La Corte dei conti lo ha
specificato da tempo: la spesa di personale costituisce un aggregato cangiante,
a seconda delle norme e della prospettiva con cui lo si guarda. Come è noto, la
Sezione Autonomie con la deliberazione 26 luglio 2013, n. 17, lo ha ammesso
candidamente: non esiste “una disposizione normativa che indichi sicuramente
quali siano le componenti dell’aggregato spesa di personale, e quindi quali
siano le voci da includere e quelle, viceversa, da escludere”.
Un caso clamoroso di negazione di
quello che dovrebbe essere un elemento fondante di qualsiasi ordinamento
giuridico: la certezza del diritto.
Per quanto concerne la spesa di
personale, ma addirittura lo stesso concetto di “assunzione”, il lavoro
pubblico ormai da decenni brancola nel buio, in assenza di indicazioni chiare e
stabili nel tempo, rendendo così impossibile quella programmazione che, però,
lo stesso legislatore e Corte dei conti vorrebbero costante, continua,
corretta, precisa.
Si assiste, dunque, ad una serie
di indicazioni contraddittorie, dalle quali molto spesso emerge che un certo
istituto al contempo “è” ma anche “è un’altra cosa”.
Una confusione dilagante. Se le
riforme “epocali” servissero davvero, dovrebbero prendere di mira esattamente
questo insieme di contraddizioni e finalmente eliminarlo, per dare vita ad un
corpo giuridico unico di disciplina del lavoro pubblico, che, in particolare,
esca dall’equivoco di regolare il concetto di assunzione non alla luce della
sua logica disciplina, quella lavoristica, ma anche e talvolta in modo
preponderante, sulla base della disciplina finanziaria. Ciò che negli anni ha
fatto sì, ad esempio che venga considerata spesa “di personale” quella relativa
a consulenze e collaborazioni, pur non essendo propriamente spesa di personale
in quanto non si determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro
subordinato.
Siamo, tuttavia, lontanissimi da
una riformulazione delle norme in materia, volta a cercare di fare un minimo di
ordine.
Ne è testimonianza piena e
diretta il d.l. 113/2016, convertito in legge 160/2016, che in pochissime
norme, sostanzialmente gli articoli 16 e 17, rappresenta la summa della
confusione passata, presente e futura, con cui il legislatore, coadiuvato nel
generare caos da Corte dei conti, Aran e Mef in grande spolvero, ha sin qui
“regolato” la materia. Alcuni esempi.
Spesa per gli incarichi a
contratto. L’articolo 16, comma 1-quater, del d.l. 113/2016 convertito in
legge 160/2016 dispone: “All'articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010,
n. 122, dopo l'ottavo periodo è inserito il seguente: «Sono in ogni caso
escluse dalle limitazioni previste dal presente comma le spese sostenute per le
assunzioni a tempo determinato ai sensi dell'articolo 110, comma 1, del testo
unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267»”. Si tratta
dell’esempio paradigmatico esattamente di un istituto che è, ma al tempo stesso
non è.
Sappiamo che ai sensi
dell’articolo 9, comma 28, del famigerato d.l. 78/2010 convertito in legge
122/2010 (una legge che andrebbe urgentemente eliminata per sempre
dall’ordinamento giuridico) si pongono limitazioni alla spesa relativa ai contratti
di lavoro flessibile: il 50% della spesa sostenuta per varie forme flessibili
nel 2009, che per gli enti locali in regola con l'obbligo di riduzione delle
spese di personale di cui ai commi 557 e 562 dell'articolo 1 della legge
296/2006i, nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, sale
al 100%.
La Corte dei conti che, come
ricordato sopra, contribuisce in maniera significativa al caos, con una serie
di pronunce nel passato aveva affermato l’impossibile: cioè che la spesa per
gli incarichi a contratto regolati dall’articolo 110 del d.lgs 267/2000, cioè
rapporti di lavoro inequivocabilmente a tempo determinato, non rientrasse
nell’aggregato della spesa previsto dal citato articolo 9, comma 28.
Una teoria sicuramente azzardata
e totalmente erronea. Come rilevato, l’articolo 110 si riferisce senza
incertezza alcuna a rapporti di lavoro subordinato a tempo deteriminato,
espressamente menzionati dall’articolo 9, comma 28, tra le forme flessibili
oggetto del contenimento della spesa. Ma, non si sa mai che qualche magistrato
contabile o di altre giurisdizioni possa essere incaricato di fare il capo di
gabinetto o il dirigente a contratto in qualche comune. Dunque, la Corte dei
conti ha lasciato questi incarichi fuori dal campo di applicazione dell’articolo
9, comma 28, pur in aperto contrasto con la legge. Dando vita così al fenomeno
degli incarichi a contratto che sono rapporti di lavoro a tempo determinato a
fini sostanziali, ma non lo sono a fini finanziari!
La magistratura contabile, però, conscia
che l’ossimoro era davvero rilevante è tornata di recente sui suoi passi,
proprio mentre era in moto il processo legislativo del decreto enti locali
2016. Dunque, la Sezione Autonomie, con la delibera 3 maggio 2016, n. 14, ci ha
ripensato: “Le spese riferite agli incarichi dirigenziali conferiti ex art.
110, primo comma, del decreto legislativo n. 267 del 2000 devono essere
computate ai fini del rispetto del limite di cui all’art. 9, comma 28, del
decreto legge n. 78 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge n. 122
del 2010”.
Per una volta che la legge era stata correttamente
interpretata a partire dal chiarissimo dato letterale, apriti cielo.
Sì, perché la natura duplice
dell’incarico ex articolo 110, tempo determinato “esente” dall’articolo 9,
comma 28, in passato ammessa dalla Corte dei conti, ha indotto i comuni a
creare un aggregato di spesa esemplificato in 1000 pari alla spesa per
personale flessibile 2009, a cui aggiungere un 100 connesso alla spesa per
l’articolo 110. Una volta che la Corte dei conti corregge il tiro delle sue
interpretazioni, riallineandole finalmente alla legge, però, quei comuni si
ritrovano i 100 spesi per gli articoli 110 compresi nel limite di 1000 per la
spesa di personale flessibile: l’effetto è ridurre da 1000 a 900 il tetto col
quale arrabattarsi per acquisire personale flessibile.
Poteva, dunque, restare ferma
nell’ordinamento una disciplina finalmente chiara e lineare, a seguito
dell’autocorrezione della Corte dei conti? No. Così è stato. Dunque, l’articolo
16, comma 1-quater, della legge 160/2016 ricrea per via normativa l’assurdo a
suo tempo elaborato in provetta per via interpretativa.
Quindi le spese per le assunzioni
ai sensi dell’articolo 110 (non solo di dirigenti, ma anche dei responsabili di
servizio e delle alte professionalità) sono escluse dall’articolo 9, comma 28,
nonostante sia lo stesso comma 1-quater a ricordare che si tratta di contratti
a tempo determinato. Che, quindi, sono tali ai fini della qualificazione
giuslavoristica, ma non lo sono ai fini finanziari. Lo scempio alla logica e
alla razionalità del diritto prosegue.
Limiti di spesa. Vi sono,
poi, i casi eclatanti dei limiti di spesa che sono, ma non sono, e comunque
cambiano in relazione alla tipologia degli enti o a situazioni contingenti, che
creano regole e sotto regole inestricabili.
Il comma 1 dell’articolo 16 della
legge 160/2016 fa un regalo non da poco alle sempre tanto bistrattate logica e
razionalità del diritto, abolendo la lettera a) dell’articolo 1, comma 557,
della legge 296/2006.
Anche in questo caso, si è
assistito ad un balletto di contraddizioni inscenato tra Corte dei conti e
Legislatore, che avrebbe dovuto trovare soluzione molto, molto prima.
Come è noto, il d.l. 90/2014,
convertito in legge 114/2014 aveva sostanzialmente posto nel nulla il
significato stesso dell’articolo 1, comma 557, lettera a), della legge
296/2006, introducendo nel medesimo articolo il nuovo comma 557-quater: “Ai
fini dell'applicazione del comma 557, a decorrere dall'anno 2014 gli enti
assicurano, nell'ambito della programmazione triennale dei fabbisogni di
personale, il contenimento delle spese di personale con riferimento al valore
medio del triennio precedente alla data di entrata in vigore della presente
disposizione”. Si capiva anche qui perfettamente e senza ombra alcuna che
il riferimento alla spesa di personale era un tetto fisso: il valore medio del
triennio 2011-2013. Posto che tale tetto avesse valore 1000, gli enti avrebbero
potuto annualmente far oscillare la spesa di personale un anno a 999, l’altro a
998, l’anno dopo di nuovo a 999 e così via.
Naturalmente questa
interpretazione si sposava senza nessun problema alla formulazione della
lettera a) del comma 557, volta a prevedere come sola disposizione di principio
la previsione di una discesa annuale costante della spesa di personale rispetto
all’anno precedente: una volta che si fissi un tetto invalicabile alla crescita
della spesa, di fatto il principio posto è necessariamente rispettato.
Non così secondo la Corte dei
conti, che nel 2015, mentre le amministrazioni erano soffocate dai problemi
enormi di gestione del personale posti dalla sciagurata legge 190/2014, allo
scopo di regolare la messa in soprannumero dei dipendenti delle province e
creare percorsi di ricollocazione cagionanti un sostanziale blocco delle
assunzioni, ha elaborato la teoria che la previsione della lettera a),
espressamente qualificata dal comma 557 come “principio” fosse, invece,
cogente. Dando così vita al bizzarro ulteriore mostro giuridico: il principio
che è al contempo disposizione puntuale e inderogabile.
Almeno in questo caso, il
Legislatore ha risolto la questione con l’abolizione della lettera a)
dell’articolo 557. Ma sarebbe stata necessaria una norma di interpretazione
autentica con effetto retroattivo, per porre davvero nel nulla la lettura
erronea data dalla Corte dei conti, la quale sulla base del principio tempus
regit actum può ovviamente ancora incidere sui comuni che avessero letto la
disposizione come principio e non avessero garantito la discesa annuale della
spesa, pur rispettando il tetto della media del triennio 2011-2013. Il rischio
che la partita resti ancora aperta e la possibilità di contenziosi è lungi
dall’essere scongiurato.
Che dire, poi, dei tetti di spesa
annui, riferiti al flusso di assunzioni effettuabili e programmabili? Il caos
regna totale.
Le regole in campo sarebbero le
seguenti:
-
tetto alla spesa per assunzioni flessibili non superiore al
50% della spesa del 2009, che sale al 100% per gli enti virtuosi, escludendo le
assunzioni di cui all’articolo 110;
-
il tetto della spesa per le assunzioni in ruolo è
ricostruibile per il 2016 da questa iniziale tabella, riferita alla legge
190/2014 e al d.l. 90/2014:
80% del costo delle cessazioni
del 2015
In questo 80% è compreso il
25% del tetto che vigerà negli anni 2016, 2017 e 2018.
Il 25% finanzia esclusivamente
le assunzioni di cui alle lettere c) e d) dell’elenco qui a fianco.
Non è chiara la fonte di
finanziamento di cui alla lettera e) sempre dell’elenco qui a fianco.
Chiusa la procedura di
ricollocazione dei dipendenti provinciali, solo il 25% del costo delle
cessazioni finanzierà tutte le assunzioni; tornerà a potersi svolgere la
mobilità “neutra”.
Ai sensi del comma 228 della
l. 208/2015 negli anni 2016, 2017 e 2018 si possono assumere a tempo
indeterminato solo le qualifiche non dirigenziali.
|
Utilizzabile:
a)
prioritariamente per le assunzioni conseguenti a concorsi con graduatorie
vigenti o approvate alla data dell’1.1.2015;
b)
per le assunzioni dei dipendenti delle province posti in sovrannumero;
c)
per le assunzioni del personale appartenente alle categorie protette;
d)
per assunzioni per figure infungibili, ai sensi della deliberazione 19/2015
della Sezione Autonomie e dell’articolo 4 del d.l. 78/2015, convertito in
legge 125/2015?
e)
per finanziare le voci fisse e variabili del trattamento accessorio, nonchè
la progressione economica orizzontale, secondo quanto previsto dalle
disposizioni contrattuali vigenti del personale provinciale trasferito (art.
10, comma 2, Dpcm 14.9.2015)
|
|
Ma, in realtà, in applicazione
dell’articolo 1, commi 424 e 425, della legge 190/2014, si può giungere ad
utilizzare il 100% del costo delle cessazioni del 2015, a condizione che il
restante 20% sia
|
riservato esclusivamente ai
dipendenti provinciali trasferiti in sovrannumero
|
Anche in questo caso si nota
un’incongruenza: nel 2016 il margine del budget assunzionale riservato ai
dipendenti in sovrannumero diminuirà, invece di almeno restare costante.
|
Resti assunzionali del
triennio 2012-2013-2014
|
Utilizzabili:
a)
liberamente per qualsiasi tipo di assunzione (purchè ciò sia previsto dal
programma delle assunzioni 2016);
|
Nulla vieta di destinare
queste risorse anche all’acquisizione di personale provinciale in
sovrannumero.
I resti assunzionali del 2014
utilizzabili liberamente saranno quelli del 60% non integralmente riservati
al personale soprannumerario?
|
Molto chiaro, vero? Ma, la
situazione cambia con la legge 208/2015:
25% del costo delle cessazioni
del 2015, che però per gli enti il cui rapporto spesa di personale/spesa
corrente sia inferiore al 25%, per il solo 2016 può essere del 100% (articolo
1, comma 228, della legge 208/2015)
In questo 100% è compreso il
25% del tetto che vigerà negli anni 2016, 2017 e 2018.
Il 25% finanzia esclusivamente
le assunzioni di cui alle lettere c) e d) dell’elenco qui a fianco.
Non è chiara la fonte di
finanziamento di cui alla lettera e) sempre dell’elenco qui a fianco.
Chiusa la procedura di
ricollocazione dei dipendenti provinciali, solo il 25% del costo delle
cessazioni finanzierà tutte le assunzioni; tornerà a potersi svolgere la
mobilità “neutra”.
Ai sensi del comma 228 della
l. 208/2015 negli anni 2016, 2017 e 2018 si possono assumere a tempo
indeterminato solo le qualifiche non dirigenziali.
|
Utilizzabile:
a)
prioritariamente per le assunzioni conseguenti a concorsi con graduatorie
vigenti o approvate alla data dell’1.1.2015;
b)
per le assunzioni dei dipendenti delle province posti in sovrannumero;
c)
per le assunzioni del personale appartenente alle categorie protette;
d)
per assunzioni per figure infungibili, ai sensi della deliberazione 19/2015
della Sezione Autonomie e dell’articolo 4 del d.l. 78/2015, convertito in
legge 125/2015?
e)
per finanziare le voci fisse e variabili del trattamento accessorio, nonchè
la progressione economica orizzontale, secondo quanto previsto dalle
disposizioni contrattuali vigenti del personale provinciale trasferito (art.
10, comma 2, Dpcm 14.9.2015)
|
|
In applicazione dell’articolo
1, commi 424 e 425, della legge 190/2014, resta la possibilità di giungere ad
utilizzare il 100% del costo delle cessazioni del 2015, a condizione che il
restante 20% sia
|
riservato esclusivamente ai
dipendenti provinciali trasferiti in sovrannumero
|
Anche in questo caso si nota
un’incongruenza: nel 2016 il margine del budget assunzionale riservato ai
dipendenti in sovrannumero diminuirà, invece di almeno restare costante.
|
Resti assunzionali del
triennio 2012-2013-2014
|
Utilizzabili:
a)
liberamente per qualsiasi tipo di assunzione (purchè ciò sia previsto dal
programma delle assunzioni 2016);
|
Nulla vieta di destinare
queste risorse anche all’acquisizione di personale provinciale in
sovrannumero.
I resti assunzionali del 2014
utilizzabili liberamente saranno quelli del 60% non integralmente riservati
al personale soprannumerario?
|
Con l’articolo 16 della legge
160/2016, il quadro della situazione cambia ancora:
25% del costo delle cessazioni
del 2015, che però per gli enti il cui rapporto spesa di personale/spesa
corrente sia inferiore al 25%, per il solo 2016 può essere del 100% (articolo
1, comma 228, della legge 208/2015)
In questo 100% è compreso il
25% del tetto che vigerà negli anni 2016, 2017 e 2018.
Il 25% finanzia esclusivamente
le assunzioni di cui alle lettere c) e d) dell’elenco qui a fianco.
Non è chiara la fonte di
finanziamento di cui alla lettera e) sempre dell’elenco qui a fianco.
Chiusa la procedura di
ricollocazione dei dipendenti provinciali, solo il 25% del costo delle
cessazioni finanzierà tutte le assunzioni; tornerà a potersi svolgere la
mobilità “neutra”.
Ai sensi del comma 228 della
l. 208/2015 negli anni 2016, 2017 e 2018 si possono assumere a tempo
indeterminato solo le qualifiche non dirigenziali.
Però i comuni con popolazione
da 1000 a 9.999 abitanti con un rapporto dipendenti/popolazione inferiore al
a quello definito con il decreto del ministro dell'Interno per gli enti
dissestati (articolo 263, comma 2, del Tuel):
possono assumere entro una
spesa pari al 75% del costo delle cessazioni dell’anno precedente, fermo
restando che la spesa passa al 100% se il rapporto spesa di personale/spese
correnti è inferiore al 25%
I comuni con popolazione fino
a 1000 abitanti continuano ad assumere tutto il turn-over.
|
A seguito dello sblocco delle
assunzioni per gli agenti di polizia municipale nelle regioni interessate, le
possibilità di spesa sono integralmente utilizzabili a tal fine.
Le risorse sono utilizzabili:
a)
prioritariamente per le assunzioni conseguenti a concorsi con graduatorie
vigenti o approvate alla data dell’1.1.2015;
b)
per le assunzioni dei dipendenti delle province posti in sovrannumero;
c)
per le assunzioni del personale appartenente alle categorie protette;
d)
per assunzioni per figure infungibili, ai sensi della deliberazione 19/2015
della Sezione Autonomie e dell’articolo 4 del d.l. 78/2015, convertito in
legge 125/2015?
e)
per finanziare le voci fisse e variabili del trattamento accessorio, nonchè
la progressione economica orizzontale, secondo quanto previsto dalle
disposizioni contrattuali vigenti del personale provinciale trasferito (art.
10, comma 2, Dpcm
14.9.2015)
nelle regioni e negli enti
locali del loro territori non ancora interessate dallo sblocco delle
assunzioni, disposto invece in Emilia Romagna, Lazio, Marche e Veneto. Presso
queste regioni, quindi, non si applicano più le regole speciali indotte dalla
legge 190/2014.
Inoltre, l’articolo 16, comma
1-ter, prevede che nelle regioni in cui sia stato ricollocato il 90 per cento
del personale soprannumerario delle province, i comuni e le città
metropolitane possono riattivare le procedure di mobilità: dunque, la spesa
|
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In applicazione dell’articolo
1, commi 424 e 425, della legge 190/2014, resta la possibilità di giungere ad
utilizzare il 100% del costo delle cessazioni del 2015, a condizione che il
restante 20% sia
|
riservato esclusivamente ai
dipendenti provinciali trasferiti in soprannumero, nei territori per i quali
non operi ancora lo sblocco completo delle assunzioni.
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Anche in questo caso si nota
un’incongruenza: nel 2016 il margine del budget assunzionale riservato ai
dipendenti in sovrannumero diminuirà, invece di almeno restare costante.
|
Resti assunzionali del
triennio 2012-2013-2014
|
Utilizzabili:
a)
liberamente per qualsiasi tipo di assunzione (purchè ciò sia previsto dal
programma delle assunzioni 2016);
|
Nulla vieta di destinare
queste risorse anche all’acquisizione di personale provinciale in
sovrannumero.
I resti assunzionali del 2014
utilizzabili liberamente saranno quelli del 60% non integralmente riservati
al personale soprannumerario?
|
Insomma, come si nota, il tetto
alle assunzioni è e al tempo stesso è qualcosa d’altro; le assunzioni sono ma
non sono possibili, le condizioni sono ma sono contestualmente diverse a
seconda di come gira la ruota.
Un caos devastante, che rende la
gestione del personale, della spesa, dei bilanci, dei Dup, dei Peg, della
contrattazione decentrata, della programmazione delle assunzioni un’opera
alchemica, lontanissima da ogni regola di “managerialità”, “flessibilità”,
“aziendalismo”, gli slogan ripetuti da tempo, negati dalla realtà e da una
congerie di leggi asfissianti, che nessuna riforma è in grado di eliminare una
volta per tutte.
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