Il dato davvero oltre il confine della comicità che emerge in questi giorni è quello della bozza di riforma del testo unico del lavoro pubblico, qualificata come “top secret”, ma nella disponibilità in particolare de Il Corriere della sera.
Ovviamente, la bozza non è per nulla top secret. Se lo fosse, non sarebbe distribuita come velina al giornale “di area” più vicino allo scopo precisissimo di svolgere il suo compito. Già, ma qual è questo compito?
Informare sul contenuto presunto top secret, certo. Ma non basta. Cerchiamo di capire, ma prima occorre una piccola divagazione, relativa alla riforma della Costituzione. Su Il Foglio del 26 luglio, è stato pubblicato un articolo di Carlo Stagnaro e Filippo Taddei, economisti che collaborano a stretto contatto di gomito col Governo, dal titolo “Referendum, basta menzogne”. Ovviamente, le menzogne sarebbero quelle di chi esplicita le ragioni del no, mentre le verità sono quelle di chi spinge per il sì.
L’intero articolo, pur essendo dotato della divina verità che ha visitato corpo e mente degli autori, è fondato su improbabili connessioni tra Costituzioni e produttività economica. Nessuno riesce a capire, allora, come mai se la Costituzione vigente sia così inefficace, l’Italia sia da sempre, a partire dalla metà degli anni ’50 del secolo scorso, piazzata tra le prime 10 economie del mondo. Non importa. I due autori fautori del veritiero sì contro il menzognero no, tra le molte giustificazioni (poco condivisibili in ogni senso) alla riforma, accentuano quella della velocità nelle decisioni, che sarebbe uno dei vantaggi principali: “ Non tutti i sistemi democratici sono uguali. Se individui e imprese sono ingabbiati da una burocrazia soffocante; se la responsabilità politica si disperde nel processo; se c'è una disconnessione tra il momento in cui le decisioni politiche maturano e quello in cui diventano efficaci; se non si superano questi limiti, allora le economie declinano e la competizione cede il passo al capitalismo di relazione e alla corruzione. Non c'è dubbio che l'Italia sia una democrazia. Altrettanto indubitabilmente, però, nei decenni si è sedimentato un sistema confuso, dove il processo decisionale è lento e incoerente e nel quale gli eccessi della burocrazia in settori cruciali si alimentano della caoticità nella ripartizione delle competenze tra i diversi livelli istituzionali ”.
Dunque, la riforma della Costituzione sarebbe la panacea, perché consentirebbe al Governo (finalmente!) di decidere in fretta e senza intermediazioni.
Ma, sarà poi vero che il Governo ha la forza o intende adottare queste decisioni in modo veloce, autorevole, fermo e tetragono?
Torniamo agli articoli sulla riforma della PA che il Governo sta facendo uscire tramite Il Corriere, con le bozze “top secret” che paiono “the Pulcinella’s secret”. La domanda da porsi è: come mai l’uscita col contagocce di queste notizie che dovrebbero essere segretissime, visto che il Governo pare intenzionatissimo ad approvare il testo della riforma a ridosso della scadenza ultima, prevista per febbraio 2017?
La risposta a questo punto è chiara. Febbraio 2017 viene dopo novembre 2016, quando si terrà il referendum appunto sulla riforma della Costituzione. Presentarsi al referendum avendo turbato un elettorato che tra dipendenti pubblici (3 milioni circa) e parentado, è composto da circa 10 milioni di consensi è, ovviamente, ad alto rischio, dal momento che la riforma appare sostanzialmente il rilancio e la riverniciatura della tanto odiata “riforma Brunetta”. Meglio, dunque, tirare in là.
Ma, per essere curiosi, il Governo prova comunque a capire e lascia passare qualche informazione sulla riforma tramite i media per vedere l’effetto che fa, per rendersi conto se davvero è il caso di rinviare tutto a tempi migliori o se, invece, condendo le notizie “top secret” con i consueti attacchi alla burocrazia, si possono scatenare i rigurgiti di contrapposizione sociale sempre presenti in Italia e verificare se eventuali voti persi dal bacino dei dipendenti pubblici si possano recuperare vellicando il bacino di chi ha fastidio per tutto ciò che è pubblico, dai dipendenti alle tasse.
Ecco, allora, lo scopo di queste notizie col contagocce. Che, poi, “notizie” per la verità non sembrano molto.
Il Corriere, infatti, ha dato conto soprattutto di due aspetti: l’eliminazione degli scatti di anzianità e la licenzi abilità dei dipendenti pubblici.
Tuttavia, dovrebbe risultare noto che gli scatti di anzianità sono stati eliminati nel rapporto di lavoro pubblico (mentre sono ben presenti in quello privato) dal 1992. Godono degli scatti di anzianità ristrettissime cerchie di dipendenti, per altro non contrattualizzati: magistrati, docenti universitari, prefetti, militari e appartenenti alla diplomazia; in parte, gli scatti riguardano i docenti delle scuole. Il 75% dei dipendenti pubblici non sa nemmeno cosa sia lo scatto di anzianità.
Per quanto riguarda la possibilità di licenziare i dipendenti pubblici considerati in esubero per ragioni economiche od organizzative e superato un periodo di 24 mesi di collocazione in disponibilità con stipendio ridotto, forse al Corriere sfugge che queste previsioni sono già vigenti e da anni. Come vigente è la responsabilità dei dirigenti che non dispongano gli esuberi Proviamo a citarle:
- articolo 33, commi da 1 a 3 e 8, del d.lgs 165/2001: “ 1. Le pubbliche amministrazioni che hanno situazioni di soprannumero o rilevino comunque eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria, anche in sede di ricognizione annuale prevista dall’articolo 6, comma 1, terzo e quarto periodo, sono tenute ad osservare le procedure previste dal presente articolo dandone immediata comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica.
2. Le amministrazioni pubbliche che non adempiono alla ricognizione annuale di cui al comma 1 non possono effettuare assunzioni o instaurare rapporti di lavoro con qualunque tipologia di contratto pena la nullità degli atti posti in essere.
3. La mancata attivazione delle procedure di cui al presente articolo da parte del dirigente responsabile è valutabile ai fini della responsabilità disciplinare
8. Dalla data di collocamento in disponibilità restano sospese tutte le obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro e il lavoratore ha diritto ad un’indennità pari all’80 per cento dello stipendio e dell’indennità integrativa speciale, con esclusione di qualsiasi altro emolumento retributivo comunque denominato, per la durata massima di ventiquattro mesi. I periodi di godimento dell’indennità sono riconosciuti ai fini della determinazione dei requisiti di accesso alla pensione e della misura della stessa. E' riconosciuto altresì il diritto all’assegno per il nucleo familiare di cui all’articolo 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 153”.
Altra “notizia” filtrata dalle segretissime bozze sarebbe quella dell’obbligatorietà della prova di lingue nei concorsi, che in realtà è obbligatoria dal 2000.
Insomma, si tratta di una serie di non-notizie, che avvolgono il vero intento della riforma, che consiste sostanzialmente nel rilanciare il sistema di valutazione per fasce già previsto dalla riforma-Brunetta, congelato a causa del blocco della contrattazione.
La riforma è necessaria per dare finalmente corso a questa riforma, che impone di attribuire i premi di produttività solo ad una piccola parte del personale. Ciò è necessario oltre che per ragionevoli motivi di selettività e valorizzazione del merito, per la semplicissima ragione che, come dimostrato dalla legge finanziaria per il 2016, la spesa per il lavoro pubblico deve essere tenuta sotto controllo. I famosi 300 milioni non possono che essere destinati in modo selettivo e, quindi, solo utilizzandoli come produttività possono generare cifre significative, mentre se spalmati tra tutti i dipendenti determinerebbero incrementi irrisori, anzi irridenti.
Ecco, quindi, spiegate le ragioni del Pulcinella’s top secret, che verrà instillato a piccole dosi per tutta l’estate, in vista del referendum.
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