La recente sentenza del
Consiglio di stato, Sezione III, 3 ottobre 2016, n. 4054, illustra
indirettamente ed in modo perfetto la completa precarizzazione ed irrimediabile
soggezione della dirigenza alla politica, che causerà l’entrata in vigore del
decreto attuativo della legge 124/2015.
La pronuncia di Palazzo Spada si
innesta in un filone pacifico da anni: la rilevazione dell’assenza di
giurisdizione da parte del giudice amministrativo sulle vertenze concernenti l’assegnazione
di incarichi dirigenziali in ambito sanitario.
Il caso deriva dall’impugnazione
avanti al Tar Campania – Napoli di un dirigente medico agli esiti di una
procedura “selettiva”, dalla quale a suo dire è stato escluso illegittimamente.
Il Tar, con sentenza della Sezione V 05688/2015 aveva ovviamente dichiarato il
ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione e Palazzo Spada conferma la
statuizione del giudice di prime cure, evidenziando una serie di argomentazioni
perfettamente sovrapponibili alla riforma Madia. Vediamole.
Palazzo Spada evidenzia, in
primo luogo che “nel caso di specie non
abbiano avuto luogo vere e proprie prove (scritte ed orali), quali espressioni
di una procedura concorsuale nella sua essenza di ponderazione comparativa
delle qualità professionali o delle conoscenze tecniche dei singoli candidati”.
La procedura, comune alle Asl,
consiste nella raccolta di candidature a seguito di avviso pubblico, ordinate
in base alla verifica del possesso dei candidati dei requisiti considerati
necessari per essere ammessi o, comunque, valutabili ai fini dell’assegnazione
dell’incarico, che avviene secondo criteri di carattere privatistico. La
sentenza del Consiglio di stato, allineandosi con la Cassazione, ricorda che le
Asl sono “aziende con personalità
giuridica pubblica ed autonomia imprenditoriale; la loro organizzazione e
funzionamento sono disciplinati con atto
aziendale di diritto privato, a differenza di quanto accade normalmente,
per le altre Amministrazioni, per gli atti cc.dd. di macroorganizzazione; agiscono mediante atti di diritto privato;
il Direttore Generale adotta l’atto aziendale di organizzazione, è responsabile
della gestione complessiva e nomina,
sempre con atto di natura privatistica, i responsabili delle strutture operative
dell’Azienda (v., ex plurimis, Cass., Sez. Un., 30 gennaio 2008, n. 2031;
Cons. St., sez. III, 3 agosto 2015, n. 3815), come è accaduto nel caso di
specie”.
A ben vedere, si tratta di
rilievi trascurabili e privi di reale fondamento. Qualsiasi pubblica
amministrazione gestisce i rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici in regime
privatistico con atti di diritto privato. Probabilmente, il Consiglio di stato
si riferisce indirettamente alla querelle
sulla natura giuridica dell’incarico dirigenziale aperta da anni, che vede la
tesi maggioritaria in Cassazione della natura privata e non pubblica. Questa
teoria non appare per nulla convincente, dal momento che l’incarico
dirigenziale è da considerare strettamente connesso all’organizzazione ed
appare specificativo della stessa. Palazzo Spada pare confermare implicitamente
che in effetti l’incarico è atto pubblico, indicando che non lo è nelle Asl in
ragione della loro atto aziendale privatistico.
Sta di fatto, che la
giurisprudenza tende a legittimare, nelle Asl, un sistema che rimette
totalmente al direttore generale la scelta sostanzialmente insindacabile dei
dirigenti da incaricare.
Infatti, la sentenza di Palazzo
Spada spiega che, come avviene nelle procedure utilizzate disciplinate dalla
normativa, nel caso di specie “È mancata, in altri termini, una autentica
procedura selettiva con attribuzione di un giudizio, ancorché numerico,
a ciascuno di essi sulla base di una specifica e apposita prova quale, appunto,
saggio di tali qualità o conoscenze, ma
è stata solo svolta la valutazione dei curricula, seppure alla base di criteri
predefiniti e con compilazione di schede riepilogative, all’esito della
quale la Commissione, assegnati dei punteggi, ha stilato un elenco degli idonei alla selezione, poi approvato dal Direttore
Generale”.
Ecco l’arcano. Le procedure in
ambito sanitario non sono volte ad individuare il migliore tra i curriculum su
base selettiva, cioè attribuendo punteggi sulla base di criteri predefiniti,
base per la successiva formulazione di una graduatoria, che vincoli la scelta
successiva dell’autorità competente. Si tratta, infatti, spiega ancora Palazzo
Spada, di un giudizio non “selettivo”, ma “idoneativo”, che viene “espresso dall’Azienda per il tramite della
Commissione in termini numerici o anche con giudizi sintetici, sulla potenziale
capacità del candidato, più o meno spiccata, a rivestire l’incarico
dirigenziale e non certo il prodotto di
una ponderazione valutativa, relativa al suo bagaglio di conoscenze teoriche,
all’esito di una autentica procedura selettiva articolata in specifiche prove e
vertente su singole materie”.
Dunque, lo scopo di simili
procedure non è scremare tra i candidati il migliore, a conclusione di una
serie di prove con le quali verificare conoscenze, abilità e capacità, per
pesarle col sistema valutativo, ma semplicemente approdare ad “una rosa di idonei”: un elenco di
soggetti tutti egualmente all’altezza di espletare l’incarico dirigenziale.
5.4. Ciò ha chiarito, del resto,
anche la Corte di Cassazione, ritenendo indubbio che, quando si sia di fronte,
come in questo caso, ad una procedura che approdi ad una rosa di idonei, «le
controversie attinenti ad una procedura di selezione “idoneativa” e “non
concorsuale” avviata da una ASL per il conferimento di un incarico dirigenziale
(nella specie di dirigente di struttura complessa), aventi ad oggetto atti
adottati in base alla capacità ed ai poteri propri del datore di lavoro
privato, appartengano alla giurisdizione del giudice ordinario» (Cass., Sez.
Un., 3 febbraio 2014, n. 2290).
La “rosa” non è frutto di una
valutazione comparativa, ma, spiega Palazzo Spada “esprime solo un giudizio d’idoneità, nel senso sopra chiarito, e come
ben si evince, del resto, dall’art. 15-ter, comma 2, primo periodo, del d.lgs.
n. 502 del 1992, da leggersi in coerenza con il combinato disposto dell’art. 19
e dell’art. 26, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 (Cons. St., sez. III, 13
aprile 2011, n. 2293)”.
E’ bene avere presente che il
giudice ordinario può valutare il conferimento degli incarichi dirigenziali
esclusivamente in applicazione delle regole di diritto comune; pertanto il
provvedimento di conferimento dell'incarico è censurabile in giudizio solo per
ragioni di manifesta illogicità o di contrarietà ai canoni di buona fede e
correttezza; non è dunque consentito al giudice di porre in essere una
pronuncia costitutiva e neppure di mero accertamento del diritto a ricoprire
l'incarico e dall'eventuale accoglimento della domanda potrebbe conseguire solo
il risarcimento del danno per perdita di chances, ma non il diritto alle
retribuzioni.
La pacifica giurisprudenza della
Cassazione statuisce da sempre che la sua giurisdizione non può spingersi mai
fino alla pronuncia di annullamento dell’incarico conferito. Valga per tutte la
sentenza della Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile 6 dicembre 2012, n.
21943: “Il Decreto Legislativo 30
dicembre 1992, n. 502, articolo 15 ter (recante norme di riordino della
disciplina in materia sanitaria per effetto della delega di cui alla Legge 23
ottobre 1992, n. 421, articolo 1) prevede, al comma 2, che l'attribuzione
dell'incarico di direzione di struttura complessa è effettuata dal direttore generale,
previo avviso da pubblicare in Gazzetta Ufficiale, sulla base di una rosa di
candidati idonei selezionata da una apposita Commissione. La procedura
selettiva è quella affidata a tale Commissione, mentre la scelta del dirigente
sanitario al quale affidare l'incarico, nell'ambito della rosa indicata dalla Commissione,
spetta al direttore generale. Si tratta di un incarico fiduciario connotato dal fatto che la Pubblica
Amministrazione - e per essa il direttore generale - agisce con i poteri del
datore di lavoro privato sicchè essa deve rispettare i criteri del bando e
quelli legali, ma non è tenuta a
motivare la propria scelta fiduciaria. In proposito questa Corte (Cass.,
Sez. Un., 12 novembre 2007, n. 23480) ha affermato, proprio in relazione al
conferimento dell'incarico di dirigente di secondo livello del ruolo sanitario,
ai sensi del Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 15, che è demandato
alla Commissione suddetta soltanto il compito di predisporre un elenco di
candidati idonei (senza attribuzione di punteggi e senza formazione di graduatoria)
da sottoporre al direttore generale, il quale conferisce l'incarico con scelta
di carattere fiduciario affidata alla propria responsabilità manageriale. La
scelta del direttore generale deve essere ispirata al criterio del buon
andamento della pubblica amministrazione; tuttavia,
la violazione dei canoni di correttezza e buona fede costituisce fonte di
responsabilità risarcitoria nei confronti dei candidati non prescelti, ma non
determina, in assenza di una specifica disposizione che lo preveda, l'invalidità
dell'atto; "il dipendente non può addurre tale criterio come
obbligazione sussidiaria e strumentale rispetto alle obbligazioni che in
generale sorgono per effetto dell'instaurazione di un rapporto di lavoro"
(v. Cass. S.U. n. 15764 del 19.7.2011; Cass. n. 25314 del 2009). Detta
procedura non ha carattere concorsuale, ai sensi e per gli effetti di cui al
Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 63, comma 4, in quanto si
articola secondo uno schema che prevede non lo svolgimento di prove selettive
con formazione di graduatoria finale ed individuazione del candidato vincitore,
ma la scelta di carattere essenzialmente
fiduciario (Cass. S.U. sent. n. 59020 del 2008)”.
Andiamo alla riforma Madia.
Balza all’evidenza come essa sia costruita esattamente sul modello della
dirigenza sanitaria, almeno per quanto concerne l’assegnazione degli incarichi
dei dirigenti generali.
Infatti, si prevede una rosa di
cinque dirigenti, formata da una delle famose tre Commissioni “indipendenti”
dalla politica, ma composte da membri tutti di provenienza governativa”, dalla
quale attingerà l’organo di governo competente, senza dover esporre alcuna
motivazione per la scelta adottata.
La situazione della dirigenza
non sanitaria, tuttavia, sarà molto più precaria. Infatti, la disciplina vista
sopra vale tra dirigenti che mantengono comunque il diritto all’incarico,
inteso non come diritto ad ottenere lo specifico incarico oggetto delle
procedure “idoneative”, bensì il diritto ad essere comunque destinatari di
incarichi. E’ noto che la riforma Madia, invece, elimina tale diritto per gli
altri dirigenti i quali, dunque, una volta che il loro incarico scada per
qualsiasi motivo, quando partecipino alle procedure “idoneative” senza poi
essere “scelti” per via fiduciaria, resteranno a languire in disponibilità, con
il trattamento economico ridotto fino anche al 30%.
Ma, se i dirigenti generali
potranno almeno provare ad ottenere giustizia di procedure viziate da
illogicità e violazione dei principi di buona fede e correttezza, per gli altri
dirigenti (la maggioranza) non vi sarà neppure questo spazio.
Infatti, lo schema di decreto
attuativo della legge 124/2015 non prevede, per i dirigenti non generali,
nemmeno la “procedura idoneativa”, ma solo la prefissione di criteri generali
da parte delle Commissioni, ai quali ciascuna singola amministrazione dovrà
attenersi per scegliere tra i candidati agli interpelli quello da incaricare:
ma, a meno che linee guida ad oggi non conosciute lo possano prevedere in
futuro, nemmeno si prevede la formazione di una rosa e, dunque, di una sia pur
limitata procedura che dia conto del come si scelga il destinatario. La norma,
oggi, vincola le amministrazioni praticamente a dimostrare solo di rispettare i
criteri generali fissati dalle Commissioni, senza dover specificare nulla circa
il dirigente scelto.
Una fiduciarietà (leggasi, “politicizzazione)
assoluta, insomma, cioè sciolta da qualsiasi vincolo procedurale, motivazionale
e selettivo, che fa totalmente a pugni con i decantati fini di valorizzazione
del merito e della valutazione delle capacità.
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