Da ormai oltre 15 anni vigono forti vincoli alla crescita
della spesa del personale pubblico, fondati principalmente sul blocco della contrattazione
e sul parziale blocco del turn over.
Nonostante si tratti, quindi, di una politica assestata (che
ha portato all’inesorabile invecchiamento della PA), si assiste ciclicamente ad
iniziative del Governo finalizzate a “sbloccare” quello che è bloccato, il turn
over.
Regolarmente, si tratta di slogan e annunci vuoti, dai quali
non sortisce mai realmente l’effetto voluto.
C’è una ragione, plasticamente rappresentata da due tabelle
che presentiamo di seguito.
Fonte:
Istat, “Anni 2013-2015 CONTI ECONOMICI NAZIONALI”.
Fonte:
Ministero delle finanze, Nota di aggiornamento al Def 2016.
La prima tabella mostra l’andamento della spesa per il
personale registrato a consuntivo dall’Istat tra il 2011 e il 2015. Come si
nota, vi è stata una riduzione della spesa per retribuzioni di circa 8,7
miliardi. Poiché si tratta dell’unica voce di spesa del bilancio dello Stato
che scende con quella legata alle altre spese correnti (ma, quest’ultima è
molto più ballerina di anno in anno), la conclusione è una sola: lo Stato non
può consentirsi di far crescere l’unica spesa ormai da tempo sotto controllo.
Infatti, la Nota di aggiornamento al Def prevede un
incremento dal 2016 al 2019 di un miliardo circa, con una curva di crescita
della spesa totalmente piatta: si tratta, per la gran parte, di risorse
derivanti dalla previsione degli incrementi contrattuali, forzati dalla
sentenza della Consulta 178/2015.
I roboanti annunci, dunque, di sblocco delle assunzioni e di
rilancio del lavoro pubblico sono solo quello che sono: specchietti per le
allodole, non poggianti su nessuna possibilità concreta che si possano tradurre
in realtà.
Eppure, nonostante questa innegabile realtà, la stampa sta
osannando la manovra finanziaria (presentata il 15 ottobre come sempre solo con
slide, senza uno straccio di testo e priva anche di tabelle di esposizione dei
conti), nella parte in cui si prevede appunto lo “sblocco del turn over”.
In realtà, di tutto si tratta, tranne di uno sblocco: la
previsione è assumere circa 10.000 dipendenti, prevalentemente nell’ambito
della sanità e delle forze dell’ordine (la cosa divertente è che l’idea è stata
lanciata all’assemblea dell’Anci, come se i comuni fossero datori di lavoro di
infermieri e poliziotti).
Un contingente di 10.000 dipendenti pubblici è, ovviamente,
di gran lunga insufficiente a modificare in modo significativo il tetto al
ricambio dei dipendenti pubblici che cessano dal rapporto di lavoro, posto,
come è noto, al 25% del costo del personale cessato l’anno precedente dalla
legge di stabilità per il 2016, la legge 208/2015.
E’ un film già visto e una fiche già spesa per i più pronti
con la memoria, che certamente ricordano simili irrefrenabili entusiasmi all’epoca
della legge Madia-1, il d.l. 90/2014, poi convertito in legge 125/2014.
Per tutta l’estate, non si fece altro che parlare di “sblocco
delle assunzioni” e di “staffetta generazionale” nella PA, con un “programma”
di 60.000 assunzioni e l’azzeramento dei vincoli al turn over.
Come chiunque sa, non se ne è fatto nulla. La staffetta
generazionale non è nemmeno partita. Le 60.000 assunzioni non ci sono state. E
l’attenuazione dei vincoli alle assunzioni?
Il d.l. 90/2014, come si ricorderà, modificò i tetti alla
spesa del personale, che all’epoca ammontavano al 40% del costo delle
cessazioni dell’anno precedente, secondo una sequenza che per gli enti locali
sarebbe stata un innalzamento al 60% per gli anni 2014-2015, all’80% per gli
anni 2016-2017 per giungere al 100% nel 2018.
Chi scrive, nel settembre 2014, commentando quella norma,
ebbe ad essere facilissimo profeta (L. Oliveri, “Blocco dei contratti, una
vicenda grottesca, in La Settimana degli enti locali 31/2014): “La situazione evidenzia un altro dato di
realtà, che si scontra con gli annunci e i proclami che hanno accompagnato la
riforma PA, promossa sempre dal Ministro Madia: non vi potrà essere alcuna
seria “staffetta generazionale”. Soltanto se il turn over resta ferreamente
contenuto come fin qui, il trend discendente della spesa di personale può
continuare. Le aperture alle nuove assunzioni contenute nel d.l. 90/2014
convertito in legge 114/2014 semplicemente sono insostenibili. Presto verranno
ristrette nuovamente le maglie, perchè si deve giungere e urgentemente sotto la
soglia dei 3 milioni di dipendenti e dei 160 miliardi di spesa”.
Infatti, cosa è successo? Pochissimi mesi dopo, l’esiziale
legge 190/2014, nel determinare il definitivo guasto alle province, completando
il disastro della legge Delrio, ha di fatto bloccato totalmente le assunzioni
presso tutta la PA, tanto da richiedere nel 2015 un “decreto enti locali” che
consentisse almeno di acquisire qualche agente di polizia municipale ed
assistente sociale. Dunque, l’innalzamento della percentuale di turn over è rimasto
solo sulla carta.
Poi, dopo che per tutto il 2015 le assunzioni sono state una
chimera, la legge 208/2015, contraddicendo totalmente le previsioni del d.l.
90/2014, come visto, ha drasticamente nuovamente abbassato il tetto al turn
over, fino al 2018: addio, quindi, al 100% vanamente ipotizzato nell’estate del
2014.
Se non si trattasse di considerazioni molto serie, ci sarebbe
solo da sorridere nel vedere la stampa che, invece, senza alcun senso critico
prende per buone tutte le veline governative, come Il Messaggero dello scorso
14 ottobre, con l’articolo “Statali, 10 mila assunzioni ma con concorsi
"mirati"”, come se i concorsi non fossero tutti “mirati”.
Ma la vera perla dell’articolo è la seguente: “Non si tratterà comunque di uno sblocco
generalizzato del turn over, bensì di assunzioni mirate che riguarderanno
alcune categorie specifiche. Le Forze dell'ordine, innanzitutto. E poi gli
infermieri e forse anche i medici. Si tratta di un primo assaggio di quello che accadrà a partire dal prossimo
anno, quando sarà varato il nuovo Testo
unico sul pubblico impiego. Nella riforma firmata dal ministro della
Funzione pubblica Marianna Madia, si passerà dai piani di assunzioni basati sulle «piante organiche», a quelli basati sui «fabbisogni» delle
amministrazioni. Qual è la differenza? Con il criterio delle piante organiche
se in un ospedale va via un funzionario amministrativo, va fatto un bando per
sostituire quest'ultimo. Magari però, servirebbe un medico in più, invece che
un addetto alle buste paga. IL NUOVO MODELLO Con i fabbisogni il modello cambia.
Si potrà non tener conto di «dove» sono i posti scoperti, ma di quali
professionalità c'è più bisogno”.
Nessuno, evidentemente, ha informato il redattore de Il Messaggero
che da ormai 19 anni, dall’epoca del d.lgs 80/1998 le piante organiche non
esistono più e che, pertanto, ciascuna amministrazione è assolutamente libera
di utilizzare gli spazi finanziari (pochini) a disposizione per assumere
personale esattamente dove serve, sulla base dell’obbligatoria programmazione
triennale, senza alcun obbligo di sostituire il geometra col geometra, il
ragioniere col ragioniere, l’amministrativo con l’amministrativo.
Finchè oltre al vaniloquio degli slogan (purtroppo tradotti
in legge) si assisterà alla ripresa acritica delle parole al vento da parte
della stampa, non si potrà mai fare il passo deciso verso la realistica visione
della realtà e dei suoi problemi.
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