La giurisprudenza amministrativa
ha inaugurato l’ennesima querelle interpretativa della quale non si sentiva
alcun bisogno: escludere, o non escludere, il precedente affidatario di un
appalto, per garantire l’applicazione del principio di rotazione?
Il problema si pone, come
sempre, perché sul punto i giudici si dividono. In particolare, i Tar vedono
una certa prevalenza della tesi secondo la quale il precedente affidatario va
sempre escluso. In Consiglio di stato pare prevalere la teoria opposta.
La disciplina del principio di
concorrenza nel d.lgs 50/2016 sembra stia rafforzando nei giudici la
convinzione che il principio di rotazione postuli la necessità di non
coinvolgere, scaduto il contratto, il precedente affidatario in una nuova
procedura (ovviamente, che non sia aperta o ristretta) per riaffidare la
prestazione contrattuale.
Ne è un esempio evidente la
sentenza del Tar Friuli Venezia Giulia, Sezione I, 4 ottobre 2016, n. 419,
secondo la quale è da considerare legittimo il mancato invito di una ditta ad
una procedura negoziata attivata in applicazione dell’articolo 36, comma 2,
lettera b), del d.lgs 50/2016 nel caso in cui si tratti dell’operatore
economico che nell’anno precedente aveva svolto lo stesso servizio oggetto
della gara. L’esclusione, secondo il Tar Friuli è giustificata appunto dal
principio di rotazione, enunciato dall’articolo 36, comma 1, sempre del codice
dei contratti, che costituisce, per il Tar, “una norma speciale relativa alle gare sotto soglia, la quale prevale
sulla normativa sulle gare in generale”.
In senso opposto si è espresso
il Tar Puglia-Lecce, Sezione III, sentenza 30 settembre 2016, n. 1514 ancora
riferita al d.lgs 163/2006 e basata su un orientamento di Palazzo Spada ormai
da tempo assestato, secondo il quale a sorreggere l’esclusione del precedente
affidatario dovrebbe prospettarsi una motivazione particolare, legata a
problemi intercorsi durante l’esecuzione del contratto, in applicazione della
previsione dell’articolo 38, comma 1, lettera f), del d.lgs 165/2006, ai sensi
del quale sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle
concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere
affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti gli
operatori economici che, secondo motivata valutazione della stazione
appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle
prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che
hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività
professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione
appaltante. Simile previsione di esclusione si riscontra, nel nuovo regime,
nell’articolo 80, comma 5, lettera c), del d.lgs 50/2016, ai sensi del quale le
stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un
operatore economico dopo aver dimostrato che “si è reso colpevole di gravi
illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità.
Tra questi rientrano: le significative carenze nell'esecuzione di un precedente
contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione
anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un
giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o
ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo
decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai
fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false
o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la
selezione o l'aggiudicazione ovvero l'omettere le informazioni dovute ai fini
del corretto svolgimento della procedura di selezione”.
Sul tema, l’Anac ha fornito
indicazioni contrarie a quelle del Tar Friuli. Nelle Linee Guida “Procedure
per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di
rilevanza comunitaria, indagini di mercato e formazione e gestione degli
elenchi di operatori economici”, al punto 3.2 l’Anac giunge a conclusioni
incompatibili con la teoria giurisprudenziale dell’obbligo di esclusione: “In
caso di affidamento all’operatore economico uscente, è richiesto un onere
motivazionale più stringente, in quanto la stazione appaltante motiva la scelta
avuto riguardo al grado di soddisfazione maturato a conclusione del precedente
rapporto contrattuale (esecuzione a regola d’arte, nel rispetto dei tempi e dei
costi pattuiti) e in ragione della competitività del prezzo offerto rispetto
alla media dei prezzi praticati nel settore di mercato di riferimento, anche
tenendo conto della qualità della prestazione”.
L’Anac, come si nota, non giunge
affatto a sancire che l’operatore economico uscente non possa essere
destinatario di un nuovo affidamento nell’ambito sotto soglia e con le
procedure semplificate ivi possibili. Al contrario, l’Authority ammette
espressamente la possibilità del riaffidamento, salvo precisare la necessità di
specificare con una motivazione più profonda ed ampia dell’ordinario le ragioni
del nuovo affidamento, evidenziando che esso può ben basarsi non solo sulla
constatazione del mancato rilievo di negligenze nell’esecuzione, ma, di più,
proprio sulla rilevazione dell’esecuzione perfetta e corretta della prestazione
e della garanzia di prezzi e qualità delle prestazioni competitivi rispetto al
mercato.
Nel punto 4.2.2., relativo alla
procedura negoziata semplificata per le soglie comprese tra i 40.000 euro e la
soglia comunitaria per servizi e forniture o 150.000 euro per lavori, le Linee
Guida confermano di distaccarsi notevolmente dalla interpretazione
(eccessivamente) rigorosa dei Tar: “Ai sensi dell’art. 36, comma 2, lett.
b), del Codice la stazione appaltante è tenuta al rispetto del criterio di
rotazione degli inviti, al fine di favorire la distribuzione temporale delle
opportunità di aggiudicazione tra tutti gli operatori potenzialmente idonei e
di evitare il consolidarsi di rapporti esclusivi con alcune imprese. La
stazione appaltante può invitare, oltre al numero minimo di cinque operatori,
anche l’aggiudicatario uscente, dando adeguata motivazione in relazione alla
competenza e all’esecuzione a regola d’arte del contratto precedente. Il
criterio di rotazione non implica l’impossibilità di invitare un precedente
fornitore per affidamenti aventi oggetto distinto o di importo
significativamente superiore a quello dell’affidamento precedente”.
Il contrasto interpretativo
determinatosi in merito alla possibilità di includere l’operatore uscente svela
per l’ennesima volta come le istituzioni, tutte, italiane non siano in grado di
attuare una legislazione per principi. I principi sono per loro natura regole
“aperte”, che lasciano all’attuazione della funzione di amministrazione attiva
il ruolo di renderli concretamente applicabili ad una realtà concreta.
Se la giurisprudenza di
qualsiasi ordine e grado, o anche organi di controllo o chiamati
all’interpretazione delle regole intendono configurare i principi come norme
vincolanti e cogenti, commettono il gravissimo errore di travisare la funzione
della norma e di voler irreggimentare l’azione amministrativa: è un po’ quello
a cui si assiste da molto tempo ormai con i pareri Aran e Corte dei conti in
merito alla contrattazione decentrata. L’articolo 15, comma 5, del Ccnl
1.4.1999 è una norma, per altro contrattuale, di principi, letta, però, come
fosse di dettaglio ed ampliata col contenuto della determinazione dei famosi
“obiettivi sfidanti”, inesistente nel testo della norma e tale da trasformare
il principio in una regola operativa, dal contenuto comunque variabile a
seconda dell’atteggiamento dell’organo di controllo.
Il compito di dare contenuto al
principio sarebbe da considerare esclusiva prerogativa dell’amministrazione
attiva. Giurisprudenza ed organi di controllo dovrebbero limitarsi solo a
verificare che il principio non sia tradito.
Fermandosi al principio di
rotazione, esso viene evidentemente vulnerato solo laddove l’operatore
economico uscente sia privilegiato rispetto agli altri, perché continuamente
destinatario di nuovi affidamenti, senza una motivazione particolare (come
richiede correttamente l’Anac ed indirettamente la giurisprudenza contraria
all’esclusione automatica), oppure senza essere nemmeno coinvolto in procedure
aperte alla partecipazione di altri operatori economici. Insomma, se l’ente si
lega defintivamente con un operatore economico, non consentendo ad altre
imprese nemmeno di partecipare a sistemi di confronto o competitivi, non solo
si vìola apertamente il principio di rotazione, ma si tradiscono anche i
principi di libertà di concorrenza (perché viene preclusa) e di non
discriminazione: infatti, tutte le altre imprese sarebbero discriminate a
vantaggio (illecito) dell’operatore continuativamente ed immotivatamente destinatario
di una serie di affidamenti successivi.
La giurisprudenza amministrativa
che pretende l’esclusione automatica dell’operatore economico uscente oltre ad
incorrere nell’errore di voler attribuire a norme di principio contenuti,
invece, di dettaglio (col pericolo che ciascun interprete, poi, allarghi o
stringa questi contenuti alla luce di un suo personale convincimento, in
spregio alla certezza del diritto), commette un altro errore: non individuare
esattamente il ruolo del principio della rotazione, nell’ambito degli altri
principi enunciati dall’articolo 36, comma 1, del codice. E’ opportuno, allora,
leggerlo nella sua interezza: “L'affidamento e l'esecuzione di lavori,
servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all'articolo 35 avvengono
nel rispetto dei principi di cui all'articolo 30, comma 1, nonché nel
rispetto del principio di rotazione e in modo da assicurare l'effettiva
possibilità di partecipazione delle microimprese, piccole e medie imprese”.
La congiunzione “nonché” svela
che il principio di rotazione è solo accessorio a quelli enunciati
dall’articolo 30, comma 1: “L’affidamento e l’esecuzione di appalti di
opere, lavori, servizi, forniture e concessioni ai sensi del presente codice
garantisce la qualità delle prestazioni e si svolge nel rispetto dei principi
di economicità, efficacia, tempestività e correttezza. Nell'affidamento
degli appalti e delle concessioni, le stazioni appaltanti rispettano, altresì,
i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza,
proporzionalità, nonché di pubblicità con le modalità indicate nel presente
codice”.
Sembra evidente che prima
vengano in particolare i princìpi di libera concorrenza e non discriminazione
e, poi, in via accessoria, il principio di rotazione, che costituisce un modo
di applicazione dei precedenti due principi. Infatti, in un sistema di
affidamento “chiuso”, come l’affidamento diretto o la procedura negoziata
semplificata di cui all’articolo 36, comma 2, del d.lgs 50/2016, la rotazione
può assicurare quel minimo di apertura alla concorrenza e di non
discriminazione degli operatori economici, tale da rendere accettabile un
sistema di individuazione del contraente derogatorio rispetto alle procedure
aperte e ristrette, quali strade maestre per garantite appieno e senza
limitazioni i principi suddetti.
Con la rotazione, infatti, si
ottiene almeno il risultato che il “lotto” dei soggetti consultati per giungere
agli affidamenti diretti o conseguenti alla procedura negoziata semplificata
non siano sempre gli stessi, ampliando le chances che più e diversi operatori
economici possano concorrere nel mercato.
Ma, se si considera il principio
di rotazione in se stesso, isolato e non coordinato con gli altri, si commette
l’errore di diritto evidente nella sentenza del Tar Friuli in commento e nelle
altre conformi pronunce dei Tar: la rotazione finisce per prevalere sulla
libertà di concorrenza e non discriminazione, così impedendo di rispettare
questi due ultimi principi.
Infatti, posto che l’operatore
economico uscente non sia incorso nelle negligenze operative tali da impedire
di contrattare:
1.
la sua libertà di concorrenza viene vulnerata in modo molto
chiaro, se gli si impedisce di ricandidarsi in una prestazione che conosce, ha
gestito in maniera non inefficiente; deve risultare chiaro che l’operatore
uscente ha una posizione, per quanto di mera aspettativa legittima, certamente
privilegiata rispetto ad altri, quanto meno nel concorrere al riaffidamento, se
non destinatario di valutazioni negative;
2.
viene certamente discriminato: infatti, la rotazione letta
come obbligo di esclusione non è nulla di diverso da un vero e proprio atto
discriminatorio, tendente ad impedire ad un operatore economico, per una
questione soggettiva ed oggettiva (essere il precedente destinatario di un
affidamento) di avere nuove chance di conseguire l’affidamento.
Occorre, dunque, saper
bilanciare con ponderazione e saggezza, senza lasciarsi trasportare da visioni
radicali delle norme, i principi e comprendere che se da un lato le procedure
di cui all’articolo 36 sono di per sé derogatorie rispetto ad una totale
apertura del mercato, esse sono, comunque, espressamente ammesse dal
legislatore, a condizione che si rispettino livelli minimi:
1.
una motivazione particolarmente profonda, nel caso dell’affidamento
diretto;
2.
un’apertura del mercato quanto meno a 5 operatori economici
messi in condizione di competere tra loro, nel caso della procedura negoziata
semplificata;
3.
la garanzia che l’operatore uscente non sia né privilegiato
rispetto agli altri, se destinatario diretto, senza motivazione e senza
comparazione, di nuovi affidamenti, né discriminato rispetto agli altri, per la
semplice circostanza di aver ottenuto in precedenza l’affidamento.
Applicando in questo modo i
principi enunciati dall’articolo 30, comma 1 e 36, comma 1, del d.lgs 50/2016,
si riesce a conciliarli e deve essere compito delle stazioni appaltanti
giungere a questo equilibrio, utilizzando gli spazi concessi dal codice, non
suscettibili di essere compressi da decisioni discutibili della giurisprudenza.
Non solo. Questa chiave di
lettura rende evidente che il principio di rotazione è posto ad impedire
appunto il privilegio dell’operatore uscente, consistente nella circostanza che
l’amministrazione si senta autorizzata (o tenuta) a continuare a riaffilargli
la prestazione, senza consultare nessun altro preventivo, senza motivare le
ragioni di particolare efficacia nella gestione, senza attivare procedure
negoziate nemmeno semplificate. In questo modo, infatti, l’amministrazione
avvantaggia l’operatore economico, violando tutti gli altri principi.
Se, invece, nel caso
dell’affidamento diretto secondo i canoni dell’articolo 36, comma 2, lettera
a), il precedente prestatore sia consultato con altri per verificare la
congruità, convenienza e competitività della proposta contrattuale, la
rotazione è comunque consentita, perché altri operatori economici vengono messi
“nel circuito”.
Se, ulteriormente, l’operatore
economico sia inserito come sesto oltre i 5 (o 10) che vanno consultati ai
sensi delle successive lettere dell’articolo 36, comma 2, si ha la composizione
piena tra tutti i principi visti prima.
Si deve concludere, quindi, che
la rotazione viene violata, quando il prestatore uscente sia destinatario
diretto di un nuovo affidamento, senza alcun coinvolgimento di altri operatori.
La rotazione non può essere,
simmetricamente, violata se l’uscente sia consultato insieme con altri nel
procedimento estremamente semplificato dell’affidamento diretto, o nell’ambito
della procedura maggiormente strutturata delle lettere b), c) e d),
dell’articolo 36, comma 2, insieme con altre.
Sicuramente, nessuna violazione
del principio di rotazione potrà mai esservi, se l’amministrazione decida di
individuare gli operatori economici da consultare, prima, e a cui inviare gli
inviti a presentare offerta, poi, pubblicando un avviso per invitare il mercato
a manifestare interesse alla successiva fase degli inviti: in questo caso,
infatti, si determina una vera e propria apertura (sia pure con forme e iter
semplificati) del mercato, che si autoregola. E se l’operatore uscente intende
manifestare interesse, ovviamente non vi possono essere legittime ragioni
ostative. Altrimenti, si dovrebbe giungere al paradosso della necessità di
escludere l’uscente anche dalle procedure aperte o ristrette.
La questione interpretativa è
probabilmente figlia di una cultura giuridica ed economica ancora oggi incapace
di cogliere il significato di apertura della concorrenza. E’, per altro,
suggestiva la circostanza che proprio gran parte della magistratura
amministrativa fornisca un’interpretazione così restrittiva della concorrenza,
subordinata alla rotazione, quando quella stessa giurisprudenza ammette da
sempre una violazione clamorosa dei principi di libertà di concorrenza e non
discriminazione, ritenendo legittimi incarichi intuitu personae
nell’ambito dei servizi legali.
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