venerdì 12 febbraio 2016

Trasparenza - cambia completamente l'accesso civico (seconda e ultima parte)

L’esercizio del diritto di accesso civico rimane ad istanza di parte. Il nuovo comma 2 dell’articolo 5 specifica in maniera piuttosto chiara chi può presentare l’istanza. Realmente “chiunque” può esercitare il diritto di accesso civico, dal momento che esso “non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente”. Non occorrerà dunque dimostrare requisiti come ad esempio, residenza o nazionalità o, soprattutto, ancora la sussistenza di un “interesse”, collegato al dato a cui si vuole accedere, a differenza di quanto si prevede nella regolamentazione del di ritto di accesso, disciplinato dalla legge 241/1990.

Di conseguenza, nessuna istanza di accesso civico potrà essere respinta in ragione dell’assenza di legittimazione attiva da parte del richiedente.
L’altro elemento speciale dell’accesso civico, tratto fortemente distintivo dall’accesso di cui alla legge 241/1990, è l’assenza di motivazione. Dunque, l’istanza di accesso civico non solo non dovrà evidenziare requisiti di legittimazione, ma nemmeno specificare la motivazione che ne sta alla base. Simmetricamente, nessuna istanza potrà legittimamente essere respinta per ragioni connesse alla motivazione, fermi restando i problemi di collegamento dell’istanza di accesso civico con i fini previsti dal comma 1.
Consapevole che così come costruito il diritto di accesso civico può ingolfare le amministrazioni, lasciandole travolgere da innumerevoli richieste emulative, il legislatore cerca di porre un argine stabilendo che “l’istanza di accesso civico identifica chiaramente i dati richiesti”. Dunque, è onere del richiedente descrivere con precisione i dati cui intende accedere, per evitare di gravare l’amministrazione di un’istruttoria complessa tendente a ricercarli. Nulla si dice in merito ad un altro problema connesso con l’accesso: l’elaborazione del dato. In riferimento all’accesso regolato dalla legge 241/1990, la giurisprudenza amministrativa è pacifica[1]: la richiesta non deve gravare sugli uffici, i quali non possono essere chiamati ad elaborare ex novo i documenti, perché debbono limitarsi a mettere a disposizione del richiedente il documento già formato. Del resto, è esattamente ciò che dispone l’articolo 2, comma 2, del d.P.R. 184/2006, a mente del quale “il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica amministrazione, di cui all'articolo 22, comma 1, lettera e), della legge, nei confronti dell'autorità competente a formare l'atto conclusivo o a detenerlo stabilmente. La pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso”.
L’accesso civico, però, non si riferisce a “documenti”, bensì a “dati”. Questi possono essere detenuti in forma elaborata o grezza. Nell’ultimo caso, non è chiaro se l’amministrazione sia tenuta a rendere intellegibile il dato richiesto, mediante appunto quelle procedure di elaborazione del dato che nel caso dell’accesso classico di cui alla legge 241/1990 sono escluse. Il tono della norma non consente di trarre conclusioni certe. Pare possibile sia accogliere l’istanza di accesso limitandosi a mettere a disposizione il dato grezzo, sia accollandosi l’onere della sua elaborazione.
Sta di fatto che la norma nulla dice in merito anche ad un altro rilevante problema: la dimensione del dato. Laddove il richiedente voglia acquisire intere banche dati da elaborare poi con propri sistemi, si capisce che l’operazione potrebbe risultare né breve, né priva di costi, sia organizzativi, sia finanziari, a carico dell’ente che deve assicurare l’esercizio del diritto di accesso civico. Si tratta di lacune gravi, potenzialmente in grado di mettere in ginocchio il sistema.
La domanda di accesso civico va trasmessa, cioè rivolta:
a)      all’ufficio che detiene i dati. La previsione dettata dal comma 2 dell’articolo 5 è, tuttavia, anche in questo caso lacunosa ed insufficiente. Il richiedente non può essere tenuto a sapere quale ufficio effettivamente detenga il dato nell’ambito dell’amministrazione pubblica. Risulta necessario applicare i principi generali, in base ai quali è onere dell’ufficio pubblico che riceva la richiesta, se incompetente, trasmetterla all’ufficio competente, senza opporre per queste ragioni dinieghi all’istanza del cittadino o gravarlo dell’onere di ritrasmettere la domanda all’ufficio che effettivamente detiene il dato;
b)      in alternativa, la richiesta può essere trasmessa:
1.        all’Ufficio relazioni con il pubblico; si tratta dell’ennesimo tentativo di rilanciare l’Urp, uno dei più clamorosi flop delle riforme della PA di tutti i tempi; in ogni caso, l’Urp è in generale la porta di ingresso delle istanze, proprio quando il richiedente non ha una precisa idea di quale debba essere l’ufficio destinatario della propria domanda;
2.        ad altro ufficio indicato dall’amministrazione nella sezione “Amministrazione trasparente” del sito istituzionale: la previsione sarebbe da intendere come obbligo delle amministrazioni di specificare quale o quali uffici, diversi dall’Urp, sono incaricati di ricevere e trattare le domande di accesso civico;
c)      ove l’istanza abbia a oggetto dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi del d.lgs 33/2013, l’istanza può essere altresì presentata al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza. Si tratta dell’ipotesi di accesso civico “vecchia maniera”, quello inteso, cioè, a rimediare alla mancata pubblicazione di dati che obbligatoriamente debbono essere inseriti nella sezione “amministrazione trasparente”. Essa è soggetta al diretto controllo del responsabile della corruzione e della trasparenza: per questo motivo, in questo caso l’istanza può essere rivolta direttamente a tale soggetto.
L'istanza può anche essere trasmessa per via telematica secondo le modalità previste dal d.lgs 82/2015.
Il nuovo comma 2 prevede che nel caso di accesso civico riferito a “dati” e non all’inadempimento all’obbligo di effettuare pubblicazioni obbligatorie, il “rilascio di dati in formato elettronico o cartaceo è subordinato soltanto al rimborso del costo sostenuto dall’amministrazione”. Tale previsione, per un verso conferma l’impressione che le amministrazioni siano tenute non solo a rendere disponibile il dato richiesto, ma anche ad elaborarlo; per altro verso, introduce anche per l’accesso civico l’onerosità, connessa evidentemente al costo sostenuto dall’amministrazione per garantire l’esercizio del diritto.
Manca del tutto un parametro sia pur minimo per quantificare il costo che possa essere richiesto ai cittadini: ciò è foriero, ovviamente, di richieste di rimborso che varieranno moltissimo da amministrazione ed amministrazione e di atteggiamenti speculativi da parte delle stesse. Per scoraggiare, infatti, la richiesta di accesso civico per certe tipologie di dati o laddove le istanze richiedano elaborazioni massive e complicate, qualche ente potrebbe essere tentato dal prevedere rimborsi molto elevati ed onerosi. Sarebbe, dunque, altamente necessaria una standardizzazione dei costi unitari delle attività di produzione e consegna dei dati.
Il nuovo comma 3 dell’articolo 5 introduce un problema che presto si rivelerà esiziale: l’individuazione dei contro interessati.
Già nell’ambito dell’accesso “classico” regolato dalla legge 241/1990 la questione della notifica ai contro interessati crea, da sempre, equivoci e problemi che gli operatori spesso non sono in grado di risolvere.
Tutto nasce dall’articolo 3 del Dpr 184/2006, il quale, nel prevedere la notifica di istanze di accesso ai controinteressati, viene sovente interpretato nel senso che in capo all’amministrazione destinataria dell’istanza di accesso scatti sempre e comunque un onere di notificazione del relativo procedimento, nei confronti di ogni possibile soggetto controinteressato all’accesso.
La questione interpretativa che si pone riguarda, evidentemente, la corretta configurazione del soggetto controinteressato: una volta, infatti, individuato correttamente il controinteressato è possibile governare correttamente il procedimento e, nel suo ambito, il subprocedimento della notifica, previsto dall’articolo 3 del Dpr 184/2006.
Una prima interpretazione, molto seguita, è di carattere estensivo: si ritiene che il controinteressato coincida col soggetto individuato all’articolo 7, comma 1, secondo periodo, della legge 241/1990, secondo il quale “ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l’amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell’inizio del procedimento”.
Dunque, poiché il procedimento amministrativo altro non è che, pur sempre, un procedimento, ad esso debbono applicarsi non solo le specifiche disposizioni contenute nel Capo V della legge 241/1990, ma anche le previsioni facenti parte del Capo I della medesima legge.
In questo senso si è espresso il Tar Puglia con la sentenza 27 maggio 2006, n. 3080, secondo la quale nel caso dell’accesso trovano applicazione i principi generali sul procedimento, tra i quali, in particolare quello della partecipazione di tutti gli interessati. Aggiunge la sentenza che del resto, le disposizioni di cui all’articolo 24, commi 6 e 7, della legge 241/1990 non avrebbero senso, qualora i terzi a cui si riferiscono i dati contenuti negli atti di cui si chiede l’ostensione non avessero alcuna possibilità di interloquire nell’ambito del procedimento finalizzato all’accesso.
D’altra parte, secondo il Tar l’amministrazione non sempre è in grado di apprezzare direttamente le ragioni alla base di un’opposizione del controinteressato all’accesso ad un documento, come ad esempio può accadere nel caso in cui vengano in evidenza interessi commerciali o finanziari o professionali di cui siano titolari i controinteressati (vedasi art. 24, comma 6, lett. d), della L. n. 241/1990), i quali hanno il diritto di rappresentare eventuali impedimenti all’ostensibilità degli atti che formano oggetto dell’istanza di accesso.
In sostanza, poiché è operazione complessa apprezzare se i contenuti di un certo documento siano potenzialmente in grado di ledere interessi come quelli epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale, menzionati dall’articolo 24, comma 6, lettera d), della legge 241/1990, risulta, dunque, opportuno comunque coinvolgere i controinteressati, che potrebbero fornire elementi rilevanti per l’amministrazione procedente, ai fini della valutazione di elementi ostativi all’esercizio del diritto di accesso.
In conclusione, secondo questa interpretazione il controinteressato non è colui che possa opporre all’accesso l’interesse alla salvaguardia del diritto alla riservatezza, ma colui che per qualsiasi ragione tutelata dall’ordinamento, in quanto possa subire un pregiudizio dall’accesso, abbia da esporre ragioni oppositive all’esercizio dell’accesso.
Tale interpretazione, tuttavia, va in netto contrasto con quanto prevede la stessa legge 241/1990.
Infatti, essa si basa sui seguenti elementi:
a) controinteressato al procedimento di accesso può essere qualsiasi soggetto individuato o facilmente individuabile che possa subire un pregiudizio dal procedimento stesso;
b) la valutazione del pregiudizio, da parte dell’amministrazione, è di carattere discrezionale, sicchè qualora non sia possibile un apprezzamento corretto delle posizioni del terzo, occorre farlo partecipare al procedimento di accesso;
c) la notifica ai terzi è, dunque, un elemento di garanzia contro pregiudizi che l’accesso possa determinare anche alle posizioni giuridiche espressamente menzionate dall’articolo 24, comma 6, della legge 241/1990.
Ma, tutti gli elementi interpretativi sui quali si fonda questa tesi si basano su evidenti errori, determinati da una lettura incompleta delle disposizioni della legge 241/1990.
Rispetto, infatti, alla definizione di “controinteressato”, detta interpretazione commette un errore estremamente grave, poiché configura detto soggetto alla luce del Capo I e, in particolare, dell’articolo 7, della legge 241/1990, ignorando che la novella del 2005 alla legge 241/1990 ha inteso proprio rispondere legislativamente al problema dell’individuazione del controinteressato nell’ambito del procedimento di accesso.
I “controinteressati” nell’ambito del procedimento di accesso non sono nè i controinteressati al procedimento amministrativo sottostante all’istanza di accesso, né tutti i soggetti che possano subire un pregiudizio discrezionalmente apprezzabile dall’amministrazione.
Il legislatore della novella alla legge 241/1990 si è richiamato alle statuizioni della giurisprudenza, secondo la quale il ricorso in materia d'accesso deve essere notificato ai controinteressati individuabili esclusivamente nei soggetti interessati alla riservatezza dei documenti richiesti con la domanda d'accesso .
L’articolo 22, comma 1, lettera c) della legge 241/1990 è estremamente chiaro nell’individuare i controinteressati in “tutti i soggetti individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza”.
Dunque, la norma tratta il controinteressato all’accesso in modo del tutto peculiare ed indipendente rispetto al controinteressato ad ogni altro procedimento amministrativo.
Il procedimento di accesso è considerato autonomo e speciale rispetto agli altri procedimenti, come del resto rivela la particolare tutela apprestata dalla legge al richiedente, avverso gli atti di diniego all’accesso: si tratta di una tutela esercitabile, in primo luogo, per il tramite di autorità indipendenti (difensore civico o commissione per l’accesso); in secondo luogo, mediante ricorso al Tar attraverso un rito abbreviato, nel quale il giudice amministrativo, per altro, dispone di giurisdizione esclusiva, allo scopo di assicurare ogni possibile strumento istruttorio per ampliare la tutela alla posizione del soggetto che vanta il diritto di accesso.
Dunque, risulta certamente erroneo analizzare la posizione dei controinteressati all’accesso, assimilandola a quella dei controinteressati agli altri procedimenti amministrativi.
Il procedimento di accesso è del tutto peculiare e speciale: se così non fosse, il legislatore non avrebbe speso parole per disporne una disciplina particolare ed una tutela giurisdizionale straordinaria.
Pertanto, controinteressati sono esclusivamente coloro i quali possano contrapporre all’esercizio del diritto di accesso richiesto dall’interessato un interesse oppositivo, derivante dalla sussistenza di un diritto alla riservatezza, ostativo alla presa visione ed estrazione di copia dei documenti.
L’articolo 22, comma 1, lettera c), della legge 241/1990, nello specificare con assoluta nettezza chi sono i controinteressati al procedimento di accesso, compie un’ulteriore operazione che priva di pregio la tesi secondo la quale l’amministrazione dovrebbe esercitare una funzione di apprezzamento discrezionale della posizione dei controinteressati.
Esattamente all’opposto, il legislatore ha configurato il procedimento di accesso come procedimento vincolato e non discrezionale .
La legge 241/1990 ha inteso sottrarre all’amministrazione procedente ogni margine di valutazione discrezionale in merito sia all’individuazione dei controinteressati, sia alle modalità di esercizio del diritto di accesso. Infatti, i controinteressati sono definiti in modo esaustivo dall’articolo 22, comma 1, lettera c), della legge; il diritto si esercita necessariamente con l’endiadi “presa visione ed estrazione di copia”. Rimane, dunque, del tutto sottratta ad un apprezzamento dell’amministrazione l’individuazione dei controinteressati e la modalità con la quale consentire l’accesso.
Il procedimento di accesso “classico” secondo la legge 241/1990 è, dunque, un procedimento vincolato, nell’ambito del quale l’amministrazione procedente si limita a valutare, in via istruttoria, solo la legittimazione del richiedente ad esercitare l’accesso, nonché la sussistenza di controinteressati esclusivamente alla luce della sola garanzia del diritto alla riservatezza . Una volta verificato che sussista la legittimazione del richiedente e che non vi siano controinteressati, l’accesso non può che essere esercitato in forma piena e non restringibile in alcun modo dall’amministrazione procedente. Qualora, invece, si individuino controinteressati, l’esercizio del diritto è subordinato agli effetti procedimentali, scaturenti dalla notificazione prevista dall’articolo 3 del Dpr 184/2001, che consente al controinteressato, in quanto titolare di un diritto di riservatezza, di opporsi. Ma, tale opposizione può comprimere il diritto di accesso solo qualora il diritto alla riservatezza sia rilevabile come di portata maggiore rispetto al diritto di accesso stesso, perché in ogni altro caso prevale quest’ultimo ed il suo esercizio resta sempre pieno: non limitabile, dunque, alla sola presa visione, ma esteso anche all’estrazione di copia .
Se il procedimento di accesso è vincolato, lo è anche perché non vi sono margini di discrezionalità per individuare i controinteressati.
Detti margini esistono, invece, nell’ambito degli altri procedimenti, ove, ai sensi dell’articolo 7, comma 1, della legge 241/1990, il legislatore rimette alla valutazione dell’amministrazione procedente l’individuazione (purchè semplice) di soggetti che possano subire un pregiudizio dal provvedimento finale. Ovviamente, la formula aperta dell’articolo 7, comma 1, che non definisce il pregiudizio, rimette in capo a ciascuna singola amministrazione l’individuazione del pregiudizio, cioè degli effetti negativi che il provvedimento finale possa determinare in capo a soggetti non direttamente configurati come parti del procedimento.
Nel caso, invece, del procedimento di accesso, il “pregiudizio” è già individuato: è tassativamente la lesione al diritto alla riservatezza.
Non contano, dunque, altri diritti o altre posizioni che, nell’ambito di procedimenti amministrativi diversi da quello di accesso, potrebbero portare l’amministrazione a coinvolgere soggetti eventualmente in grado di subire pregiudizi dal provvedimento finale, non incidenti sulla tutela della riservatezza.
E questa conclusione appare del tutto inevitabile e condivisibile. In un procedimento amministrativo diverso da quello dell’accesso, i pregiudizi del terzo controinteressato possono essere di varia natura. Ovviamente, il proprietario di un terreno vicino a quello sul quale sia stato concesso un permesso di costruire, può subire pregiudizi al pieno godimento della sua proprietà, sicchè un suo coinvolgimento come controinteressato nel procedimento è astrattamente ammissibile.
Al contrario, qualora detto proprietario dell’appezzamento vicino a quello destinatario del permesso di costruire chieda di accedere agli atti del procedimento di rilascio del permesso, il destinatario del permesso stesso non assume affatto la posizione di controinteressato al procedimento di accesso.
Nel caso del procedimento del rilascio del permesso, il provvedimento finale, che consente ad un privato di costruire, incide indirettamente sul diritto di proprietà del vicino (in relazione al rispetto dei confini, delle altezze, delle fasce di rispetto, dei volumi).
Nel caso del procedimento di accesso, il provvedimento finale altro non è che un atto di assenso, finalizzato esclusivamente alla tutela della posizione del richiedente, atto che si rivela dovuto qualora il richiedente disponga della legittimazione richiesta dalla legge. Non si vede come l’esercizio del diritto di accesso, consistente solo nell’acquisizione ed esame di documenti, possa arrecare pregiudizio al titolare del permesso di costruire. La sua posizione giuridica non è certo incisa, sminuita o lesa dalla mera operazione di esame di documenti da parte di un suo vicino.
Si potrebbe ribattere che l’esame di questi documenti potrebbe essere, poi, fonte di un procedimento di tutela del vicino. Ma, questo non costituisce certo un pregiudizio per il titolare del permesso di costruire, semmai esercizio di un diritto del privato (per altro, configurabile anche come indiretta garanzia dell’interesse generale) alla rimozione di un atto illegittimo, per altro nell’ambito di un procedimento sostanziale del tutto autonomo, nel quale ovviamente il titolare del permesso di costruire assumerebbe certamente la posizione di controinteressato, potendo intervenire nel procedimento allo scopo di opporsi alla rimozione del provvedimento a sé favorevole.
Il diritto di accesso, in quanto limitato al solo esame di documenti, può arrecare in via diretta un pregiudizio nei confronti di terzi, solo laddove il contenuto di questi documenti si riveli tale da compromettere una loro posizione tutelata dalla legge. E tale posizione non può che essere limitata al solo diritto alla riservatezza: infatti, l’esame di documenti non lede alcuna posizione, se non il diritto a non rendere noti i dati sensibili eventualmente contenuti nel documento.
Il riferimento ai dati sensibili, per loro natura abbastanza facilmente individuabili, conferma che il procedimento di accesso è di natura vincolata. Il rilievo che risulti semplice verificare se vi siano riferimenti alla salute o agli orientamenti politici, mentre è complesso comprendere se vi possano essere lesioni agli interessi epistolari, sicchè in quest’ultimo caso sarebbe comunque opportuna la notifica, è assolutamente inconferente ed erroneo.
Non ha alcun senso utilizzare l’articolo 24, comma 6, della legge 241/1990 per rilevare che i terzi controinteressati possano essere anche soggetti diversi rispetto ai titolari al diritto alla riservatezza.
L’articolo 24, comma 6, infatti, assolve esclusivamente allo scopo di fissare le materie al ricorrere delle quali le amministrazioni, con specifici regolamenti, possano prevedere casi di sottrazione al diritto di accesso. Si tratta, dunque, di una misura:
a) che, ancora una volta, tende a sottrarre aree di discrezionalità all’amministrazione procedente: infatti, se si determinano per via regolamentare casi di sottrazione al diritto di accesso, l’amministrazione allorché verifichi che l’istanza rientri in detti casi, è vincolata a non consentire l’accesso stesso, così come, simmetricamente, acconsentirà necessariamente all’accesso, nell’ipotesi opposta;
b) che non mira a tutelare posizioni di terzi, ma, semmai, a limitare il raggio di azione del diritto di accesso, così ampio che in mancanza di espressi vincoli normativi, si estende a qualsiasi documento;
c) che tende, in conclusione, a rendere indifferente il possesso, in capo al richiedente, dell’interesse diretto, concreto, attuale e corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento: infatti, pur in presenza di tale legittimazione, se il regolamento prevede casi espressi di esclusione, comunque il diritto di accesso non potrà essere esercitato. Ma, le amministrazioni debbono escludere l’accesso con un provvedimento regolamentare, dunque con una norma generale ed astratta, non mediante singoli provvedimenti discrezionali. In mancanza del regolamento di cui all’articolo 24, comma 6, il diritto di accesso non è limitato da interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale, commerciale o di altra natura.
In ogni caso, qualora sia adottato il regolamento che sottrae all’accesso i documenti nei casi di cui all’articolo 24, comma 6, risulta evidente che non si dovrà comunque effettuare alcuna notifica ai controinteressati. Infatti, il responsabile del procedimento di accesso, una volta che rilevi che oggetto dell’istanza di accesso risulti un documento sottratto all’accesso stesso, non dovrà fare altro che rigettare l’istanza adottando, come sempre, un atto vincolato. Non dovrà, invece, attivare la notifica di cui all’articolo 3 del Dpr 184/2006, che scatta solo allorché si rilevi che il richiedente disponga della legittimazione attiva e che il documento sia accessibile.
Ancora, si deve rilevare che ai sensi dell’articolo 5, comma 6, del Dpr 184/2006 “la pubblica amministrazione, qualora in base al contenuto del documento richiesto riscontri l’esistenza di controinteressati, invita l’interessato a presentare richiesta formale di accesso”. Dunque, i controinteressati debbono emergere non in funzione di una situazione sostanziale sottesa al procedimento eventualmente connesso con l’accesso, ma in relazione al “contenuto” dell’atto, cioè con riferimento alla possibilità che la conoscenza dei dati ivi rappresentati possa insorgere quel pregiudizio necessariamente rilevante ai soli fini della tutela della riservatezza.
Anche il Dpr 184/2006, dunque, fornisce elementi per escludere radicalmente che la notifica ai controinteressati sia da effettuare in relazione ad un’interpretazione estensiva del concetto di controinteressati o in base a valutazioni discrezionali e di opportunità.
La notificazione ai controinteressati non è da effettuare in base a valutazioni di opportunità, quando dal documento non emergano elementi di lesione alla riservatezza.
Si deve, per altro, rilevare che l’effettuazione della notifica a controinteressari diversi da quelli definiti dall’articolo 22, comma 1, lettera c), della legge 241/1990, si rivela un aggravamento al procedimento, vietato dall'articolo 1, comma 2, della stessa legge 241/1990.
In claris non fit interpretatio: sono controinteressati solo coloro che dall'accesso vedrebbero compromessi il loro diritto alla riservatezza; nessun altro.
Richiami all'opportunità o ai principi del procedimento in generale non sono conferenti, perchè nel caso del procedimento di accesso è stata la legge ad individuare con precisione i controinteressati, così eliminando possibilità di apprezzamento discrezionale in capo alle amministrazioni procedenti. Se, dunque, la richiesta di accesso non coinvolge il diritto alla riservatezza, la notifica ai controinteressati è inutile.
D’altra parte, proprio l’articolo 3, comma 1, del Dpr 184/200 è estremamente chiaro nel confermare che controinteressati sono solo i titolari di un diritto di riservatezza, quando prevede che “la pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, di cui all’articolo 22, comma 1, lettera c), della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi […]”.
I controinteressati, dunque, anche per il regolamento attuativo della legge 241/1990 sono e restano esclusivamente coloro che dall’esercizio del diritto di accesso subirebbero una compromissione al loro diritto alla riservatezza.
Non è data alcuna possibilità, né vi è alcuna necessità che ciò avvenga, alle amministrazioni di individuare in modo discrezionale i controinteressati.
In particolare, occorre escludere radicalmente che la notifica a controinteressati individuati di volta in volta in base a valutazioni di opportunità, possa determinare una modalità surrettizia per denegare o rendere particolarmente difficile l’esercizio del diritto di accesso.
La notifica non assolve certo a tale scopo, ma intende esclusivamente coinvolgere i titolari del diritto di riservatezza, per permettere loro di determinarne l’estensione e consentire all’amministrazione procedente di porre in essere la ponderazione tra il peso del diritto di accesso richiesto ed il peso del diritto alla riservatezza vantato.
E’ opportuno ricordare, a questo proposito, che nei rapporti tra diritto di accesso e diritto alla riservatezza:
1) il diritto di accesso sia esercitabile senza restrizioni qualora il documento sia privo di dati personali (accesso integrale): in questo caso, quindi, non è necessaria la notifica di cui all’articolo 3 del Dpr 184/2006;
2) il diritto di accesso è esercitabile senza restrizioni qualora il documento presenti dati personali, ma l’accesso sia richiesto dalla persona alla quale i dati si riferiscono (accesso integrale per il solo interessato cui i dati personali si riferiscono): anche in questo caso non è necessaria la notifica di cui all’articolo 3 del Dpr 184/2006;
3) il diritto di accesso è esercitabile senza restrizioni, nonostante il documento contenga dati sensibili e giudiziari, ma l’interessato dimostri la necessità di accedere per curare o per difendere i propri interessi giuridici (accesso integrale “rinforzato”): in questo caso, tuttavia, si ritiene necessaria la notifica di cui all’articolo 3 del Dpr 184/2006;
4) il diritto di accesso è soggetto al trattamento previsto dal d.lgs 196/2003, quando il documento presenti dati personali di terzi (possibilità di opposizione da parte del controinteressato), contenga dati sensibili o giudiziari di terzi o, ancora, contenga i dati sottoposti alla particolare tutela di cui all’articolo 60 del d.lgs 196/2003 (accesso parziale): in questo caso è ovviamente necessaria la notifica di cui all’articolo 3 del Dpr 184/2006.
Con specifico riferimento al punto 3) sopra esposto, è opportuno precisare che a mente dell’articolo 24, comma 7, della lege 241/1990 “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”. Detta norma, quindi, impone all’amministrazione di concedere l’accesso, laddove il richiedente dimostri che il proprio interesse, diretto, concreto, attuale, connesso al documento, consista, ad esempio, nella difesa in giudizio di una sua posizione. In questo caso, pertanto, l’amministrazione non ha alcun margine per denegare l’accesso o ritenere il documento non accessibile. Però, la notifica è necessaria, in quanto il titolare di eventuali diritti alla riservatezza rilevanti dagli atti deve essere messo in condizione di conoscere il trattamento degli atti stessi, pur non potendo efficacemente opporsi all’accesso.
La nuova formulazione dell’articolo 5, comma 3, del d.lgs 33/2013 rischia di innescare i medesimi problemi interpretativi anche per l’accesso civico. Il primo periodo di detto comma 3 dispone che “L’amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, ai sensi dell'articolo 5-bis, comma 2, della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione”.
E’ da precisare, in primo luogo, l’errore di editing: l’articolo 5-bis, comma 2, non è della “legge”, bensì del medesimo decreto legislativo 33/2013, novellato dalla riforma attuativa della legge 124/2015.
Chi sono, allora, i soggetti contro interessati? Anticipiamo il commento all’articolo 5-bis, comma 2, introdotto ex novo nel d.lgs 33/2013, analizzandone il contenuto: “L’accesso è altresì rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio alla tutela di uno dei seguenti interessi privati:
a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia;
b) la libertà e la segretezza della corrispondenza;
c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali”.
Detta norma, come si nota, impone il diniego all’accesso civico, al ricorrere delle tre condizioni ivi previste.
La prima, introduce una subordinazione assoluta dell’accesso civico alla protezione dei dati personali, sovvertendo invece la relazione esistente tra accesso ex lege 241/1990 e privacy.
La seconda condizione mira a creare una barriera protettiva in particolare sui registri del protocollo, che verosimilmente saranno oggetto privilegiato delle istanze massive di accesso civico. Si comprende molto facilmente, tuttavia, che di fronte ad istanze volte ad accedere a tutti i dati del protocollo di un certo numero di anni, il tempo e la fatica per individuare, tra i dati registrati, quelli potenzialmente lesivi della libertà e segretezza della corrispondenza risulteranno inestimabili.
La terza condizione riguarda dati connessi all’attività di impresa: anche in questo caso l’istruttoria sulla potenziale capacità dell’esercizio dell’accesso civico di ledere gli interessi economici e commerciali appare tutt’altro che banale.
Per un verso, per le amministrazioni meno propense alla trasparenza, sarà piuttosto automatico e semplice trincerarsi dietro queste condizioni per denegare sistematicamente l’accesso civico, oppure per opporre strumentalmente un diniego derivato dall’opposizione dei controinteressati.
Per altro verso, si comprende quanto possa risultare complicata l’individuazione stessa dei controinteressati, sia per la particolare portata dei diritti, sia perché quantitativamente possono risultare moltissimi, a seconda della dimensione del dato oggetto della richiesta.
L’analisi approfondita dell’articolo 5 novellato del d.lgs 33/2013 rileva poca ponderazione dei problemi concreti da parte dell’estensore e una certa velleitarietà delle disposizioni ivi inserite.
Sta di fatto che il comma 3 introduce un sub procedimento eventuale, che onera le amministrazioni del compito di verificare se tra i dati oggetto dell’accesso civico ve ne siano di potenzialmente lesivi dei diritti indicati dall’articolo 5-bis, comma 2, nonché dell’ulteriore compito di individuare i controinteressati e notificare loro l’istanza di accesso civico. Notifica da effettuare:
a) con raccomandata con avviso di ricevimento;
b) o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione
Ma, è da chiedersi: come fanno i controinteressati ad aver consentito alla forma di comunicazione per via telematica prima di essere configurati come contro interessati?
In secondo luogo: visto che non è obbligatorio per i cittadini disporre di un indirizzo di posta elettronica, tanto meno se certificata, e visto che è naufragato il progetto di far colloquiare i cittadini con la PA attraverso il servizio “PostaCertificat@” presso il Dipartimento della Funzione Pubblica, quante probabilità vi saranno per le amministrazioni pubbliche di non doversi sobbarcare costi amministrativi e tempi per inondare di raccomandare A/R il territorio?
Ancora: qualcuno ha valutato il contenzioso potenzialmente immenso sotteso alla procedura che si è immaginata?
Il coma 3 novellato dell’articolo 5 del d.lgs 33/2013 conclude prevedendo che entro dieci giorni dalla ricezione (sono noti i problemi della comprova della ricezione, mediante la raccomandata cartacea) della comunicazione, i controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. Decorsi i 10 giorni previsti, la pubblica amministrazione provvede sulla richiesta, accertato che il contro interessato abbia ricevuto la comunicazione al controinteressato.
Ovviamente, laddove il controinteressato abbia risposto, il provvedimento di accoglimento o diniego dell’istanza di accesso civico dovrà obbligatoriamente tenere conto di quanto segnalato dal controinteressato stesso. Andrà, dunque, svolta un’istruttoria, complessa, per rilevare che davvero esistano le lesioni alle posizioni giuridiche indicate dall’articolo 5, comma 2-bis, del d.lgs 33/2013, eventualmente oggetto di doglianza da parte dei controinteressati.
L’accoglimento dell’accesso civico nonostante un’indicazione negativa dei controinteressati, come il diniego dell’accesso civico motivato con l’accoglimento di indicazioni ostative sempre dei controinteressati espongono le amministrazioni ad un rischio elevatissimo di un contenzioso, che potrebbe invadere le aule dei Tar, un rischio che l’estensore della novella non pare aver colto.
Per altro, alle amministrazioni, nonostante la complessità evidente del procedimento, il comma 4 novellato dell’articolo 5 del d.lgs 33/2013 assegna un termine piuttosto breve per decidere: “L'amministrazione competente provvede tempestivamente, e comunque non oltre trenta giorni dalla presentazione dell’istanza”. Dunque, il subprocedimento che coinvolge il controinteressato deve essere compreso nei 30 giorni disponibili, visto che la norma non parla di sospensione nelle more. E se c’è da contattare il controinteressato mediante raccomandata A/R cartacea e da attendere l’effettiva ricezione, chiunque comprende come il tempo dell’istruttoria si restringa all’inverosimile.
Laddove l’istanza di accesso civico possa essere accolta, entro i 30 giorni previsti l’amministrazione dovrà:
1.      trasmettere al richiedente i dati richiesti;
2.      oppure, nel caso in cui l’istanza abbia a oggetto dati oggetto di pubblicazione obbligatoria, pubblicare sul sito il dato richiesto e a comunicare al richiedente l'avvenuta pubblicazione dello stesso, indicando il relativo collegamento ipertestuale.
La trasmissione dei dati, specie se massivi e se il richiedente non avrà indicato con chiarezza strumenti di ricezione “capienti” comporterà sempre problemi comunicativi.
Come si nota, tra lacunosità ed incertezze interpretative ed operative di non poco conto, il legislatore ha cercato di introdurre davvero un sistema di accesso generalizzato alle banche dati, simile alla disciplina del “Foia” proprio dei Paesi anglosassoni e nordeuropei.
Tuttavia, esattamente in antitesi con questi sistemi, il comma 4 novellato dell’articolo 5 dispone che “decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta”; si introduce, dunque, il silenzio-rigetto sull’istanza di accesso civico. Ed è facile immaginare che nella grande maggioranza dei casi sarà questo l’esito delle istanze. Pare utile commentare la scelta di introdurre il silenzio rigetto come istituto di regolazione delle istanze di accesso attraverso accorta dottrina[2]: “Si verifica, pertanto, il paradosso che un provvedimento in tema di trasparenza nega all’istante di conoscere trasparentemente gli argomenti alla base ai quali la P.A. non gli accorda l’accesso richiesto: ciò rappresenta, peraltro, un passo indietro rispetto alla citata legge 241 e al generale obbligo di motivazione dalla stessa previsto. Il cittadino, destinatario della “semplificazione” normativa consistente nella possibilità di conoscere atti amministrativi anche in assenza di un interesse qualificato e di una specifica giustificazione, torna così alla “complicazione” di partenza: decorsi invano trenta giorni, non gli resta che l’onerosa incombenza di adire le vie giudiziali per vedere riconosciute le proprie ragioni, senza peraltro sapere quelle per cui l’amministrazione gli ha negato determinate informazioni. La nota farraginosità operativa della P.A., l’equiparazione del suo silenzio a un rigetto e la conseguente insussistenza in capo a essa del relativo obbligo di motivazione, potrebbero indurla a lasciar decorrere il termine disposto dalla legge: tanto più in quanto il FOIA italiano non sembra disporre alcuna sanzione a carico dell’amministrazione che neghi l’accesso agli atti in mancanza di solidi presupposti, ciò anche nell’ipotesi in cui la pretesa di conoscenza del cittadino venga riconosciuta come fondata in sede giudiziale”.
Infatti, ai sensi del successivo comma 5 dell’articolo 5 in commento, “Nei casi di diniego totale o parziale dell’accesso o di mancata risposta entro il termine indicato al comma 3, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale competente ai sensi del Codice del processo amministrativo”.
Sul diniego, totale o parziale, specie se motivato da opposizioni del controinteressato, si è già detto, rilevando il rischio di contenzioso.
Del silenzio-assenso stiamo qui trattando: il rischio di contenzioso si rivela ancora maggiore, dal momento che le probabilità che la gran parte delle istanze di accesso civico si concludano col silenzio inerte delle amministrazione sono elevatissime.
E’, però, da precisare cosa si intende per “rischio di contenzioso”. Sicuramente, la conformazione della riforma innesca tante liti potenziali. Però, oggettivamente, priva soprattutto i privati cittadini singoli della possibilità di veder concretamente soddisfatto il proprio diritto di accesso ai dati diversi da quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria. Infatti, laddove l’amministrazione restasse inerte, così da formare il silenzio-assenso, per il cittadino l’unico rimedio sarebbe il ricorso al Tar: ma, con i costi proibitivi del contributo unificato, la tutela giurisdizionale amministrativa rimane un rimedio difficilmente alla portata di tutti. Solo le associazioni o le organizzazioni dotate di forze e risorse potranno permettersi il “lusso” di veder tutelato il proprio diritto di accesso civico: sarà tra questi soggetti organizzati e le istituzioni che probabilmente si scatenerà un contenzioso infinito. Ma, la tutela del diritto di accesso civico per i singoli sarà solo ipotesi di scuola.
Il comma 4 si chiude prevedendo che il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza può chiedere agli uffici della relativa amministrazione informazioni sull’esito delle istanze: facoltà certo connessa al ruolo rivestito, anche se c’è da chiedersi a cosa possa servire.
Il comma 6 novellato dispone che le controversie relative all'accesso civico sono disciplinate dal Codice del processo amministrativo: dunque, non si prevedono forme semplificate e velocizzate di giudizio, né agevolazioni economiche per i ricorrenti.
Il comma 7 novellato conferma che laddove la richiesta di accesso civico riguardi dati oggetto di pubblicazione obbligatoria, il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza deve ha l’obbligo di segnalare l’inadempimento ed il suo responsabile all'ufficio di disciplina, ai fini dell'eventuale attivazione del procedimento disciplinare, nonché al vertice politico dell'amministrazione e all'OIV ai fini dell'attivazione delle altre forme di responsabilità.
Il comma 8 conferma gli altri obblighi di pubblicazione previsti dal Capo II del d.lgs 33/2013, nonché il maggior livello di tutela degli interessati previsto dal Capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241, creando, dunque, un collegamento espresso tra la fattispecie dell’accesso civico e la legge 241/1990.
Da segnalare l’arretramento disposto dalla novella rispetto al testo (pre)vigente: infatti non si riproduce la previsione del precedente testo del comma 4: “Nei casi di ritardo o mancata risposta il richiedente può ricorrere al titolare del potere sostitutivo di cui all’articolo 2, comma 9-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, che, verificata la sussistenza dell’obbligo di pubblicazione, nei termini di cui al comma 9-ter del medesimo articolo, provvede ai sensi del comma 3”. Quindi, nel caso almeno della violazione degli obblighi di pubblicazione, il cittadino non può contare più sull’intervento sostitutivo del soggetto incaricato ai sensi dell’articolo 2, comma 9-bis, ma dovrà comunque ricorrere alla tutela giurisdizionale amministrativa.
[1] Per tutte, Consiglio di Stato, Sezione VI, 10 febbraio 2006, n. 555.
[2] V. Azzollini, cit.

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