sabato 8 ottobre 2016

Arbitrio senza tutele per i nuovi incarichi dirigenziali post Madia


La recente sentenza del Consiglio di stato, Sezione III, 3 ottobre 2016, n. 4054, illustra indirettamente ed in modo perfetto la completa precarizzazione ed irrimediabile soggezione della dirigenza alla politica, che causerà l’entrata in vigore del decreto attuativo della legge 124/2015.
La pronuncia di Palazzo Spada si innesta in un filone pacifico da anni: la rilevazione dell’assenza di giurisdizione da parte del giudice amministrativo sulle vertenze concernenti l’assegnazione di incarichi dirigenziali in ambito sanitario.

Il caso deriva dall’impugnazione avanti al Tar Campania – Napoli di un dirigente medico agli esiti di una procedura “selettiva”, dalla quale a suo dire è stato escluso illegittimamente. Il Tar, con sentenza della Sezione V 05688/2015 aveva ovviamente dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione e Palazzo Spada conferma la statuizione del giudice di prime cure, evidenziando una serie di argomentazioni perfettamente sovrapponibili alla riforma Madia. Vediamole.
Palazzo Spada evidenzia, in primo luogo che “nel caso di specie non abbiano avuto luogo vere e proprie prove (scritte ed orali), quali espressioni di una procedura concorsuale nella sua essenza di ponderazione comparativa delle qualità professionali o delle conoscenze tecniche dei singoli candidati”.
La procedura, comune alle Asl, consiste nella raccolta di candidature a seguito di avviso pubblico, ordinate in base alla verifica del possesso dei candidati dei requisiti considerati necessari per essere ammessi o, comunque, valutabili ai fini dell’assegnazione dell’incarico, che avviene secondo criteri di carattere privatistico. La sentenza del Consiglio di stato, allineandosi con la Cassazione, ricorda che le Asl sono “aziende con personalità giuridica pubblica ed autonomia imprenditoriale; la loro organizzazione e funzionamento sono disciplinati con atto aziendale di diritto privato, a differenza di quanto accade normalmente, per le altre Amministrazioni, per gli atti cc.dd. di macroorganizzazione; agiscono mediante atti di diritto privato; il Direttore Generale adotta l’atto aziendale di organizzazione, è responsabile della gestione complessiva e nomina, sempre con atto di natura privatistica, i responsabili delle strutture operative dell’Azienda (v., ex plurimis, Cass., Sez. Un., 30 gennaio 2008, n. 2031; Cons. St., sez. III, 3 agosto 2015, n. 3815), come è accaduto nel caso di specie”.
A ben vedere, si tratta di rilievi trascurabili e privi di reale fondamento. Qualsiasi pubblica amministrazione gestisce i rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici in regime privatistico con atti di diritto privato. Probabilmente, il Consiglio di stato si riferisce indirettamente alla querelle sulla natura giuridica dell’incarico dirigenziale aperta da anni, che vede la tesi maggioritaria in Cassazione della natura privata e non pubblica. Questa teoria non appare per nulla convincente, dal momento che l’incarico dirigenziale è da considerare strettamente connesso all’organizzazione ed appare specificativo della stessa. Palazzo Spada pare confermare implicitamente che in effetti l’incarico è atto pubblico, indicando che non lo è nelle Asl in ragione della loro atto aziendale privatistico.
Sta di fatto, che la giurisprudenza tende a legittimare, nelle Asl, un sistema che rimette totalmente al direttore generale la scelta sostanzialmente insindacabile dei dirigenti da incaricare.
Infatti, la sentenza di Palazzo Spada spiega che, come avviene nelle procedure utilizzate disciplinate dalla normativa, nel caso di specie “È mancata, in altri termini, una autentica procedura selettiva con attribuzione di un giudizio, ancorché numerico, a ciascuno di essi sulla base di una specifica e apposita prova quale, appunto, saggio di tali qualità o conoscenze, ma è stata solo svolta la valutazione dei curricula, seppure alla base di criteri predefiniti e con compilazione di schede riepilogative, all’esito della quale la Commissione, assegnati dei punteggi, ha stilato un elenco degli idonei alla selezione, poi approvato dal Direttore Generale”.
Ecco l’arcano. Le procedure in ambito sanitario non sono volte ad individuare il migliore tra i curriculum su base selettiva, cioè attribuendo punteggi sulla base di criteri predefiniti, base per la successiva formulazione di una graduatoria, che vincoli la scelta successiva dell’autorità competente. Si tratta, infatti, spiega ancora Palazzo Spada, di un giudizio non “selettivo”, ma “idoneativo”, che viene “espresso dall’Azienda per il tramite della Commissione in termini numerici o anche con giudizi sintetici, sulla potenziale capacità del candidato, più o meno spiccata, a rivestire l’incarico dirigenziale e non certo il prodotto di una ponderazione valutativa, relativa al suo bagaglio di conoscenze teoriche, all’esito di una autentica procedura selettiva articolata in specifiche prove e vertente su singole materie”.
Dunque, lo scopo di simili procedure non è scremare tra i candidati il migliore, a conclusione di una serie di prove con le quali verificare conoscenze, abilità e capacità, per pesarle col sistema valutativo, ma semplicemente approdare ad “una rosa di idonei”: un elenco di soggetti tutti egualmente all’altezza di espletare l’incarico dirigenziale.

5.4. Ciò ha chiarito, del resto, anche la Corte di Cassazione, ritenendo indubbio che, quando si sia di fronte, come in questo caso, ad una procedura che approdi ad una rosa di idonei, «le controversie attinenti ad una procedura di selezione “idoneativa” e “non concorsuale” avviata da una ASL per il conferimento di un incarico dirigenziale (nella specie di dirigente di struttura complessa), aventi ad oggetto atti adottati in base alla capacità ed ai poteri propri del datore di lavoro privato, appartengano alla giurisdizione del giudice ordinario» (Cass., Sez. Un., 3 febbraio 2014, n. 2290).
La “rosa” non è frutto di una valutazione comparativa, ma, spiega Palazzo Spada “esprime solo un giudizio d’idoneità, nel senso sopra chiarito, e come ben si evince, del resto, dall’art. 15-ter, comma 2, primo periodo, del d.lgs. n. 502 del 1992, da leggersi in coerenza con il combinato disposto dell’art. 19 e dell’art. 26, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 (Cons. St., sez. III, 13 aprile 2011, n. 2293)”.
E’ bene avere presente che il giudice ordinario può valutare il conferimento degli incarichi dirigenziali esclusivamente in applicazione delle regole di diritto comune; pertanto il provvedimento di conferimento dell'incarico è censurabile in giudizio solo per ragioni di manifesta illogicità o di contrarietà ai canoni di buona fede e correttezza; non è dunque consentito al giudice di porre in essere una pronuncia costitutiva e neppure di mero accertamento del diritto a ricoprire l'incarico e dall'eventuale accoglimento della domanda potrebbe conseguire solo il risarcimento del danno per perdita di chances, ma non il diritto alle retribuzioni.
La pacifica giurisprudenza della Cassazione statuisce da sempre che la sua giurisdizione non può spingersi mai fino alla pronuncia di annullamento dell’incarico conferito. Valga per tutte la sentenza della Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile 6 dicembre 2012, n. 21943: “Il Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, articolo 15 ter (recante norme di riordino della disciplina in materia sanitaria per effetto della delega di cui alla Legge 23 ottobre 1992, n. 421, articolo 1) prevede, al comma 2, che l'attribuzione dell'incarico di direzione di struttura complessa è effettuata dal direttore generale, previo avviso da pubblicare in Gazzetta Ufficiale, sulla base di una rosa di candidati idonei selezionata da una apposita Commissione. La procedura selettiva è quella affidata a tale Commissione, mentre la scelta del dirigente sanitario al quale affidare l'incarico, nell'ambito della rosa indicata dalla Commissione, spetta al direttore generale. Si tratta di un incarico fiduciario connotato dal fatto che la Pubblica Amministrazione - e per essa il direttore generale - agisce con i poteri del datore di lavoro privato sicchè essa deve rispettare i criteri del bando e quelli legali, ma non è tenuta a motivare la propria scelta fiduciaria. In proposito questa Corte (Cass., Sez. Un., 12 novembre 2007, n. 23480) ha affermato, proprio in relazione al conferimento dell'incarico di dirigente di secondo livello del ruolo sanitario, ai sensi del Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articolo 15, che è demandato alla Commissione suddetta soltanto il compito di predisporre un elenco di candidati idonei (senza attribuzione di punteggi e senza formazione di graduatoria) da sottoporre al direttore generale, il quale conferisce l'incarico con scelta di carattere fiduciario affidata alla propria responsabilità manageriale. La scelta del direttore generale deve essere ispirata al criterio del buon andamento della pubblica amministrazione; tuttavia, la violazione dei canoni di correttezza e buona fede costituisce fonte di responsabilità risarcitoria nei confronti dei candidati non prescelti, ma non determina, in assenza di una specifica disposizione che lo preveda, l'invalidità dell'atto; "il dipendente non può addurre tale criterio come obbligazione sussidiaria e strumentale rispetto alle obbligazioni che in generale sorgono per effetto dell'instaurazione di un rapporto di lavoro" (v. Cass. S.U. n. 15764 del 19.7.2011; Cass. n. 25314 del 2009). Detta procedura non ha carattere concorsuale, ai sensi e per gli effetti di cui al Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 63, comma 4, in quanto si articola secondo uno schema che prevede non lo svolgimento di prove selettive con formazione di graduatoria finale ed individuazione del candidato vincitore, ma la scelta di carattere essenzialmente fiduciario (Cass. S.U. sent. n. 59020 del 2008)”.
Andiamo alla riforma Madia. Balza all’evidenza come essa sia costruita esattamente sul modello della dirigenza sanitaria, almeno per quanto concerne l’assegnazione degli incarichi dei dirigenti generali.
Infatti, si prevede una rosa di cinque dirigenti, formata da una delle famose tre Commissioni “indipendenti” dalla politica, ma composte da membri tutti di provenienza governativa”, dalla quale attingerà l’organo di governo competente, senza dover esporre alcuna motivazione per la scelta adottata.
La situazione della dirigenza non sanitaria, tuttavia, sarà molto più precaria. Infatti, la disciplina vista sopra vale tra dirigenti che mantengono comunque il diritto all’incarico, inteso non come diritto ad ottenere lo specifico incarico oggetto delle procedure “idoneative”, bensì il diritto ad essere comunque destinatari di incarichi. E’ noto che la riforma Madia, invece, elimina tale diritto per gli altri dirigenti i quali, dunque, una volta che il loro incarico scada per qualsiasi motivo, quando partecipino alle procedure “idoneative” senza poi essere “scelti” per via fiduciaria, resteranno a languire in disponibilità, con il trattamento economico ridotto fino anche al 30%.
Ma, se i dirigenti generali potranno almeno provare ad ottenere giustizia di procedure viziate da illogicità e violazione dei principi di buona fede e correttezza, per gli altri dirigenti (la maggioranza) non vi sarà neppure questo spazio.
Infatti, lo schema di decreto attuativo della legge 124/2015 non prevede, per i dirigenti non generali, nemmeno la “procedura idoneativa”, ma solo la prefissione di criteri generali da parte delle Commissioni, ai quali ciascuna singola amministrazione dovrà attenersi per scegliere tra i candidati agli interpelli quello da incaricare: ma, a meno che linee guida ad oggi non conosciute lo possano prevedere in futuro, nemmeno si prevede la formazione di una rosa e, dunque, di una sia pur limitata procedura che dia conto del come si scelga il destinatario. La norma, oggi, vincola le amministrazioni praticamente a dimostrare solo di rispettare i criteri generali fissati dalle Commissioni, senza dover specificare nulla circa il dirigente scelto.
Una fiduciarietà (leggasi, “politicizzazione) assoluta, insomma, cioè sciolta da qualsiasi vincolo procedurale, motivazionale e selettivo, che fa totalmente a pugni con i decantati fini di valorizzazione del merito e della valutazione delle capacità.

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