In evidente crisi da astinenza sull’argomento, la direzione della prestigiosa testata ha ritenuto insopprimibile la necessità di tornare sul punto, affidandosi, però, per l’occasione ad un altro giornalista, Lorenzo Salvia, che il 24 luglio 2016, con l’articolo dal titolo “ Le province abolite? No, ci sono ancora e hanno più soldi di prima” (che già è un programma) raggiunge il ragguardevole risultato di fornire in poche righe una confusione e correlata disinformazione difficilmente pareggiabili.
Iniziamo dal titolo. Esso contiene un’affermazione corretta, quando informa che le province non sono abolite. Peccato, però, che nel corpo dell’articolo, il giornalista esordisca scrivendo esattamente l’opposto: “ La premessa è surreale ma necessaria. Le province sono state abolite però ci sono ancora. Non esistono più come organismo politico, non hanno più un presidente eletto dal popolo con relativo codazzo di assessori. Ma ci sono ancora come pezzo dello Stato, come uffici dove ogni giorno le persone vanno a lavorare ”.
Anche il lettore più distratto e meno esperto si chiederebbe, a questo punto: ma dov’è l’affermazione corretta? Nel titolo, secondo il quale le province non sono abolite? O nell’articolo, secondo il quale le province sono abolite?
Diamo uno scoop al Corriere della sera e a tutti i cantori della fantasmagorica normativa relativa alle province: ebbene, no, non sono state per nulla abolite. La famosa “legge Delrio”, la legge 56/2014, che ha dato la stura al delirio di norme attuative della riforma, non le ha affatto abolite, ma riformate, provando a ridurne – in malo modo – le funzioni e le competenze. Le province potrebbero risultare cancellate come enti a rilevanza costituzionale (ma, anche in questo caso non abolite: un ente perché esista non è necessario sia previsto dalla Costituzione, a meno di non ritenere “aboliti” Inps, Inail, Anac, Autorità portuali, etc, etc), ma, alla data del 24 luglio non esisteva nessuna norma nell’ordinamento giuridico che le avesse abolite.
Perché, allora, le affermazioni nel corpo dell’articolo? Vai a capire. Forse, per la voglia di qualsiasi giornalista di dare al pubblico lo scoop, la notizia dell’uomo che morde il cane.
Quindi, dare la sensazione che le province sono abolite, ma funzionano ancora è la costruzione da fiction utile per il secondo tipo di contenuto di titolo e articolo: ci sono ancora (anche se non dovrebbero esserci) e per giunta “hanno più soldi di prima”.
Sarà vero? Leggiamo ancora l’articolo: “ Dopo anni di tagli continui, dopo un lungo periodo in cui la sola parola provincia comportava l’accusa di malversazione e spreco di denaro pubblico, la settimana scorsa c’è stata un’inversione di tendenza. Piccola e silenziosa. Ma significativa. Nel disegno di legge sugli enti locali, approvato dalla Camera e adesso all’esame del Senato, invece delle solite sforbiciate le province hanno ottenuto una dote aggiuntiva di 148 milioni di euro. Soldi che potranno usare per la manutenzione delle strade e delle scuole, le due funzioni più importanti fra quelle rimaste nelle loro mani. Fosse accaduto qualche anno fa, quando l’austerity sembrava la soluzione e tutti i mali del cielo e della terra, sarebbe scoppiato l’inferno. Stavolta, invece, c’è stata solo una piccola lite condominial/istituzionale, con il mugugno dei Comuni che quei soldi li avrebbero voluti per loro ”.
Ringraziando, ovviamente, l’autore per l’accusa diretta a tutti coloro che operano nelle province di essere dei malversatori e fonti di spreco di denaro pubblico, non si può non evidenziare che quanto scrive in merito alla questione dei finanziamenti risulti del tutto infondato e profondamente sbagliato.
Il Salvia, molto informato sulle malversazioni delle province (attendiamo, però, adesso circostanziati articoli che le svelino una per una), pare non essere invece edotto della circostanza che una delle leggi attuative della riforma Delrio, la legge 190/2014 ha imposto alle province, dopo tagli per circa 2 miliardi disposti da una serie di leggi precedenti dal 2011, un prelievo forzoso dai loro bilanci, dell’ordine di 1 miliardo nel 2015 (già pagato), 2 miliardi nel 2016 (in corso di pagamento) e 3 miliardi nel 2017, riducendo così la capacità di spesa delle province da 11 miliardi circa nel 2012 a non più di 7 a regime, a fronte di un fabbisogno di circa 9 miliardi, connesso ai servizi da essere resi, che, sempre per informazione al Corriere, nessuno ha mai abolito e, dunque, occorre ancora gestire.
Ora, questa riduzione della capacità di spesa di 5,5 miliardi (che, sia chiaro, non hanno implicato nessuna riduzione delle imposte: i 3 miliardi di prelievo forzoso, per esempio, li incamera lo Stato, che li spende per i propri fini) ha comportato inevitabili scompensi finanziari. Il Salvia non se n’era evidentemente accorto. Ma, per esempio, qualcuno di molto autorevole sul tema, sì: la Corte dei conti, con deliberazione 17/2015 della Sezione Autonomie contenente la relazione “Il riordino delle province aspetti ordinamentali e riflessi finanziari”. Si tratta di una bocciatura senza appello del modo con cui le leggi citate prima hanno disciplinato la riforma delle province, vaticinando le conseguenze finanziarie inevitabili: “ La Corte ha anche richiamato l’attenzione sull’impatto delle nuove misure riduttive sulle risorse delle Province, conseguenti alla legge di stabilita 2015, suscettibili di generare forti tensioni sugli equilibri finanziari ”.
Infatti, cosa è successo? A consuntivo del 2015 si è verificato che 47 province su 76 delle regioni a statuto ordinario (il 61,8%) e 8 città metropolitane su 10 nel non hanno rispettato il patto 2015. Lo sforamento delle province ammonta a 549 milioni, mentre per le città metropolitane è di 367 milioni, per un totale di sforamento di 916 milioni.
Insomma, la legge 190/2014, disciplinando in modo pessimo la normativa finanziaria connessa al riordino delle province le ha letteralmente strozzate, uccidendo per altro sul nascere le città metropolitane: sono solo 10, ma hanno un’incidenza dello sforamento del patto di stabilità quasi pari a quello prodotto dalle altre 76!
Come si nota, lo sforamento verificatosi nel 2015, pari a 916 milioni, è quasi corrispondente al prelievo forzoso del primo anno di applicazione della scellerata legge 190/2014, pari a un miliardo.
In molti, come e con la Corte dei conti, avevano avuto gioco facile nel prevedere per tempo che la legge 190/2016 avrebbe indotto quasi tutte le province a sforare il patto di stabilità e, a regime, a mandarle tutte verso il dissesto finanziario.
Evidentemente, il Salvia non aveva seguito con così tanta attenzione la cosa e, quindi, rimane interdetto nel verificare i contenuti del “decreto enti locali”.
Il quale, non assegna affatto alle province “doti aggiuntive” o soldi in più. Al contrario, cerca di mettere una toppa al disastro finanziario determinato dalla legge 190/2016, limando le conseguenze dello sforamento del patto di stabilità e cercando di appianare il prelievo forzoso da 2 miliardi. Pannicelli, comunque, caldi, perché le province potranno approvare bilanci solo annuali e non triennali: infatti, il “taglio” a regime resta di 3 miliardi, che le province non hanno in alcun modo e, quindi, la destinazione verso il dissesto è ancora piena ed assoluta.
Il decreto “enti locali”, dunque, contrariamente a come lo presenta il Salvia, non è una sorta di tributo ad un ente malversatore che non vuol saperne di morire, ma un rimedio ad un errore gravissimo, commesso da chi ha inteso riformare le province con l’improvvisazione e l’imperizia visti sopra, determinando buchi finanziari spaventosi, rattoppati in qualche modo con decreti da ultima spiaggia (lo stesso, sappia il Salvia, era avvenuto anche nel 2015, con alcuni interventi posti a ridurre in qualche modo l’onere del miliardo previsto, anche se senza troppo successo).
I 148 milioni evidenziati dal Salvia quali prova del morso che l’uomo ha dato al cane, quindi, sono solo un rimedio, parziale, tardivo e insufficiente, per consentire alle province di riuscire a gestire almeno parte delle funzioni “fondamentali” lasciate alla loro competenza: la manutenzione delle strade. Saprà certamente, il Salvia, che oltre 130 mila chilometri di rete stradale è provinciale e che ogni giorno tante persone li percorrono (non tutti vivono a Milano o Roma…) per andare a lavorare o a scuola. E, a causa dei tagli violentissimi e mal congegnati alle province, molte di queste strade, prive di manutenzione da quasi due anni, si stanno sgretolando.
I 148 milioni, dunque, lo si ribadisce, non sono un tributo ai malversatori, ma un rimedio piccolo ad un errore immenso, consistente nella pessima qualità della riforma.
Sarebbe stato certo più interessante l’intervento del Corrirere se avesse avuto la voglia e la capacità di evidenziare che appunto di correzione in corso d’opera ad errore clamoroso si tratta. Ma, essendo il giornale che per anni ha ospitato i canti contro le province, purtroppo l’occasione è stata persa e, invece, è stata fatta tanta, tanta confusione, sempre allo scopo di far apparire le province come il Moloch che non sono mai state anche perché la loro spesa complessiva, anche quando toccava i 12 miliardi restava pur sempre appena l’1,4% del totale della spesa pubblica, della quale, come è noto, oltre l’80% è scialacquata dallo Stato che le ha riformate, senza, però, tagliare un euro di spesa per se stesso.
In effetti, continuando a leggere la parte finale dell’articolo del Salvia si ha per un attimo l’impressione che l’Autore si sia accorto di tutto ciò, quando scrive quanto segue: “ Ma forse ci si è accorti che a furia di tagliare gli sprechi, che c’erano e forse ci sono ancora, siamo arrivati all’osso. E anche oltre. Secondo i dati del ministero dell’Economia, le province hanno uno squilibrio di 122 milioni di euro. Cosa vuol dire? Che non hanno in cassa nemmeno i soldi per le cosiddette spese ineludibili, quelle che non possono fare a meno di pagare: stipendi, bollette, mutui . La silenziosa inversione di tendenza della settimana scorsa serve proprio a coprire questo buco. Forse la stagione dei tagli è finita ”.
Ma, la conclusione non è composta dalle domande che sarebbe stato opportuno porsi e porre al Governo e al Parlamento, queste:
1. di chi è la responsabilità per non aver computato i tagli evitando alle province lo sforamento del patto?
2. perché non avete tenuto conto delle indicazioni della Corte dei conti?
3. quale utilità concreta ha avuto la riforma, visto che ad esempio per mesi e mesi le strade provinciali sono rimaste senza manutenzione?
4. che senso ha avuto istituire le città metropolitane, facendole nascere già soffocate dai debiti?
5. invece di mettere delle pezze, non sarebbe stato opportuno rivedere dalle fondamenta la riforma?
6. come mai non si è visto un solo centesimo di risparmio per le tasche dei contribuenti?
Invece, nulla di tutto ciò. Nell’articolo si legge solo una considerazione finale, che manda assolti gli autori di una riforma sciagurata e devastante, buttandola nella caciara populista: “ Sicuramente è arrivato il momento di chiedersi cosa fare davvero delle province. Abolite per il grande pubblico. Ma ancora fra noi”.
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