E’ troppo presto per trarre
conclusioni sulle cause che hanno determinato il crollo del ponte a Lecco, con
i conseguenti morti e feriti.
Le cronache riferiscono di un
rimbalzo di competenze tra Anas che ha chiesto alla provincia di Lecco la
chiusura del ponte poi purtroppo crollato e la provincia che pretendeva l’ordinanza
come titolo per provvedere.
Saranno le inchieste tecniche e
giudiziarie a chiarire le responsabilità amministrative e dei singolo soggetti,
anche se questo non potrà porre rimedio alla tragedia di chi ha perso la vita,
dei suoi familiari e dei feriti di un disastro semplicemente paradossale e
inaccettabile.
Un dato, invece, è altamente
probabile: questa tragedia, pur non potendosi oggi affermare che sia causa “diretta”
della riforma delle province è certamente con essa molto strettamente
collegata.
Un giornale protagonista dell’ottusa
incessante e lunghissima campagna contro le province come Il Fatto Quotidiano
del 29 ottobre 2016 con l’articolo “Province abolite per finta” non si smentisce
nella ricostruzione banalizzante, accollando a prescindere in capo alla
provincia le responsabilità. L’articolo riporta: “Dopo la riforma costituzionale voluta alla fine del secolo passato dal
governo di Massimo D'Alema (la riforma del Ti tolo V della Costituzione) e
l'introduzione di quello che è stato chiamato il federalismo stradale, non ci
si capisce più niente. L'intervento più recente di Matteo Renzi il quale ha
fatto credere di aver abolito le Province ha, se possibile, ingarbugliato di
più la faccenda. Il cavalcavia del fattaccio è formalmente di pertinenza della
Provincia di Lecco e la Provincia di Lecco come tutte le altre Province
d'Italia è in un limbo, c'è e non c'è. Nonostante Renzi abbia provato a far
credere è contrario, per il momento le
Province ancora esistono e la loro scomparsa definitiva dipende dal risultato
del referendum costituzionale del 4 dicembre. E finché le Province sono in vita
è normale si facciano valere, nel bene e nel male”.
Il messaggio è chiaro: fossero
state eliminate non per finta, la tragedia non si sarebbe verificata, perché la
provincia di Lecco non si sarebbe potuta “far valere” e qualcuno, quindi, quel
ponte l’avrebbe chiuso in tempo.
L’autore dell’articolo,
investito del sacro fuoco contrario alle province, dà per vero e consolidato
qualcosa che deve essere ancora dimostrato, appunto la responsabilità
operativa. Il comunicato dell’Anas sul tema lascia aperti un po’ più di dubbi: “Anas informa che, dalle prime ricostruzioni
dei fatti, il cantoniere Anas addetto alla sorveglianza del tratto della strada
statale 36 al km 41,900, sul quale alle ore 17.20 è ceduto il cavalcavia n. 17
della strada provinciale SP49, già attorno alle ore 14.00, avendo constatato il
distacco di alcuni calcinacci dal manufatto, ha disposto immediatamente la loro
rimozione e la parzializzazione della SS36 in corrispondenza del cavalcavia. Subito
dopo il cantoniere, in presenza della Polizia Stradale, ha contattato gli
addetti alla mobilità della Provincia di Lecco, responsabile della viabilità
sul cavalcavia, e li ha ripetutamente sollecitati alla immediata chiusura della
strada provinciale SP49 nel tratto comprendente il cavalcavia. Gli addetti della Provincia hanno
richiesto un’ordinanza formale da parte di Anas che implicava l’ispezione
visiva e diretta da parte del capocentro Anas, il quale si è attivato subito,
ma proprio mentre giungeva sul posto il cavalcavia è crollato. È stato
inoltre accertato che il Tir che è precipitato dal cavalcavia provinciale era
un trasporto di bobine di acciaio il cui notevole peso non è al momento noto”.
E’ da capire se l’ispezione
visiva era realmente indispensabile. Il fato (?) ha voluto che il ponte
crollasse proprio mentre l’ispezione visiva stava per essere compiuta.
Fermo rimanendo che l’articolista
de Il Fatto non ha ben chiaro che le province anche dopo il referendum non
spariranno (saranno disciplinate dalla normativa regionale: basta guardare le
norme transitorie alla legge di riforma costituzionale), è evidente che l’evento
è certamente stato scatenato dalla mancata chiusura del ponte, ma trova le sue
radici molto più in là nel tempo.
Esattamente dal 2012, quando il
governo Monti, maldestro nell’avviare una riforma delle province poi bocciata
dalla Corte costituzionale, ha di fatto attivato il processo di strozzinaggio
dei bilanci provinciali, azzerando il fondo sperimentale di sviluppo ed avviando
la contrazione della spesa, passata in un periodo brevissimo, dal 2012 al 2016,
da circa 12 miliardi a 7 miliardi, a competenze, però, invariate.
In questo quadro disarmante,
nell’ambito di questo modo di effettuare le “riforme”, capace solo di demolire
senza costruire, si pone il disastro di Lecco, che, però, è solo il tragico
emblema di una riformaccia istituzionale il cui effetti sono di portata ben più
estesa.
La conferma che la pessima
riforma Delrio sia la vera base del degrado del ponte di Lecco, come di ogni
strada provinciale, di ogni istituto scolastico superiore ed ogni immobile di
pertinenza delle province strozzate finanziariamente, la dà un esponente del
Governo stesso. Su La Stampa del 29 ottobre 2016, l’articolo “Intervista a
Riccardo Nencini - "Sono anni che si tagliano gli investimenti. Ora
basta"”, riporta le considerazioni del vice ministro ai lavori pubblici,
che appaiono una requisitoria, tardiva quanto purtroppo inutile, proprio nei
confronti della pessima riforma Delrio: “«Ripeto,
è presto per dire di chi sia la responsabilità. Quel che è certo è che, in
attesa del referendum costituzionale del 4 dicembre che potrebbe
definitivamente abolirle, molte province
italiane sono alle prese con seri problemi di bilancio»”. Argutamente, l’articolista, in questo
caso non invaso dalla vis abolendi, chiede:
“Insomma, dietro la tragedia potrebbe
esserci un problema di risorse?”. La risposta del vice ministro sintetizza
il fallimento assoluto della riforma Delrio: “«È un fatto che dal 2008 al 2014 gli
investimenti per le opere infrastrutturali, manutenzione compresa, siano scesi
del 30-32 per cento con tutte le conseguenze negative del caso. Questa è la
ragione per cui il governo ha raddoppiato le risorse assegnate ad Anas.
Destinando, solo alla manutenzione, 500 milioni di euro. Vale a dire il 60 per
cento in più dell'anno precedente. […]”.
Il crollo della spesa di
investimento delle province, obbligate a versare allo Stato miliardi ogni anno,
è stato ancor più verticale e non ha permesso loro più di effettuare la
manutenzione per strade, scuole, edifici. Il tutto, in un Paese, come si nota,
ad altissimo rischio sismico e con infrastrutture ormai inadeguate ed obsolete.
Ma, lo strozzinaggio nei
confronti delle province ha anche prodotto altri disagi per la vita di ogni
giorno: centri per l’impiego, già da sempre sotto dimensionati e cenerentola
delle politiche di rafforzamento dell’azione amministrativa, allo sbando, senza
una destinazione ancora chiara, sì che i disoccupati hanno ancora meno servizi
e tutele; disabili sensoriali che hanno subito la riduzione drastica degli
aiuti allo studio e dei sussidi; altri servizi sociali azzerati; contributi al
sostegno delle attività commerciali e produttive eliminati.
La cosa più paradossale è che le
province, una volta devastati i loro bilanci, non sono più nelle condizioni di mantenere
le strade in esercizio, pur essendo la viabilità e appunto la gestione delle
strade una delle funzioni “fondamentali” che la riformaccia ha lasciato come
propria del loro status.
Aggiornamento.
Non siamo i soli ad argomentare sul disastro provocato alla vita di ogni giorno e all'ordinamento dalla devastante riforma Delrio. Anche gli accademici cominciano ad accorgersene sia pure con immenso ritardo, come dimostra questa intervista pubblicata su Il Quotidiano Nazionale de 31 ottobre 2016:
Aggiornamento.
Non siamo i soli ad argomentare sul disastro provocato alla vita di ogni giorno e all'ordinamento dalla devastante riforma Delrio. Anche gli accademici cominciano ad accorgersene sia pure con immenso ritardo, come dimostra questa intervista pubblicata su Il Quotidiano Nazionale de 31 ottobre 2016:
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