Se qualcuno aveva il dubbio che
la riforma della dirigenza gettasse nel caos i comuni, con l’abolizione
dissennata della figura del segretario comunale, il parere 14.10.2016 n. 2113
del Consiglio di stato fuga ogni dubbio.
Palazzo Spada conferma e convince
che si tratta di una riforma confusionaria, concepita male, scritta peggio e
meritevole di una serie infinita di aggiustamenti e modifiche. Anche se,
probabilmente, è l’idea stessa di base, l’abolizione, l’errore clamoroso al
quale si dovrebbe porre rimedio.
Il parere del Consiglio di stato
dedica alla riforma dei segretari comunali il paragrafo 21, individuando i
molti punti controversi.
Inserimento nelle dotazioni organiche. Il primo consiste nella
previsione dell’articolo 10, comma 2, ai sensi del quale i segretari comunali “vengono
assunti dalle amministrazioni che conferiscono loro incarichi dirigenziali, nei
limiti delle dotazioni organiche”.
Si
tratta di una disposizione micidiale, il cui potenziale concreto è creare i
presupposti per un licenziamento di massa, privo di alcuna razionalità, ma
soprattutto di una “causa”, cioè di una giustificazione socialmente ed
economicamente sostenibile.
Il
Consiglio di stato nota che la norma non tiene conto della “peculiarità della figura del segretario
comunale e provinciale”, derivante dal fatto “che ancora oggi è retribuito dall’ente in cui esercita le funzioni pur
avendo un rapporto di servizio con il Ministero dell’Interno”.
In
effetti, non si è capito bene per quale ragione dipendenti assimilati ai
dirigenti pubblici quali sono i segretari comunali, che conducono un rapporto
di servizio col Ministero dell’interno non siano stati inseriti nel ruolo della
dirigenza statale. Certo, può avere una razionalità la loro collocazione nel
ruolo della dirigenza locale, vista l’alta specializzazione e competenza dei
segretari in ambito locale, appunto, ma data l’impostazione secondo la quale
qualsiasi dirigente a qualsiasi ruolo appartenga può ricevere qualsiasi
incarico dirigenziale da qualsiasi amministrazione, forse la scelta non è del
tutto logica e coerente.
Soprattutto,
non lo è perché mette a serio rischio la prosecuzione del rapporto di lavoro
dei segretari, laddove dispone che gli enti locali debbano assumere i segretari
(qualificati senza più alcun dubbio come dirigenti) “nei limiti della dotazione
organica”.
Ma,
gli estensori del testo della riforma dovrebbero sapere che dei circa 8.100
comuni italiani, nessuno ha il segretario comunale in dotazione organica;
soprattutto, 7.500 comuni circa non hanno proprio la qualifica dirigenziale
nelle proprie dotazioni. Risulta, dunque, del tutto impossibile nella
larghissima maggioranza degli enti locali assumere i segretari comunali.
C’è,
poi, un’altra incongruenza, che discende dal disegno davvero paradossale della
riforma. Il decreto pur ispirandosi proprio alla gestione dei segretari
comunali (confluiti in una sorta di “ruolo” qual è l’albo dei segretari, prima
gestito dall’Agenzia, poi dal Viminale), se ne discosta, perché non si è
definito il soggetto col quale i dirigenti dovranno condurre il rapporto di
servizio.
Il
decreto, in modo goffo ed incompleto, dispone che i dirigenti dipendono dalla “Repubblica”,
ma la loro iscrizione nel ruolo non instaura un rapporto di lavoro con alcun
ente. Solo a seguito dell’attribuzione di un incarico dirigenziale, il
dirigente stipula un contratto di lavoro con l’ente che lo incarica, attivando
sia il rapporto di lavoro, sia il rapporto di servizio; a conclusione dell’incarico,
il dirigente va in disponibilità e perde il rapporto di lavoro, ma non quello
di servizio, tanto che l’ente incaricante gli versa la retribuzione
fondamentale (quale? Il solo tabellare? Anche la posizione? Per quale valore?
Lo schema di decreto non risponde a queste necessarie domande), pur non potendo
più pretendere la prestazione lavorativa. Se il dirigente riceve un altro
incarico, l’ultimo ente incaricante cede il contratto a quello nuovo.
Un
disastro organizzativo, logico e giuridico. Che per i segretari comunali
potrebbe significare l’immediata collocazione in disponibilità, visto che nella
quasi totalità degli enti locali l’assenza della qualifica dirigenziale
impedisce la loro assunzione entro i limiti della dotazione.
Questo
problema non si sarebbe verificato, se il legislatore avesse stabilito che i
dirigenti, compresi i segretari, venissero assunti, cioè conducessero il
rapporto di servizio, presso un’amministrazione competente a gestire il ruolo.
Palazzo
Spada, dunque, si vede costretto ad osservare, saggiamente: “Ne consegue che le dotazioni organiche degli
Enti locali presso cui dette figure prestano servizio non prevedono la figura
del segretario. Si potrebbe, pertanto, porre una questione di concreta
attuazione della norma, nel senso che l’assunzione di quei funzionari presso
gli enti locali che conferiscono loro incarichi dirigenziali – proprio perché
si tratta di una disposizione transitoria e non già a regime – non può avvenire nei limiti delle dotazioni
organiche, perché, altrimenti, la soppressione della figura del segretario
comunale e provinciale coinciderebbe con il loro licenziamento immediato,
mancandone la previsione nelle attuali dotazioni organiche degli Enti locali.
E’ necessario, pertanto, prevedere che l’assunzione
avvenga nei limiti della spesa, elemento che, allo stato, già comprende il
pagamento del loro trattamento economico presso gli enti ove prestano servizio”.
C’è,
poi, la paradossale questione dei segretari di fascia C e dei vincitori dei
concorsi delle procedure concorsuali di ammissione al corso di accesso in
carriera già avviate alla data in vigore della legge delega, di cui si occupa
il comma 5 dell’articolo 10. Esso dispone che fatto salvo il caso in cui sia
loro conferito l’incarico di direzione apicale ai sensi del comma 6, sono
immessi in servizio come funzionari per
due anni effettivi, che potranno divenire dirigenti a seguito di una
procedura di valutazione. Il comma 5 a tale proposito specifica che “a tale
fine, gli enti locali presso i quali nei successivi due anni sarà disponibile
un ufficio dirigenziale, possono chiedere alla Commissione di cui all’art. 19
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, l’assegnazione dei predetti
soggetti, presentando un progetto professionale e formativo di inserimento”.
Anche in questo caso, l’irrazionalità della norma e della procedura non poteva
sfuggire al Consiglio di stato.
Il
parere, quindi, evidenzia che “L’esigenza
di una necessaria interpretazione costituzionalmente orientata proprio della
disposizione di delega (per altro già ricavabile dal suo stesso tenore
letterale) non consente di disciplinare unitariamente e cumulativamente, come
nello schema di decreto in esame, situazioni che sono del tutto diverse e
disomogenee tra di loro, quali sono quelle: a) dei segretari comunali,
collocati in fascia C ed in servizio da almeno due anni effettivi (alla data di
entrata in vigore del decreto legislativo in questione); b) dei segretari,
collocati in fascia C, ma in servizio da meno di due anni; c) dei segretari
collocati in fascia C che alla data di entrata in vigore del decreto
legislativo non abbiano ancora assunto servizio; d) dei vincitori delle
procedure concorsuali di ammissione al corso di accesso alla carriera avviate alla
data di entrata in vigore della legge o del decreto legislativo”.
Mescolare
tra loro situazioni completamente incompatibili è il chiaro segnale dell’approssimazione
e fretta che hanno caratterizzato la stesura dello schema di decreto.
Palazzo
Spada, dunque, non ha dubbi: la formulazione del comma 5 “rende innanzitutto in parte
inapplicabile, oltre che non ragionevole, l’unica previsione del decreto
che per tutti dispone l’immissione in servizio come funzionari: già alla data dell’entrata in vigore della legge
delega ed a maggior ragione alla data di entrata in vigore del decreto
legislativo vi erano e vi sono segretari collocati in fascia C già in servizio”.
Che
senso ha qualificare come funzionari segretari con due anni di esperienza, che
ai sensi della legge delega dovrebbero confluire automaticamente nel ruolo?
Nessuno, come dimostra il parere: “Occorre
pertanto in sede di attuazione della delega, tenuto conto dei principi in essa
contenuti ed anche delle stesse previsioni di cui allo schema di decreto in
esame, distinguere, ai fini del regime transitorio connesso alla soppressione
della figura del segretario comunale, le seguenti posizioni.
A) La
posizione dei segretari comunali, collocati in fascia C, in servizio da almeno
due anni effettivi, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo in
questione: per essi, in armonia con la stessa previsione della legge
delega che prevede la loro confluenza nel ruolo unico della dirigenza dopo due
anni di effettivo servizio, deve stabilirsi che l’avvenuto svolgimento per
almeno diciotto mesi o due anni di effettivo servizio quale titolare di una
segreteria comunale, anche in regime di convenzione, comporta l’automatica
iscrizione nel ruolo della dirigenza”.
Vi sono poi le altre situazioni, che secondo il Consiglio
di stato sono da considerare distinte: “B)
La posizione dei segretari, collocati in fascia C, ma in servizio da meno di
due anni: per essi, sempre in coerenza con la ricordata norma di delega, deve stabilirsi che, qualora nel termine
triennale di cui al successivo comma 6 maturino i diciotto mesi o i due anni di
servizio effettivo di servizio di titolarità di una segreteria comunale, anche
in convenzione, sono iscritti nel ruolo dei dirigenti degli Enti locali”.
Più delicata è la terza situazione: “C) La posizione di coloro che, pur essendo collocati in fascia C, non
siano in servizio alla data di entrata in vigore del decreto legislativo in
questione nonché per i vincitori delle procedure concorsuali di accesso alla
carriera al momento di entrata in vigore della legge: solo per essi può ragionevolmente trovare applicazione la previsione di
immissione in servizio come funzionari”.
Palazzo Spada accetta, in qualche misura, l’idea che alla
dirigenza si possa accedere prima da funzionari e, poi, sulla base di un’attività
biennale ed un successivo esame passare, poi, nei ruoli dirigenziali. Una sorta
di “praticantato”.
C’è, però, da osservare che in questo modo (si tratta di un
sistema del tutto analogo a quello dell’assunzione per corso-concorso) non si
coprono posti dirigenziali vacanti, perché si acquisiscono funzionari: sicchè
una norma per la dirigenza, si trasforma in un’imposizione agli enti di
acquisire dei funzionari: ma, quali enti? Sulla base di quali fabbisogni.
Ponendo che si tratti di un ente locale che ha bisogno di un dirigente apicale
e che assuma come funzionario un vincitore di concorso per fascia C. Quell’ente,
poiché la funzione del dirigente apicale è obbligatoria, sarà già dotato del
dirigente apicale, anche eventualmente in convenzione. Una volta che il proprio
funzionario superi l’esame di conferma dopo i primi due anni di servizio, quell’ente,
che già si avvale del dirigente apicale, dove potrà collocare il neo dirigente,
che magari nemmeno prevede nella propria dotazione organica?
Un vuoto organizzativo che è sfuggito anche all’esame
correttamente critico del Consiglio di stato.
C’è, poi, la questione del passaggio dal segretario
comunale all’ircocervo del “dirigente apicale”, trattata nel paragrafo 20 del
parere.
Il Consiglio di stato concentra la propria attenzione sul
nuovo articolo 27-bis del d.lgs 165/2001, che lo schema di decreto prevede di
introdurre. Tale norma, al comma 1, prevede: “gli enti locali nominano, con
le modalità di cui all’articolo 19-ter, comma 6, tra i dirigenti
appartenenti ai Ruoli della dirigenza, un dirigente apicale a cui affidano
compiti di attuazione dell’indirizzo politico, coordinamento dell’attività
amministrativa e controllo della legalità dell’azione amministrativa”.
Il Consiglio di stato trae la corretta conclusione secondo
la quale la normativa disponga l’irrinunciabilità e l’indefettibilità negli
enti locali della funzione di “attuazione dell’indirizzo politico,
coordinamento dell’attività amministrativa e di controllo della legalità
dell’azione amministrativa”. Detta funzione, passa dalla soppressa la
figura del segretario comunale, alla dirigenza locale e, in particolare, nella
competenza del “dirigente apicale”.
Visto che la funzione vista sopra è obbligatoria, secondo
Palazzo Spada la disposizione normativa dovrebbe essere più chiara e risoluta
nel disporre un obbligo all’assegnazione dell’incarico dirigenziale di “attuazione
dell’indirizzo politico, coordinamento dell’attività amministrativa e di
controllo della legalità dell’azione amministrativa”.
Un rilievo critico concerne la conferma della figura,
eventuale, del direttore generale, prevista al comma 2 del nuovo (ipotetico)
articolo 27-bis del d.lgs 165/2001: “Le città metropolitane e i comuni con
popolazione superiore a 100.000 abitanti possono nominare, in alternativa al
dirigente apicale di cui al comma 1, un direttore generale ai sensi
dell’articolo 108 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del
2000. In tale ipotesi, tali enti affidano la funzione di controllo della
legalità dell’azione amministrativa e la funzione rogante a un dirigente
appartenente a uno dei Ruoli della dirigenza, in possesso dei requisiti
prescritti”.
Un’annotazione, sfuggita al Consiglio di stato: il
direttore generale non potrà più essere presente nelle province, essendo espressamente
consentito solo nelle città metropolitane, oltre che nei comuni con oltre
100.000 abitanti.
Rilevato quanto sopra, torniamo al parere del Consiglio di
stato, che si accorge delle incongruenze interne allo schema di decreto.
Palazzo Spada rileva che la conferma della possibilità di incaricare il
direttore generale si deve coordinare con il comma 1-quater dell’articolo
16 del d.lgs 165/2001, introdotto dall’articolo 11 dello schema di decreto, ai
sensi del quale “è denominato dirigente apicale il dirigente al quale sono
attribuiti compiti di attuazione dell’indirizzo politico, coordinamento
dell’attività amministrativa ed esercizio della funzione rogante, già
esercitata dai segretari comunali e provinciali di cui all’art. 98 del testo
unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che non può essere
coordinato da altra figura di dirigente generale”.
Inevitabilmente, il Consiglio di stato “segnala la necessità di meglio chiarire i
rapporti tra dirigente apicale di cui al comma 1 e il direttore generale di cui
al comma 2 della disposizione in esame. Quest’ultima norma scinde, per il
direttore generale, la funzione di garanzia della legalità da ogni possibile
commistione gestionale. La prima, invece, sembra ammettere, per il dirigente
apicale, entrambe le funzioni”.
Insomma, Palazzo Spada evidenzia che il direttore generale
è figura eventuale, caratterizzata dalla competenza esclusivamente operativa;
solo il “dirigente apicale” può cumulare funzioni di coordinamento ed
operative, con quelle di garanzia della legalità dell’azione amministrativa.
Ma, secondo il parere “il possibile
frazionamento delle originarie funzioni dei segretari comunali e provinciali tra
direttore generale e dirigente apicale potrebbe seriamente incrinare il funzionamento della struttura ordinamentale dell’ente e
creare gravi ragioni di inefficienza ed inefficacia dell’azione
amministrativa. Per queste ragioni dovrebbe prevedersi che le originarie funzioni dei segretari comunali, indicate nell’art.
98 del d.lgs. n. 267 del 2000, esclusa ogni altra e diversa funzione di
carattere gestionale, vengano esercitate
da un unico dirigente in posizione di staff rispetto all’organo di vertice politico
dell’amministrazione”.
Una critica, dunque, nemmeno troppo larvata all’idea stessa
di sopprimere la figura del segretario comunale: in ogni caso, secondo Palazzo
Spada, le funzioni in particolare di garanzia della legalità debbono restare
scorporate da quelle del direttore generale, in modo da garantire l’autonomia
del dirigente locale incaricato di esse. Per questo, Palazzo Spada propone che
esso sia inserito in staff all’organo di governo.
Tuttavia, questa idea, mirante a garantire la scissione dei
ruoli tra direttore generale e dirigente incaricato della funzione di garanzia
della legalità, non tiene conto che collocare questo secondo dirigente in staff
all’organo di governo è di difficile compatibilità con la posizione di
autonomia, richiesta a questo scopo dalla normativa anticorruzione, che quel
dirigente sarebbe chiamato ad attuare.
Un’aporia, una delle tante, derivante dal diluvio di
riforme o “riformite”, che allaga l’ordinamento, senza una visione unitaria e
coordinata.
Infine, il tema della gestione associata obbligatoria della
funzione di direzione apicale, posto dal comma 2 dell’articolo 27-bis che
novellerebbe il Tupi: “I Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti o
a 3.000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a comunità montane, esclusi
i comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o più
isole, e il comune di Campione d’Italia, hanno l’obbligo di gestire la funzione
di direzione apicale di cui al comma 1 in forma associata”.
Secondo il Consiglio di stato, i comuni contemplati nella
norma sono gli “enti locali di minori dimensioni demografiche” anche con
riferimento alla previsione di cui all’articolo 16, comma 1-quater, del
d.lgs 165/2001, come verrebbe novellato dallo schema di decreto.
Palazzo Spada considera ragionevole l’obbligatoria gestione
associata, ma precisa che tale previsione “deve
essere accompagnata dalla fissazione di un termine massimo ragionevole, che
potrebbe essere di sessanta giorni, entro cui gli enti, proprio in ragione
della peculiarità ed indefettibilità della predetta funzione, devono provvedere
associandosi, rinviando al regolamento di cui all’art. 28-sexies la disciplina concreta
idonea a superare le eventuali resistenze o inadempimenti degli enti locali”.
In ultimo, il delicatissimo tema dell’esercizio della
funzione apicale negli enti di minori dimensioni demografiche (quelli visti
prima). L’articolo 16, comma 1-quater
del d.lgs 165/2001, come verrebbe novellato dal decreto, nella sua seconda
parte dispone che “per gli enti locali di minori dimensioni demografiche,
nei quali non sia prevista la posizione dirigenziale, la funzione di direzione
apicale è svolta in forma associata (…) salva
la possibilità di attribuire le funzioni dirigenziali ai responsabili degli
uffici e dei servizi (…)”.
In molti hanno considerato questa disposizione (scritta in
modo involuto e oscuro) come la base normativa per attribuire la funzione di
dirigente apicale anche ai funzionari locali, incaricati di funzioni
dirigenziali ai sensi dell’articolo 109, comma 2, del d.lgs 267/2000.
Contro
questa teoria chi scrive si è già espresso, nell’articolo “Enti, dirigente
apicale obbligatorio (solo a metà)”, pubblicato su Italia Oggi del 30 agosto
2016, ove si osservò: “Se questa
chiave di lettura fosse corretta, migliaia di comuni (la grandissima parte dei
circa 8100 enti locali non hanno la dirigenza), potrebbero, dunque, affidare la
funzione apicale ad un funzionario: non ad un dirigente di ruolo, né agli ex
segretari.
Si tratterebbe, tuttavia, di una conseguenza fin troppo in contrasto
con la delega legislativa contenuta nella legge 124/2015, perché si
consentirebbe di far svolgere funzioni dirigenziali apicali, riservate agli
iscritti ai ruoli della dirigenza e, in particolare, al ruolo della dirigenza
locale, a persone non iscritte al ruolo e non in possesso della qualifica
dirigenziale. Più correttamente, dunque, la disposizione lascia ferma la facoltà
di attribuire funzioni dirigenziali ai funzionari ai sensi dell’articolo 109,
comma 2, allo scopo non di far coprire a funzionari la dirigenza apicale, bensì
di continuare a consentire agli enti locali privi di dirigenza di far svolgere
le funzioni dirigenziali ai funzionari di vertice, senza istituire
necessariamente posti di dirigente in dotazione organica e senza gravare il
dirigente apicale di tutte le funzioni dirigenziali dell’ente”.
Il parere del Consiglio di stato pare totalmente in linea
con questi rilievi. Palazzo Spada, infatti, afferma: “la norma appare ambigua e contraddittoria dichiarando nell’incipit di far riferimento ad enti
privi di posizione dirigenziale e poi prevedendo l’attribuzione di funzioni
dirigenziali ai responsabili degli uffici dei servizi. In ogni caso deve
chiarirsi, in coerenza con quanto osservato in relazione alle previsioni di cui
all’art. 27-bis ed ai
principi che da esso derivano, che i
compiti già propri dei segretari comunali e provinciali non possono essere
esercitati dai responsabili degli uffici e servizi (trattandosi nella quasi
totalità dei casi di Comuni addirittura sforniti di funzionari) e che comunque
la possibilità di conferire ai predetti responsabili funzioni dirigenziali deve
intendersi nel senso che si considerano eccettuate
quelle di attuazione dell’indirizzo politico, di coordinamento e controllo
della legalità dell’azione amministrativa e di ufficiale rogante”.
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