martedì 3 gennaio 2017

Nuovi casi di responsabilità oggettiva negli appalti per i dirigenti e l’ircocervo Anac: controllore, inquisitore, giudice giudicante


Che le “raccomandazioni vincolanti” previste dall’articolo 211, comma 2, del codice dei contratti fossero un istituto ad altissimo sospetto di illegittimità di vario tipo era abbastanza chiaro.

Residui eventuali dubbi sono stati eliminati dal parere del Consiglio di stato comm. spec., 28 dicembre 2016, n. 2777: Palazzo Spada ha letteralmente fatto a pezzi lo schema di regolamento in materia di attività di vigilanza sui contratti pubblici di cui all’art. 211, comma 2, e 213 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, sottopostogli dall’Anac e, con esso, lo stesso articolo 211, comma 2, che l’Anac stessa ha contribuito ad introdurre nel testo del codice.
Non ci si sofferma qui a commentare i condivisibili e circostanziati, oltre che numerosissimi, rilievi esposti dal Consiglio di stato. Ci si limita a ricordare tre dei più rilevanti:
1)                           la procedura attuativa delle “raccomandazioni vincolanti” immaginata dall’Anac richiede un tempo di 390 giorni, se non oltre;
2)                           l’articolo 211, comma 2, del codice rischia di introdurre l’inusitata categoria della “responsabilità da fatto lecito”;
3)                           il sistema espone tutti gli appalti ad esposti artati di chi abbia tutto l’interesse a scatenare polveroni sulle procedure di gara, col rischio di incrementare all’infinito il contenzioso.
Se qualcuno era realmente convinto che il codice dei contratti è davvero in grado di semplificare le procedure di gara, eliminare il contenzioso e rilanciare gli appalti, il Consiglio di stato elimina ogni residua incertezza: man mano che prosegue l’attuazione della riforma degli appalti, si rendono sempre più evidenti le tantissime, troppe disfunzioni che porta con sé, alle quali sarebbe necessario porre un rimedio radicale, col ripensamento profondo di molte parti del nuovo codice.
Una delle necessità prioritarie appare proprio quella di modificare radicalmente ruolo e funzioni dell’Anac, eliminando drasticamente dall’ordinamento giuridico la cosiddetta “soft law”. Tra linee guida, regolamenti dell’Anac, comunicati del Presidente e vari altri modi con i quali l’Autorità incide sull’ordinamento, il quadro complessivo delle norme si sta complicando moltissimo, anche per la non felicissima modalità di redazione in particolare delle linee guida, il cui periodare organizzato non per articoli e precetti, ma attraverso una prova troppo spesso infarcita di periodi al condizionale con contenuti probabilistici, produce l’effetto di “guidare” ben poco, così accrescendo i già troppi margini di incertezza operativa ed applicativa.
Le “raccomandazioni vincolanti”, vero e proprio ossimoro[1] e paradosso giuridico: una raccomandazione però obbligatoria, tanto che, se non rispettata, produce l’applicazione di una gravosa sanzione amministrativa.
Ecco, infatti, quanto dispone l’articolo 211, comma 2, del codice dei contratti: “Qualora l’ANAC, nell’esercizio delle proprie funzioni, ritenga sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura di gara invita mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela e a rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni. Il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell’Autorità entro il termine fissato è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250 e il limite massimo di euro 25.000, posta a carico del dirigente responsabile. La sanzione incide altresì sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti, di cui all’articolo 36 (sarebbe da intendere l’articolo 38 nda) del presente codice. La raccomandazione è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi dell'articolo 120 del codice del processo amministrativo”.
E’ opportuno riportare qui uno stralcio del parere del Consiglio di stato, riferito proprio all’articolo 211, comma 2, per comprendere quanto sia extra ordinem la previsione ivi contenuta: “5.2. Quello delle raccomandazioni vincolanti è un istituto nuovo, di difficile inquadramento nel nostro sistema.
Questo Consiglio di Stato, nel parere n. 855 del 2016, ha già espresso motivate riserve sull’introduzione del nuovo istituto, segnalandone la natura di «annullamento mascherato», non facilmente compatibile con il riparto delle competenze riconosciute alle singole amministrazioni e con il sistema delle autonomie, e ne ha evidenziato in particolare l’anomalia della portata effettuale, sul piano della ragionevolezza e della presunzione di legittimità degli atti amministrativi sino a loro annullamento, in quanto la sanzione amministrativa, prevista dall’art. 211, comma 2, del codice colpisce il rifiuto di autotutela e, cioè, un provvedimento di cui deve presumersi la legittimità, sino a prova contraria, quasi a prefigurare una inedita «responsabilità da atto legittimo».
Nel medesimo parere la Commissione speciale ha raccomandato al legislatore una formulazione della disposizione in chiave di vigilanza collaborativa – pure prevista, in via generale, dall’art. 213 del codice – non dissimile da quella prevista dall’art. 21-bis della l. n. 287 del 1990 per l’Antitrust, compatibile con i principî fissati dalla Costituzione e con i limiti della legge delega, che nella lettera t) parla di «controllo» al fine di giustificare il potere dell’ANAC, usando una nozione coincidente con la qualificazione adoperata dal giudice delle leggi con riguardo alla legittimazione conferita dall’art. 21-bis all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Corte cost., 14 febbraio 2013, n. 20).
Il legislatore ha tuttavia mantenuto la previsione originaria, che conferisce all’ANAC il potere di incidere, con efficacia vincolante, sulla legittimità degli atti di gara, secondo una nozione dinamica della vigilanza che, come ricorda la relazione illustrativa dell’ANAC (p. 1), sfocia in un provvedimento incidente sull’assetto degli interessi, che «è stato interpretato quale atto di amministrazione attiva, ovvero diretto a soddisfare un interesse della pubblica amministrazione».
5.3. Questa Commissione deve ribadire le criticità già evidenziate nel precedente parere ed evidenziarne di ulteriori che emergono dalla concreta attuazione dell’istituto.
5.3.1. In primo luogo, la legge delega – l. n. 11 del 2016 – al comma 1, lett. t), ha previsto l’attribuzione all’ANAC «di più ampie funzioni di promozione dell’efficienza, di sostegno allo sviluppo delle migliori pratiche, di facilitazione allo scambio di informazioni tra stazioni appaltanti e di vigilanza nel settore degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, comprendenti anche poteri di controllo, raccomandazione, intervento cautelare, di deterrenza e sanzionatorio».
La lett. t) viene evidentemente considerata la base fondante del potere di raccomandazione vincolante.
Si può tuttavia dubitare che la legge delega, pur nella sua generica formulazione, abbia concepito il potere di “raccomandazione” come una forma, anche indiretta, di annullamento d’ufficio ed abbia consentito, quindi, di introdurre una nuova fattispecie di autotutela doverosa, dai connotati peculiari, come meglio si dirà nel § 6.
Al riguardo, infatti, non si può trascurare il principio generale che vige in materia di annullamento d’ufficio e, cioè, che il relativo potere, come prevede l’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990, può essere esercitato solo «dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge», mentre la legge delega non contiene alcuna espressa attribuzione all’ANAC di un sostanziale potere di annullamento, seppure nella forma della “raccomandazione vincolante”.
5.3.2. In secondo luogo, suscita perplessità la stessa collocazione del potere di raccomandazione vincolante nell’ambito di un articolo – il 211 – rubricato «pareri di precontenzioso», perché il nuovo istituto delle raccomandazioni vincolanti di cui al comma 2 è differente, per finalità, presupposti ed effetti, dal parere di precontenzioso di cui al comma 1. Lo stesso rapporto tra i due istituti, nell’applicazione pratica, genera problemi di coordinamento (come si vedrà, infra, § 8.2).
5.3.3. In terzo luogo, la raccomandazione vincolante si inserisce in una fattispecie complessa, a formazione progressiva, che culmina nell’esercizio di un’autotutela doverosa, che deve tuttavia essere ricondotta al paradigma generale dell’art. 21-nonies della l. 241 del 1990 se si vuole preservarne, al di là delle criticità di fondo sopra evidenziate, la coerenza con l’ordinamento nel suo complesso.
Il legislatore delegato, nell’assenza di una disposizione di delega inequivocabilmente attributiva all’ANAC, sul piano sostanziale, del potere di annullamento d’ufficio, ha attuato solo in parte il suo disegno innovatore, facendo della “raccomandazione vincolante” – quasi un ossimoro – il motore della revisione, ma mantenendone in capo alle singole stazioni appaltanti il veicolo formale, attraverso l’emanazione dell’atto conclusivo di tale inedita sequenza procedimentale”.
Detto in altri termini, più pedestri, l’articolo 211, comma 2, fa dell’Anac e dei poteri da questa esercitati, un miscuglio giuridico informe. Molto efficace è il parere di Palazzo Spada quando parla di “annullamento mascherato”. Nella sostanza, infatti, per effetto dell’articolo 211, comma 2, si può affermare che:
1)      si assegna all’Anac una vera e propria funzione di controllo di legittimità sugli atti;
2)      tale funzione di controllo, tuttavia, risulta solo eventuale: attivabile d’ufficio dall’Anac stessa, oppure su esposti presentabili (secondo lo schema di regolamento pesantemente censurato da Palazzo Spada) non solo dagli operatori economici interessati alla gara, ma sostanzialmente da qualsiasi soggetto, anche associativo, interessato; tuttavia, una funzione di controllo dovrebbe riguardare o tutte le procedure, oppure dovrebbe essere realizzata sulla base di un campione estratto con criteri predeterminati;
3)      si tratta di un controllo successivo e non preventivo: infatti, l’iniziativa dell’Anac volta ad ottenere dall’amministrazione il provvedimento di annullamento in autotutela giungerà su un provvedimento già adottato ed efficace; ma, controlli di tale natura dovrebbero precedere l’adozione dell’atto, allo scopo di scongiurare le possibili violazioni alle norme sull’anticorruzione ed il conflitto di interessi e limitare il contenzioso;
4)      l’Anac non assume, comunque, il ruolo di ente competente all’esercizio di una funzione amministrativa di controllo; rimane nella propria posizione di “autorità indipendente”, che adotta atti di imperio e non provvedimenti di controllo veri e propri;
5)      infatti, l’Anac non adotta né provvedimenti di “visto” favorevole, né di annullamento diretto, come farebbe un vero e proprio organismo di controllo, ma “invita”, con la propria raccomandazione, la stazione appaltante ad agire in autotutela e a rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni;
6)      pertanto, l’annullamento dell’atto deve essere posto in essere dalla medesima stazione appaltante e non dall’Anac; ecco perché il Consiglio di stato parla di “annullamento mascherato”, intendendo come tale l’esercizio di una vera e propria funzione di controllo, tuttavia posto in essere non dall’ente controllante, ma da quello controllato;
7)      il quale ente soggetto al controllo spurio, per altro, lungi dall’essere “invitato” a rimuovere l’atto dalla “raccomandazione” è praticamente obbligato: non a caso si parla di raccomandazione “vincolante”;
8)      la norma non prevede alcuna possibilità, per l’ente, di discostarsi con una congrua motivazione dalla “raccomandazione” dell’Anac;
9)      l’unico sistema assegnato alla stazione appaltante per mettere in discussione la raccomandazione dell’Anac è impugnarlo davanti al Tar; per altro, come nota il Consiglio di stato, per l’impugnazione il termine è di 30 giorni, mentre l’attuazione forzosa della raccomandazione prevede 60 giorni, una discrasia oggettivamente inaccettabile;
10)  anche laddove l’amministrazione intenda proporre ricorso contro la raccomandazione, comunque scatterà necessariamente l’applicazione della sanzione amministrativa da 250 a 25.000 euro, in quanto tale sanzione si applica automaticamente per il fatto oggettivo del mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione medesima;
11)  l’elemento della “responsabilità da atto legittimo” viene in evidenza allorchè il Tar accolga il ricorso proposto dalla stazione appaltante, che, dunque, risulterebbe essere stata sanzionata nonostante avesse posto in essere un atto legittimo.
Insomma, come si nota, l’Anac:
a)                            svolge di fatto funzioni di organi di controllo, ma restando ammantata dello status speciale di autorità indipendente;
b)                            nei fatti, l’Anac, come mostra lo schema di regolamento censurato da Palazzo Spada, svolge una vera e propria funziona inquisitoria, anche con rilevanti ed ingiustificate compressioni del diritto al contraddittorio, come evidenzia sempre il parere del Consiglio di stato;
c)                            al tempo stesso, svolge anche una funzione giudicante senza appello: la raccomandazione produce effetti obbligatori, rimuovibili solo da un procedimento contenzioso davanti al Tar.
Un ruolo pesantissimo, che abbinato alla funzione normativa di fatto “subappaltata” dal Parlamento all’Autorità mediante la previsione della “soft law”, fa dell’Anac un “potere” nuovo e diverso, trasversale tra quello legiferante, esecutivo e giudiziario, che travalica di gran lunga le competenze e funzioni delle autorità regolatrici.
Ma, le conseguenze estreme e le stranezze della normativa in esame non finiscono qui. Come si nota leggendo con attenzione l’articolo 211, comma 2, nonostante la raccomandazione sia vincolante per la stazione appaltante, nel caso di mancato adeguamento la sanzione amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250 e il limite massimo di euro 25.000, è posta a carico del dirigente responsabile e non dell’amministrazione alla quale appartiene.
Un’ipotesi di vera e propria introduzione di responsabilità oggettiva in un campo, quello delle sanzioni amministrative depenalizzate, nel quale si debbono applicare i principi del codice penale, tra i quali campeggia esattamente quello della personalità della responsabilità, col quale la responsabilità oggettiva confligge in modo irrimediabile.
La cosa non è ovviamente sfuggita al Consiglio di stato, che, infatti, sul tema così scrive nel parere: “5.4. Al di là delle difficoltà sistematiche prima evidenziate e di quelle applicative di cui si dirà, debbono ribadirsi in questa sede alcune perplessità ‘strutturali’ sull’istituto, in termini giuridici ma anche in termini di efficacia pratica, che si rimettono nuovamente alla valutazione del Governo in vista di eventuali decreti correttivi, con particolare riferimento:
a) alle perplessità derivanti dalla creazione di una responsabilità oggettiva avulsa dalla gravità (e dalla stessa esistenza) della violazione che inficia l’atto di gara censurato dall’Autorità, che potrebbe essere successivamente smentita dal giudice amministrativo (come si è detto, si è parlato di «responsabilità da atto legittimo»), che non tiene conto, altresì, della chiarezza del quadro normativo di riferimento o dalla complessità della procedura di gara, e incentrata unicamente sul rifiuto di attuare la raccomandazione vincolante a prescindere dal carattere giustificato o meno, colpevole o meno di esso;
b) al possibile contrasto del meccanismo con il principio di responsabilità personale dell’illecito amministrativo, sancito dall’art. 3, comma 1, della l. n. 689 del 1981, secondo cui «nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa»: una regola generale, comune in materia di sanzioni amministrative (art. 12 della stessa l. n. 689 del 1981), «da applicare in ogni ipotesi in cui si configuri tale tipo di sanzioni» (v., sul punto, Corte cost., 4 marzo 1999, n. 49, in tema di sanzioni irrogate a dirigenti responsabili di infrazioni nel settore creditizio);
c) alla circostanza che la sanzione amministrativa pecuniaria prevista a carico del solo dirigente sembra recidere il rapporto di immedesimazione organica tra la stazione appaltante e il dirigente, deresponsabilizzando, anche agli effetti contabili, la stazione appaltante, forse anche con profili che potrebbero essere considerati di dubbia compatibilità con l’art. 28 Cost.;
d) alla efficacia ‘in concreto’ del meccanismo, il quale non esclude che la stazione appaltante possa sottrarsi alla raccomandazione, restando inerte o confermando espressamente l’aggiudicazione ritenuta illegittima, preferendo andare incontro alle sanzioni suddette, ovvero impugnando la raccomandazione vincolante, e ciò anche in considerazione della incerta efficacia dissuasiva sia della sanzione pecuniaria (che appare di modesto importo, se rapportata ad appalti e concessioni di grande valore), sia della sanzione reputazionale, perché le misure premiali previste dall’art. 38 (e non dall’art. 36, come previsto dall’art. 211, comma 2, del codice, con un evidente refuso che si raccomanda al Governo di emendare in sede di correttivo) potrebbero apparire un vantaggio lontano, incerto e poco appetibile, per amministrazioni poco virtuose, rispetto al conseguimento di eventuali vantaggi illeciti immediati;
e) alla distonia tra il termine massimo per adempiere alla raccomandazione (fissato in 60 giorni) e quello per impugnarla (che è soltanto di 30 giorni, ai sensi del rinvio all’art. 120 c.p.a.), con la conseguenza che, trascorso tale secondo termine – ed eccettuate, ovviamente, le ipotesi di impugnative proposte da terzi o di richiesta di riesame – la raccomandazione si consoliderebbe definitivamente per la stazione appaltante, che negli ulteriori 30 giorni, indipendentemente dalle sue ragioni, non potrebbe dissentire dall’ANAC”.
Il meccanismo è tanto più perverso e punitivo nei confronti del dirigente, se si pensa ad un’altra disposizione, esistente anche nel precedente d.lgs 163/2006, ma che nel nuovo sistema e a causa dell’articolo 211, comma 2, diviene un paradosso giuridico. Ci si riferisce all’articolo 77, comma 4, del codice, a mente del quale “I commissari non devono aver svolto né possono svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta”.
A causa di tale norma, perché il dirigente possa far parte della commissione di gara (nel sotto soglia) non dovrebbe aver in alcun modo svolto alcuna funzione se non organizzativa, nell’ambito della procedura. Cioè, non dovrebbe redigere il capitolato, non dovrebbe se non limitarsi a firmare la determinazione a contrattare ed il bando, senza entrare mai nel merito operativo e tecnico. Ma, sono queste le funzioni di un dirigente? Ai sensi dell’articolo 107, comma 3, del d.lgs 267/2000 si può affermare con sicurezza che non sia così, perché il dirigente ha la responsabilità complessiva della procedura.
Ammettiamo, però, che l’articolo 77 del codice, nella lettura che per altro ne propone l’Anac, imponga al dirigente di nominare il Rup, sottoscrivere alla cieca gli atti e fare poco altro, ponendo che l’articolo 107, comma 3, del d.lgs 267/2000 sia da considerare abolito tacitamente. Tutto questo ammesso (ma non concesso), come può il dirigente, da un lato, non esercitare funzioni amministrative sulla gara, ma, dall’altro, essere responsabile del mancato adeguamento alle raccomandazioni dell’Anac di atti che non ha nemmeno personalmente potuto contribuire a formare?
Il codice dei contratti, come si nota, pretende davvero tutto ed il contrario di tutto. Fermo restando il ragionamento assolutamente esatto e condivisibilissimo del Consiglio di stato, secondo il quale è assurdo ed irragionevole che il dirigente, che agisce nella veste di organo, sia chiamato direttamente dall’Anac a pagare la sanzione come se agisse quale libero cittadino, anche a prescindere dalla sua solvibilità ed in violazione della previsione dell’articolo 28 della Costituzione.
Tra l’altro, visto che a pagare è il dirigente:
1)      chi presenta il ricorso avverso la raccomandazione dell’Anac? Il dirigente o l’ente?
2)      che accade se vi è contrasto, laddove il dirigente, pur di non incorrere nelle sanzioni personali (ancora non corporali, ma ci si sta lavorando, forse…) intenda adeguarsi alla raccomandazione, mentre gli organi di governo intendano ricorrere?
Insomma, è evidente che lo spirito inquisitorio del codice e dell’Anac parte dalla presunzione di colpevolezza di una figura parafulmine, forse allo scopo di evidenziare che un responsabile almeno amministrativamente del pur esistere, prescindendo totalmente dalla sacrosanta esigenza della verifica del dolo o della colpa dell’azione personale. Chi potrebbe escludere che il “corrotto” che abbia redatto gli atti in modo illegittimo sia il Rup, un istruttore, un organo politico e non il dirigente?
Chi ha redatto l’articolo 211, comma 2, ed il regolamento oggetto del parere del Consiglio di stato ha troppo in fretta dimenticato quanto accaduto nel comune di Lodi, dove è stato il sindaco a modificare direttamente il contenuto di un bando di gara: avrebbe dovuto pagare, per questo, sul piano amministrativo, il dirigente?



[1] Dal vocabolario Treccani online: “Figura retorica consistente nell’accostare nella medesima locuzione parole che esprimono concetti contrarî: lat. concordia discors, festina lente, strenua inertia; ital. una lucida pazzia, un silenzio eloquente, tacito tumulto, ghiaccio bollente”.

1 commento:

  1. Detto in altri termini, tenuto conto della copertura politica e mediatica dell'ANAC, pur legittima, siamo come ai tempi di Torquemada : anche se si è innocenti, nel senso che non si sono compiute illegittimità, conviene dichiarare di essere colpevoli per non essere condannato a pagare o ad affrontare processi di piazza e mediatici (immaginatevi nei piccoli e grandi comuni cosa comporta una "raccomandazione" non seguita, con le imprese, i faccendieri e i politicanti pronti a scaricare fango sulle persone meno inclini agli imbrogli e più corrette).

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