Sabino Cassese ha messo del suo
in ognuna delle riforme “epocali” della pubblica amministrazione degli ultimi
30 anni. Nessuna ha mai funzionato, visto che è sempre stata considerata
necessaria un’ulteriore riforma epocale. Comunque, il Professore ed ex giudice
della Corte costituzionale, nonostante l’evidente poca efficacia del suo
apporto, continua ad essere chiamato in causa. Sia per contribuire ad
architettare le ulteriori e successive riforme epocali, sia per commentarle,
dicendo di esse tutto il bene possibile. Sempre.
Dunque, sul Corriere
dell1.9.2016, con l’articolo “Dirigenti pubblici senza più feudi = La sfida
che attende i dirigenti pubblici” ancora una volta non si è sottratto al
difficile e coraggioso compito di lodare l’iniziativa di chi è al potere.
E’ importante leggere la
descrizione ed il commento della riforma esposto dal Cassese, per comprendere
ancora meglio gli effetti negativi, esattamente opposti alle lodi che il
giurista tesse. Esaminiamo alcune delle considerazioni del Cassese per punti.
Decadenza. Scrive il Cassese che se i dirigenti restano privi di incarico “decadono dopo due anni o, per
chi ha avuto valutazione negativa e revoca dell'incarico, dopo un anno”. Il
giurista non ha volutamente aggiunto nulla a questa semplice descrizione di uno
degli effetti principali della riforma, che consiste all’evidenza nella
creazione di un diritto potestativo ed assoluto della politica di licenziare,
senza motivo alcuno, i dirigenti. Secondo alcuni, Cassese compreso
evidentemente, anzi, può bastare come motivo il fatto che dirigenti inseriti in
ruoli unici, istituiti in modo che la quantità di dirigenti sia corrispondente
ai fabbisogni, possano non essere incaricati. Un’incoerenza paradossale, che
rivela come i ruoli unici siano solo uno specchietto per le allodole: un
sistema per dare l’impressione che la dirigenza si selezioni a partire da
“albi” contenenti persone molto qualificate, mentre, come è chiaro, la
“cerchia” degli incaricati sarà molto più ristretta. Verosimilmente riservata a
chi si schieri apertamente con le forze politiche di governo, dimostrando non
solo consonanza di pensiero, ma soprattutto di azione.
Selezioni. Secondo Cassese
la riforma “stringe i meccanismi di selezione, perché richiede requisiti
rigorosi e scelte competitive dei concorrenti”. In realtà, non si seleziona
proprio nulla. Ai ruoli si accederà per corso-concorso o concorso, le uniche
due sedi nelle quali vi è selezione, se per tale si intende un processo
competitivo, nel quale i selezionandi operano fattivamente per dimostrare di
possedere certi requisiti migliori di altri.
L’assegnazione degli incarichi
non ha nulla di selettivo, tanto che lo stesso schema di decreto parla di
“procedura comparativa” e non selettiva. Cioè, qualcuno comparerà i curriculum,
alla luce di criteri talmente general generici da assicurare sempre che nella
rosa di soggetti da sottoporre alla scelta arbitraria della politica vi sia immancabilmente il dirigente “di fiducia”, appartenente alle cerchie di cui sopra.
Scambio di esperienze.
Aggiunge, ancora, il Cassese che la riforma “rompe le paratie stagne tra le
amministrazioni, consentendo quello scambio di esperienze che finora è mancato”.
E’ sempre utilissimo lo scambio
di esperienze. Tuttavia, la Corte costituzionale, della quale il Cassese è
stato giudice fino a poco tempo fa, a partire dalla sentenza 103/2007 ha
enunciato l’irrinunciabile principio della “continuità amministrativa”, che
viene evidentemente leso dallo spoil system o, comunque, da meccanismi di
decadenza automatica o di giri di walzer continui della dirigenza, come quelli
imposti dalla riforma. Principio, quello della continuità amministrativa,
necessario ad evitare che vada dispersa la specifica esperienza professionale
dei dirigenti e, soprattutto, la conoscenza delle pratiche in corso.
A proposito: il Cassese era
giudice costituzionale proprio all’epoca della stesura della sentenza citata.
Forse, era distratto e non ricorda, dunque, il principio da egli stesso vergato
quale componente del collegio giudicante. O, forse, dopo 9 anni e svestita la
toga, ha cambiato idea.
Trattamenti economici. La
riforma, poi, per il Giurista, va bene perché “prevede una progressiva
omogeneizzazione del trattamento economico, scoglio su cui si sono arenati i
precedenti tentativi di istituire un ruolo unico”. Omogeneizzazione
“progressiva”: c’è tempo. Intanto, tuttavia, al passaggio da un incarico
all’altro non si applicherà l’articolo 2013 del codice civile, in modo da
evitare diritti acquisiti sul trattamento economico. Cosa che ad un accorto e
raffinato interprete dovrebbe suggerire che, forse, i trattamenti economici non
saranno affatto così omogenei.
Dirigenti senza incarico.
Qui un capolavoro di suggestione. Il Cassese afferma che la riforma “compie
un giro di vite sulla disciplina dei dirigenti privi di incarico, prevenendo
possibili abusi”.
Una frase che non ha alcun senso
compiuto, né giuridico, né fattuale. In cosa consisterebbe il “giro di vite”
sui dirigenti privi di incarico? Nella circostanza che per privarli di incarico
occorrano regole più rigide? Diremmo proprio di no, visto che la riforma
consente un licenziamento senza causa. Nella circostanza che qualcuno dei
dirigenti ha fin qui abusato di qualche privilegio nel restare privo di
incarico? E se sì, in quale pianeta?
E, poi, gli abusi. Chi è, di
grazia, che ha compiuto abusi nei confronti dei dirigenti privi di incarico? Ad
occhio e croce, diremmo, se ve ne sono stati, coloro che assegnano o revocano
gli incarichi medesimi, cioè gli organi politici. Ma, una riforma che consegna
ai politici un potere totale di scelta dei dirigenti e la possibilità di
lasciarli a casa anche se meritevoli di valutazioni positive e senza nemmeno
dover motivare la mancata prosecuzione dell’incarico, come farebbe a prevenire
possibili abusi?
Anzianità. Altro merito
della riforma è il consentire “anche ai più giovani di accedere ai posti
apicali, rompendo il criterio esclusivo dell'anzianità”. Sarebbe
interessante apprendere dal Cassese quale sarebbe la norma, di legge o
contrattuale, che preveda l’anzianità come criterio di accesso ai posti
apicali.
Proposta. Altro vertice
interpretativo del Cassese: la riforma è bellissima perché “mette i vertici
politici sotto controllo nelle loro scelte, affidando il difficile compito di
proposta ad alti funzionari che rappresentano il cuore dello Stato: Interni,
Finanza, Esteri”.
E sì. Mettiamoci nei poco invidiabili panni dei
componenti delle Commissioni chiamati a gestire le procedure comparative
(senza, ovviamente, che loro ne siano coinvolti: per quelle cariche, non si
prevede alcuna procedura comparativa…). Che lavoro ingrato e poco invidiabile:
dovranno curarsi di formare delle rose di candidati, senza dimenticarsi mai di
inserire il nome di quel soggetto indicato dal ministro, presidente della
regione o sindaco che in lui riponga fiducia. Un peso. Un compito molto
difficile.
Ma, poi, non parliamo del peso di dover essere
chiamati a controllare, loro che sono tutti di nomina governativa e politica,
che coloro che li hanno nominati rispettino davvero i criteri di selezione. Con
la ben nota e classica enorme efficacia dell’attività di controllo svolta da un
controllore incaricato dal controllato. Per altro, come rilevato sopra non c’è
alcun obbligo, per i politici che incaricano, di motivare la scelta. Il che
rende piuttosto complicato anche per il controllore più autonomo e rigoroso che
esista l’operazione di controllo. Ma, evidentemente il Cassese vede dove gli
altri non sono in grado.
Incarichi esterni. Secondo
il Cassese, la riforma “Fa salvo l'accesso agli incarichi anche dall'esterno,
ma lo limita”. Affermazione che significherebbe, se fosse corretta, limite
allo spoil system ed alla possibilità dei politici di cooptare senza concorsi
persone di propria fiducia. Ma, è veramente così? Ovviamente no.
Per quanto riguarda la dirigenza
statale restano esattamente le percentuali di selezione di dirigenti
dall’esterno vigenti oggi: 8% della dotazione dei dirigenti generali e 10%
della dotazione dei dirigenti non generali. Anche per gli enti locali, la
percentuale resta la stessa (parossistica) oggi vigente: 30% della dotazione.
Dove sarebbe la limitazione di
cui parla il Cassese? Che, naturalmente, si guarda bene dall’evidenziare come,
contrariamente alla limitazione di cui, senza alcun fondamento, Egli parla, la
riforma invece punta ad un’espansione degli incarichi: infatti ricopia
praticamente l’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001, ma elimina le
condizioni da esso previste per attivare incarichi esterni e cioè la
motivazione del ricorso a soggetti esterni e, soprattutto, la previa verifica
dell’assenza di professionalità.
Certo. Oggi, la verifica delle
professionalità si limita alla dotazione del singolo ente e non è in astratto
impossibile che manchi una certa spiccata capacità operativa. Domani, invece,
la verifica si dovrebbe estendere a tutti i 36.000 dirigenti circa dei tre
ruoli e, oggettivamente, apparirebbe impossibile dimostrare che tra tale
schiera di dirigenti sia assente la spiccata professionalità necessaria.
Dunque, esattamente all’opposto
di quanto indica il Cassese, la riforma vuol proprio ridurre i limiti al
ricorso ai dirigenti esterni. E lo stabilisce in totale incoerenza con un
sistema fondato su ruoli che sarebbero “unici” perché dovrebbero essere la
fonte unica della provvista dei dirigenti.
E’ evidente che lasciare aperta
la possibilità di incaricare dirigenti dall’esterno è la chiave principale per
non assegnare incarichi ai dirigenti di ruolo “scomodi” ed aprire loro le porte
verso il licenziamento o l’umiliazione del demansionamento.
Equilibrio. Infine, l’ultimo
merito della riforma: “stabilisce un equilibrio tra scelte politiche e
valorizzazione dei corpi amministrativi”. Si è capito che genere di
equilibrio.
Abbiamo ormai una casta di professionisti organica al governo, che cerca di far diventare nero il bianco e viceversa, professionisti degli incarichi politici che quindi nel difendere la riforma difendono loro stessi. Ma il ragionamento riesce a far vedere a tutti che il re è ormai nudo e questi cortigiani si rivelano per quel che sono
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