alla discrezionalità che non discenda da un semplice simulacro
procedurale, chi incaricare, quando e per quale incarico, senza attivare
nessuna concreta ed efficace selezione tra i dirigenti di ruolo, con poca
applicazione del criterio del “merito”, pure continuamente evocato.
La Sezione sul punto è, a dir
poco, drastica: “l’Amministrazione, per non
creare forme di discriminazione, debba mettere senza indugio a disposizione dei
dirigenti tutti i posti vacanti allorquando si rendano disponibili, riservandosi
di effettuare una valutazione ponderata tra coloro che hanno manifestato
l’interesse a ricoprirli attraverso la specifica procedura selettiva. Da
ultimo, si rammenta che il giudizio dell’Amministrazione medesima secondo i
dettami del citato art. 19, che richiamano i principi di imparzialità di
derivazione costituzionale, deve essere fondato su “criteri di scelta”
previamente resi noti agli interessati, i quali garantiscano che tali
valutazioni siano fondate su fatti obiettivi e verificabili, anche al fine di
evitare un contenzioso che rallenta l’azione amministrativa”.
Raccogliamo i “tag” di questo
ultimo passaggio: “discriminazione”, “valutazione ponderata”, “procedura
selettiva” “principi di imparzialità”, “derivazione costituzionale”, “criteri”,
“previamente resi noti”, “fatti obiettivi e verificabili”.
Insomma, la scelta dei dirigenti
non dovrebbe essere un factum principis,
ma l’esito di una scelta obiettiva, ponderata, tecnicamente volta a selezionare
il più idoneo allo scopo di garantire alla struttura una persona capace di
dirigerla per perseguire l’interesse pubblico e non per garantire all’organo di
governo la presenza di propri “affiliati” politici.
E’ l’applicazione banalissima di
una norma della tanto vituperata Costituzione, l’articolo 98, comma 2: “I pubblici impiegati sono al servizio
esclusivo della Nazione”. Non solo vanno scelti per concorso, ma anche gli
incarichi ad essi conferiti dovrebbero seguire esclusivamente logiche di
selezione tecnica, senza alcun carattere di intuitus
personae, modo di intendere i rapporti di collaborazione tra datore e
prestatore che dovrebbe essere totalmente estraneo al mondo del lavoro
pubblico.
Pochi giorni prima, il Tar
Puglia-Lecce, Sezione II ha emesso la sentenza 21.12.2015 , n. 3661, secondo la quale
i dirigenti a contratto possono essere assunti solo in esito ad una vera e
propria procedura selettiva di natura tecnica che escluda una scelta totalmente
discrezionale dell’organo di governo.
Dunque, a giudizio del magistrato amministrativo leccese, la necessità di
un sistema selettivo e realmente basato sul merito, scevro da qualsiasi considerazione
di legami politici o, comunque, di vicinanza personale ai soggetti dotati del
potere di attribuire gli incarichi dirigenziali, vale anche per gli incarichi a
contratto.
La procedura speciale indicata dall’articolo 110 del d.lgs 267/2000, pur
non coincidendo con un concorso pubblico, deve comunque considerarsi avere
natura para – concorsuale. D’altra parte, ragiona il Tar, se così non fosse,
se, cioè, si ritenesse che l’articolo 110 consenta una scelta intuitu personae, “risulterebbe assai dubbia la compatibilità costituzionale della norma
de qua in riferimento all’art. 97, commi 2 e 4, Cost.”, dal momento che non
si possono rinvenire esigenze di buon andamento e straordinarie esigenze di
interesse pubblico idonee a giustificare assunzioni a termine dei vertici
amministrativi degli enti locali per cooptazione diretta, senza procedere a
procedure selettive che, pur non dovendo coincidere col concorso pubblico,
comunque siano in grado di basare su valutazioni tecniche e non arbitrarie la
scelta da compiere.
Il Tar afferma che occorre predeterminare, nell’avviso pubblico, elementi
selettivi esattamente “al fine di
delimitare la discrezionalità tecnica della p.a. e garantire una selezione
rispondente agli interessi pubblici perseguiti, di concreti e puntuali
parametri di apprezzamento”.
Nel caso di specie, l’avviso, invece, era con ogni evidenza preordinato a
consentire al sindaco di scegliere chi meglio ritenesse, sulla base di una
procedura che simulasse una competizione tra i partecipanti, della quale – è spiacevole
prendere atto – è stato parte integrante il segretario comunale, che non ha
nemmeno, evidentemente, rilevato il totale contrasto di simile modo di
procedere con le stesse indicazioni di cautela nella selezione del personale
contenute nel Piano Nazionale Anticorruzione, pur essendo il segretario il
principale responsabile anticcorruzione.
Sicchè l’avviso è stato costruito in modo da limitare la “selezione” ad
una mera relazione del segretario, per altro, come rileva la sentenza,
risultata priva di elementi valutativi, sicchè il Sindaco ha scelto la persona
da assumere “con discrezionalità tecnica
pressoché assoluta, sì da risultare minata la trasparenza e l’imparzialità del
suo operato”.
Le due pronunce esaminate sin qui si inseriscono nell’ormai consolidato
filone giurisprudenziale fortemente contrario alla prassi voluta dalla politica
e spesso troppo poco contrastata dagli stessi vertici amministrativi (per
ragioni evidenti) di scegliere i dirigenti di ruolo da incaricare, o i
dirigenti extra ruolo da assumere, per “affiliazione”, evitando come la peste
reali modalità selettive. E questo, nonostante una quantità di norme, a partire
dalla Costituzione, impongano l’esatto contrario.
In questo quadro, si inserisce un’altra sentenza, coeva alle precedenti:
si tratta della pronuncia della Corte costituzionale 11 febbraio 2016, n. 20.
Essa dichiara l’illegittimità costituzionale “dell’articolo 2, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 12 agosto
2005, n. 27 (Nuove norme sulle nomine di competenza degli organi di direzione
politica della Regione Abruzzo), nella parte in cui si applicava al Direttore
dell’ente «Abruzzo-Lavoro»”. Detta legge prevedeva la decadenza automatica
del direttore dell’ente a seguito del rinnovo degli organi politici regionali.
L’incostituzionalità discende dalla circostanza che quella del direttore è “figura tecnico-professionale, titolare di
funzioni prevalentemente organizzative e gestionali, responsabile del
perseguimento di obiettivi definiti in appositi atti di pianificazione e
indirizzo, deliberati dagli organi di governo della Regione”.
La sentenza della Consulta ricorda come la Corte abbia “più volte affermato (sentenze n. 228 del
2011; n. 224 del 2010; n. 390 e n. 352 del 2008; n. 104 e n. 103 del 2007) l’incompatibilità
con l’art. 97 Cost. di meccanismi di decadenza automatica, o del tutto
discrezionale, dovuta a cause estranee alle vicende del rapporto d’ufficio e
sganciata da qualsiasi valutazione concernente i risultati conseguiti,
qualora tali meccanismi siano riferiti – non già al personale addetto ad uffici
di diretta collaborazione con l’organo di governo (sentenza n. 304 del 2010) o
a figure apicali, per le quali risulti decisiva la personale adesione agli
orientamenti politici di chi le abbia nominate (sentenza n. 34 del 2010) –
bensì ai titolari di incarichi
dirigenziali che comportino l’esercizio di funzioni amministrative di
esecuzione dell’indirizzo politico (sentenza n. 124 del 2011), anche quando
tali incarichi siano conferiti a soggetti esterni (sentenze n. 246 del 2011, n.
81 del 2010 e n. 161 del 2008)”.
Dunque, tutto chiaro? Tutti concordi nel ritenere che:
a)
gli incarichi dirigenziali siano da conferire ai
dirigenti di ruolo previa seria e competitiva selezione tecnica;
b)
le assunzioni di dirigenti esterni debbano essere
precedute da procedure para-concorsuali, a loro volta tali da evitare l’arbitrio
della scelta intuitu personae;
c)
la durata degli incarichi dirigenziali connessi all’esecuzione
dell’indirizzo politico non può essere interrotta da:
1.
decadenza automatica;
2.
decadenza del tutto discrezionale?
Non si direbbe. Perché la sentenza della Consulta 20/2016 contiene un
elemento di novità. Nel colpire la norma regionale, indirettamente (ri)apre
spazi immensi allo spoil system più
incontrollato, quando afferma che i dirigenti incaricati di attuare l’indirizzo
politico debbono essere tenuti lontani da meccanismi di decadenza legati al
mandato politico, a differenza di quei dirigenti collegati agli organi di
indirizzo politico “da relazioni
istituzionali così immediate da rendere
determinante la sua consonanza agli orientamenti politici degli stessi”!!
Cioè, si teorizza la “consonanza agli orientamenti politici” come
requisito discretivo per la selezione della dirigenza, in conseguenza della
quale sia accettabile una decadenza connessa al mandato politico.
Sembra un avvicinamento molto chiaro della Consulta verso gli effetti
devastanti per l’assetto costituzionalmente rispettoso della dirigenza, che
deriveranno dalla legge 124/2015.
L’articolo 11 della legge Madia, infatti, come confermato dallo schema di
decreto legislativo riguardante gli incarichi di vertice nelle Usl, si basa
tutto sulla scelta di fatto totalmente discrezionale degli organi politici. Per
i dirigenti di ruolo, il conferimento degli incarichi dirigenziali discenderà
da una procedura che di fatto dà totale mano libera alla politica: si prevedono
l’inserimento dei dirigenti nei ruoli, la pubblicazione di un avviso pubblico
da parte delle Commissioni nazionali cui si rivolgeranno gli enti che
manifesteranno carenze di organico, la successiva creazione di “rose” di
candidati, tra i quali, poi, potranno scegliere gli organi di governo senza
alcun vincolo a graduatorie.
Da nessuna parte si prevedono o richiedono requisiti specifici,
valutazioni tecniche, formazione di graduatorie cui attenersi.
La riforma consegna alla politica un potere di incarico totalmente
discrezionale, fino a rasentare l’arbitrio, a condizione che nelle “rose” le
Commissioni prudentemente inseriscano sempre il dirigente “gradito”.
Quanto peserà la “consonanza politica”? Oggi, la Consulta tiene fede ad
una summa divisio tra dirigenti “consonanti”,
quelli con relazioni immediate con la politica, tanto da poterne essere la
derivazione diretta (con buona pace dell’articolo 98, comma 2, della
Costituzione), e dirigenti “non consonanti”. Col torto di non aver mai
enucleato quale tipologia di incarico non si possa attribuire per effetto della
mera “consonanza”.
Si può comprendere che gli “uffici di diretta collaborazione” degli
organi politici rientrino tra i “consonanti”. Ma, quali sono i dirigenti di
tali uffici? Il capo di gabinetto? Il capo ufficio stampa? Il consigliere diplomatico?
Il consigliere politico? Il capo ufficio legislativo? Diremmo di sì. Salve le
zone d’ombra: quanto davvero un capo di gabinetto non incide nella gestione
diretta operativa?
E i capi dipartimento o direttori generali? Sono i massimi vertici, ma di
certo il d.lgs 165/2001 ed i vari regolamenti ministeriali non li tengono
lontani dalla gestione operativa attuativa dell’indirizzo politico.
E che dire dei direttori generali degli enti locali, che la saggia legge
124/2015 non abolisce?
La Consulta non ha, forse, fatto una riflessione che i fatti di cronaca
ci induce a compiere: a Milano, candidati sindaco vi sono due ex direttori
generali del comune, Stefano Parisi e Beppe Sala. Talmente “consonanti” con la
politica, da essere essi stessi parte della politica. Quando hanno operato come
direttori generali hanno davvero agito in modo tecnico e imparziale? Sono
realmente stati scelti per il “merito” e la capacità?
La legge 124/2015 aiuterà a togliersi dubbi simili. Sarà la legge della
consonanza.
[1] Se ne riporta il testo:
“1. Ai fini del
conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene conto, in
relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati ed alla
complessità della struttura interessata, delle attitudini e delle capacità
professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza
nell'amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione, delle specifiche
competenze organizzative possedute, nonché delle esperienze di direzione
eventualmente maturate all'estero, presso il settore privato o presso altre
amministrazioni pubbliche, purché attinenti al conferimento dell'incarico. Al
conferimento degli incarichi e al passaggio ad incarichi diversi non si applica
l'articolo 2103 del codice civile.
1-bis.
L'amministrazione rende conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito
avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione
che si rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta;
acquisisce le disponibilità dei dirigenti interessati e le valuta”.
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