Appare largamente opportuno sul
piano pratico che le amministrazioni rinuncino a qualsiasi velleità di
effettuare affidamenti “diretti” basati sulla sola “adeguata motivazione”, in
astratto consentiti dall’articolo 36, comma 2, lettera a), del d.lgs 50/2016.
La Commissione Speciale del
Consiglio di stato chiamata, su iniziativa della stessa Anac, a pronunciarsi
sulle Linee guida sulle procedure per l'affidamento dei contratti pubblici di
importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, indagini di mercato e
formazione e gestione degli elenchi di operatori economici, conferma che la
tanto auspicata semplificazione degli affidamenti nel “sotto-sotto soglia”,
cioè fino ai 40.000 euro sostanzialmente non è possibile, almeno finchè il
testo del codice dei contratti non venga modificato.
In effetti, l’articolo 36, comma
2, lettera a), presenta un ossimoro. In retorica, l’ossimoro è l’accostamento
di due termini sintattici tra loro antitetici, contrastanti, ad esempio un
assordante silenzio. Per traslato, l’ossimoro finisce per essere l’enunciazione
di una volontà o di un fatto impossibile, come cavare sangue dalle rape,
oppure, appunto, reperire una motivazione adeguata ad un affidamento diretto.
Proviamo ad utilizzare semplici
sillogismi aristotelici o, se si vuole, ancor più semplici ragionamenti binari
(1 e 0). Il fatto è che l’affidamento, se è diretto, necessariamente è
anticoncorrenziale; ma, se non è concorrenziale, significa che non consente l’apertura
alla possibilità che più di un operatore economico sia coinvolto nella
procedura; dunque, l’affidamento non potrà mai rispettare almeno due dei
principi enunciati dall’articolo 30, comma 1, del codice: libera concorrenza e
non discriminazione; per ovviare a questo, la motivazione della violazione di
questi principi dovrebbe essere “adeguata”; ma, se l’affidamento è diretto, la
motivazione non può che riguardare caratteristiche soggettive dell’operatore
economico; ma, guardare alle sole caratteristiche soggettive del contraente
significherebbe consentire affidamenti solo fiduciari, dei quali poter ottenere
conto solo applicando il principio della trasparenza, la quale, però, consente
solo di evidenziare il percorso seguito, ma non apre la concorrenza, né evita
la discriminazione.
In sostanza, il legislatore
avrebbe visto nella motivazione “adeguata” lo strumento utile per superare
procedure selettive tra più operatori economici nei contratti fino a 40.000
euro, ma poiché non è riuscito, né tanto meno l’Anac, ad indicare quando e come
una motivazione possa essere “adeguata”, le Linee guida, anche sulla base della
lettura che di esse fornisce il Consiglio di stato, finiscono per dare un’unica
vera indicazione, sia pure implicita: la motivazione “adeguata” non esiste,
sicchè è sempre meglio attivare una procedura concorrenziale, almeno fondata
sull’indagine di mercato.
Di fatto, l’attributo “adeguata”
connesso al sostantivo “motivazione” anche solo logicamente non ha alcun senso;
meno ancora ne ha se tale attributo costituisce una qualità specifica di un
elemento giuridico. E’ ovvio che un provvedimento amministrativo, infatti, deve
essere motivato; altrettanto ovvio è che se la motivazione non è adeguata, essa
è come non esistesse. Ricorrendo all’etimologia delle parole, si capisce perché.
L’aggettivo “adeguato” deriva dal verbo “adeguare”, che proviene dal latino ed
esattamente dalla composizione della preposizione “ad” ed il verbo “aequare”.
Il significato è, dunque, andare (ad ha significato di moto a luogo) verso l’equità:
in poche parole, adeguare vuol dire rendere due oggetti o due concetti il più
possibile uguali, pareggiarli. Ma l’adeguamento, di per se stesso, poiché implica
il pareggiamento tra almeno due termini di paragone, richiede il confronto:
infatti adequare significa anche
paragonare.
Ora, una procedura di gara cos’altro
è se non un paragone tra diverse offerte, così da trovare quella più “adeguata”,
nel senso che è quella che più va verso la convenienza tecnico-economica dell’ente
appaltante?
Allora, scopriamo che esistono
sostanzialmente due tipi di motivazione:
1.
quella tautologica;
2.
quella adeguata.
Cos’è la tautologia? Anch’essa
una figura retorica, o, meglio, un difetto dell’argomentare, costruito su un’affermazione
illusoriamente dimostrativa di un concetto, che si risolve nella ripetizione con
altre parole o addirittura con parole della stessa radice del significato del
concetto che si intendeva spiegare: patriottismo è ciò che è patriottico.
Una motivazione dell’affidamento
diretto del contraente che si fondi sulla sola verifica dei requisiti del
contraente, non può che essere tautologica: si dimostra che il contraente
scelto è quello migliore, affermando che è il migliore. Ma, “migliore” è un superlativo
“relativo”, cioè indica che la cosa migliore lo è in confronto con altre, non
in assoluto. Però, se l’affidamento è diretto, manca il confronto. Quindi, non
si hanno realmente armi né logiche, né fattuali per dimostrare che l’affidamento
sarebbe stato assegnato all’operatore economico “migliore”.
Dunque, non resta che la
motivazione “adeguata”. La quale, però, come visto sopra, per essere tale a sua
volta dovrebbe paragonare tra loro almeno due elementi.
Di fatto, soprattutto il
legislatore, ma anche l’Anac, considerano l’attributo “adeguata” dell’offerta
niente più che un mero “epiteto”. Anche qui si torna su figure retoriche. L’epiteto
è molto utilizzato nei racconti epici (in particolare Iliade ed Odissea) ed
aveva particolarmente lo scopo di consentire all’aedo, colui che narrava
cantando i racconti, di avere una pausa tra un verso e l’altro, per ricordarne
la sequenza. Dunque, Achille era “piè veloce”; Atena “dalle bianche braccia”,
Poseidone “dai capelli neri”.
L’epiteto è un attributo di
persone o cose, ma non ha in realtà un significato particolare per il contesto:
è una formula ripetitiva.
In realtà, simili formule si
utilizzano ancora e sono molto presenti in particolare nei media. Qualche
esempio: l’asfalto è sempre “reso viscido dalla pioggia”; il dossier “voluminoso”;
le riforme sono “strutturali”; il monito “severo”; l’indagine caratterizzata “dal
massimo riserbo”.
In realtà, nel caso del
giornalismo si parla di frasi fatte, a ben vedere molto frequenti anche nel
linguaggio “burocratese”: “la prefata nota”, il “plico che si compiega”, la “regolare
fattura”, l’attesa del “cortese e sollecito riscontro”, la trasmissione per “opportuna
conoscenza”.
Il d.lgs 50/2016 ha compiuto la
medesima operazione: la “motivazione adeguata” è solo una frase fatta,
impossibile da prevedere se, come indica l’Anac, nella realtà non realizza una
procedura comunque selettiva e di confronto tra più soggetti.
Qualsiasi amministrazione
appaltante o Rup voglia cimentarsi nell’affidamento diretto mediante
motivazione “adeguata” si ritroverà nell’impossibilità di offrire una convincente
spiegazione del perché la scelta compiuta possa ricadere su un unico operatore
economico, se non spiega che altri offrono condizioni meno vantaggiose.
La semplificazione, in questa
soglia fino a 40.000 euro, quindi, proprio perché enunciata per epiteto o frase
fatta, a ben vedere non esiste.
A conti fatti, risulta molto più
semplice utilizzare sempre lo strumento previsto dall’articolo 36, comma 2,
lettera b): la consultazione di almeno 5 operatori (che il Consiglio di stato
consiglia di portare sempre ad almeno 10, nel caso il criterio di aggiudicazione
sia il ribasso e ci si voglia avvalere dell’esclusione automatica delle offerte
anomale), che porta comunque ad una selezione concorrenziale, per quanto
limitata.
Il problema, in questo caso,
poi, consiste nella selezione degli operatori economici da consultare. Le soluzioni
sono molteplici. Le più convincenti sono quella dell’istituzione di un albo dei
fornitori, sempre aperto a nuovi ingessi, al quale attingere. Questo ha la
controindicazione del problema della rotazione: sia Anac, sia Consiglio di
stato si orientano verso l’idea dell’esclusione del precedente affidatario
dalla consultazione diretta, ai fini della procedura di gara semplificata di
cui all’articolo 36, comma 2, lettere b) e seguenti. Occorre certamente tenere
nella dovuta considerazione questa teoria e, quindi, cautelarsi evitando di
chiamare in causa il precedente affidatario. Sul piano interpretativo,
tuttavia, questa lettura fornita da Anac e Consiglio di stato non appare
corretta, perché in chiarissima violazione di uno dei principi cardine del
codice: la “non discriminazione”. L’assunto che il precedente aggiudicatario
debba sempre essere esclusi dalla formazione della nuova rosa di operatori da
consultare allo scopo di garantire la rotazione è fortemente discriminatorio ed
anti concorrenziale.
Questo inconveniente logico ed
operativo (che prima o poi incontrerà un giudizio fortemente negativo da parte
delle istituzioni europee) può essere superato inviando gli inviti per la
consultazione a tutti gli operatori presenti nell’albo, così da non
discriminare proprio nessuno. Oppure, utilizzando l’altro sistema: quello dell’apertura
alla possibilità di consultare gli operatori economici che rispondano ad un
avviso pubblico che li spinga a manifestare l’interesse ad essere
successivamente invitati a presentare offerte. In questo modo, anche se si
rientra in una procedura negoziata semplificata, comunque si compie un’apertura
del mercato lasciando al mercato stesso di autoregolarsi: se il precedente
affidatario riterrà di manifestare interesse, presenterà un’offerta e risulterà
aggiudicatario se essa sarà la migliore.
E’ evidente, dunque, che la
frase fatta della motivazione adeguata non semplifica alcunché e spinge di
fatto le amministrazioni ad agire sempre con procedure selettive.
Ulteriormente, anche se il codice impone di programmare forniture e servizi di
valore complessivo appunto al di sopra dei 40.000 euro, comprendere che la
motivazione adeguata è una chimera, può indurre a programmare anche le
acquisizione di basso importo, allo scopo di creare un crono programma operativo.
E’ certamente una complicazione, ma è opportuno riflettere: sebbene la
normativa sugli appalti limiti la programmazione obbligatoria fino al valore di
40.000 euro, comunque documenti di programmazione gestionale come il Piano
Esecutivo di Gestione in ogni caso dovrebbero contemplare la sistematizzazione
delle attività ed il loro crono programma.
Se si guarda, quindi, alla
normativa nel suo complesso, si scopre che in realtà gli adempimenti e le
complicazioni imposte dal procedere nell’impossibilità di dare vita realmente
ad affidamenti diretti adeguatamente motivati, non sono così rilevanti e che la
difficoltà a reperire la motivazione adeguata (a meno che non si rientri nei
casi tassativi di cui all’articolo 63 del codice) suggerisce confronti
concorrenziali ben programmati.
Oltre tutto, la soglia dei
40.000 euro va considerata con moltissima cautela, perché espone al rischio del
frazionamento artificioso degli appalti. Si ponga l’esempio dell’acquisto di
cancelleria: l’ufficio A può avere necessità di acquisto per 15.000 euro; l’ufficio
B per 10.000; l’ufficio C per 20.000. Ma, il centro di imputazione della spesa
non è il singolo ufficio, bensì l’intero ente. Così, allora, la spesa per
cancelleria risulterebbe di 45.000 euro. Se ciascun ufficio procedesse ad affidamenti
diretti adeguatamente motivati (non si sa come), compirebbero tutti affidamenti
viziati dall’artificioso frazionamento delle basi di gara, che una
programmazione attenta anche ad acquisti di modesto importo, ripartiti per
centri di costo e riportati ad unità, impedirebbe.
E’ ovvio che il legislatore ha
dimostrato poco coraggio e non è riuscito ad introdurre un sistema davvero
semplice, la cui chiave di volta consisterebbe banalmente nel consentire
espressamente acquisti senza gara fino ad un certo importo, in modo che sia la
soglia stessa dell’acquisizione la motivazione pre-determinata come “adeguata”.
Invece, addirittura sia Anac,
sia Consiglio di stato si lambiccano nel cercare di definire il livello di
semplificazione della motivazione adeguata per gli acquisti da 1.000 euro!
Il paradosso, poi, di tutto
questo disquisire sta nella qualificazione, da parte del Consiglio di stato,
delle Linee guida in argomento come “non vincolanti”. Sicchè la conclusione che
amaramente si deve trarre è che non solo il fiume di parole speso dall’Anac per
evidenziare l’affidamento diretto “semplificato” è vano, perché non offre la
via d’uscita dalla procedura selettiva, ma, in ogni caso, non ha nessuna
concreta reale utilità.
La soft law, pertanto, finisce per risolversi in meri esercizi
retorici e didascalici, esattamente ciò di cui gli operatori non hanno alcun
bisogno.
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