La concessione dei contributi
pubblici secondo il procedimento tratteggiato solo a larghe linee dall’articolo
12 della legge 241/1990 è correttamente inquadrata dalla giurisprudenza
maggioritaria come attività puramente gestionale.
Da questo punto di vista, la
sentenza del Tar Sicilia-Catania Sezione II, 17 giugno 2005, n. 1032 non è che
l’ultima e più chiara pronuncia in merito, il cui pregio consiste
nell’evidenziare due elementi fondamentali per la legittimità della concessione
dei contributi:
1)
la motivazione: le amministrazioni pubbliche non
possono limitarsi ad adottare i provvedimenti di concessione sulla semplice
base della valutazione della sussistenza o meno di requisiti il cui possesso
rende astrattamente possibile attribuire il beneficio economico al terzo. Una
motivazione che si limiti a rinvenire il possesso dei requisiti soggettivi del
richiedente, così come richiesti dai regolamenti, nonché la conformità
dell’oggetto dell’iniziativa sulla quale si concede il contributo ai fini e
criteri generali disposti negli statuti o regolamenti è monca. Infatti, tali
apprezzamenti nei normali procedimenti amministrativi sono utili sono per
determinare la sussistenza dei requisiti di ammissibilità al provvedimento
finale. Resta, tuttavia, del tutto indeterminato un aspetto fondamentale, se la
motivazione non è più approfondita: rimangono senza risposta le domande al
perché il contributo è assegnato al soggetto A e non ai soggetti B e C e,
ancora, perché il contributo è attribuito nella misura di 100, invece che di
1000 o di 50.
In fondo, le due domande sono espressione di un unico principio: l’imparzialità dell’azione amministrativa. Ogni terzo interessato ad un procedimento di assegnazione di contributi ha il diritto di sapere per quali ragioni concrete una certa iniziativa è stata presa in considerazione ed un’altra no, dal momento che ciascuna iniziativa ammessa tende ad “erodere” i limitati fondi pubblici che finanziano i contributi, sicchè ogni istanza concorre con tutte le altre e l’accoglimento di ciascuna di esse influisce negativamente sulle restanti.
E’, comunque, ovvio che un interesse rilevante a conoscere nel dettaglio le concrete ragioni che fondano l’assegnazione di un contributo è dell’intera comunità amministrata, posto che occorre anche verificare il perseguimento effettivo dell’interesse pubblico con l’erogazione della somma prevista;
In fondo, le due domande sono espressione di un unico principio: l’imparzialità dell’azione amministrativa. Ogni terzo interessato ad un procedimento di assegnazione di contributi ha il diritto di sapere per quali ragioni concrete una certa iniziativa è stata presa in considerazione ed un’altra no, dal momento che ciascuna iniziativa ammessa tende ad “erodere” i limitati fondi pubblici che finanziano i contributi, sicchè ogni istanza concorre con tutte le altre e l’accoglimento di ciascuna di esse influisce negativamente sulle restanti.
E’, comunque, ovvio che un interesse rilevante a conoscere nel dettaglio le concrete ragioni che fondano l’assegnazione di un contributo è dell’intera comunità amministrata, posto che occorre anche verificare il perseguimento effettivo dell’interesse pubblico con l’erogazione della somma prevista;
2)
la competenza: la concreta attribuzione del beneficio
economico spetta alla competenza giuridica non dell’organo di governo, bensì
della dirigenza. Infatti, l’assegnazione di benefici economici di terzi è
certamente configurabile come provvedimento concessorio, che, pertanto,
accresce la sfera giuridica del destinatario, il quale in assenza del
provvedimento concessorio non dispone in via originaria del diritto ad ottenere
il contributo. Come tale, allora, il provvedimento non può che essere il frutto
di un procedimento puramente amministrativo, di riscontro della sussistenza dei
requisiti di ammissibilità, della conformità dell’iniziativa ammessa a
contributo con i fini perseguiti dall’ente (a garanzia del perseguimento
dell’interesse pubblico), nonché di determinazione dell’importo della somma da
assegnare, sulla base di una serie di parametri predeterminati, in modo che
siano conoscibili a priori da qualunque terzo interessato gli elementi dell’an
e del quantum.
Sia la motivazione, sia la
competenza, come si nota, sono elementi fondamentali della legittimità del
provvedimento amministrativo. Infatti, la carenza di motivazione è un tipico
vizio di legittimità, per violazione dell’articolo 3, comma 1, della legge
241/1990, nonché del principio di buon andamento posto dall’articolo 97 della
Costituzione, che impone alle amministrazioni pubbliche di rendere sempre noti
ed evidenti i motivi della propria azione, che non è libera nei fini, ma
assoggettata all’obbligo di cogliere i fini e gli interessi pubblici che la
legge assegna alla propria cura. Il vizio di competenza è uno dei tre tipici
vizi di legittimità dei provvedimenti amministrativi, che discende sempre
dall’articolo 97 della Costituzione, il quale impone agli organi delle
amministrazioni pubblici di agire esclusivamente all’interno degli ambiti di
competenza predeterminati dalla legge o, se questa lo consente, dalle fonti secondarie,
sempre allo scopo di rendere edotto il destinatario finale dell’azione
amministrativa del soggetto agente, e, dunque, indirettamente, delle procedure,
dei rimedi e delle modalità operative previste caso per caso.
Negare che la concessione dei
contributi sia un’attività puramente amministrativa e gestionale o sostenere
che essa stia in una sorta di “zona grigia” del diritto, nell’ambito della
quale è difficile individuare il discrimine delle competenze, significa
confondere i tratti distintivi della funzione di governo, che si limita
all’indirizzo generale ed al successivo controllo, con quelli della gestione,
che si limita a tradurre in atti concreti gli indirizzi generali.
Non sono, per questa ragione,
condivisibili le posizioni dottrinali[1]
secondo le quali le competenze della giunta possano essere oggetto di
interpretazioni estensive, a parte i casi in cui disposizioni di legge,
direttamente o indirettamente, attribuiscono alla giunta la competenza
all’adozione di determinati atti considerati gestionali.
A ben vedere, il d.lgs 267/2000
attribuisce alla diretta competenza della giunta ben pochi atti di carattere
effettivamente gestionale, come ad esempio la deliberazione propedeutica
all’assegnazione dell’incarico di direttore generale e la revoca del segretario
comunale.
Gli altri “atti” attribuiti alla
giunta non hanno certamente le connotazioni dell’amministrazione attiva e
diretta. Non è possibile considerare atti amministrativi veri e propri
provvedimenti come:
a) l’adozione
del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi;
b) le
modifiche alla dotazione organica;
c) l’approvazione
dei progetti preliminari di opere pubbliche;
d) l’approvazione
della proposta del programma triennale delle opere pubbliche;
e) l’approvazione
della proposta di bilancio e dello schema di rendiconto;
f) l’assegnazione
del p.e.g. e le relative variazioni;
g) le
variazioni di bilancio d’urgenza;
h) Le
proposte di riequilibrio di bilancio;
i)
il prelevamento dal fondo di riserva;
j)
l’utilizzo di entrate a specifica destinazione e le
anticipazioni di tesoreria.
Gli atti di cui alle lettere a) e
b), infatti non sono sicuramente meri provvedimenti amministrativi, ma atti
normativi. Il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, del
quale la dotazione organica, con le relative modifiche è un allegato
obbligatorio, è un vero e proprio regolamento, norma generale ed astratta, che
la legge, in deroga alla generale competenza regolamentare del consiglio,
assegna alla giunta. La quale, dunque, esercita una competenza normativa di
carattere regolamentare e, dunque, non gestisce, ma emana indirizzi.
Gli atti di cui alle lettere c) e
d), attengono con ogni evidenza alla funzione di programmazione, propria
dell’organo di governo ed, in particolare, alla programmazione degli
investimenti, da cui discende la determinazione di una parte importantissima
del bilancio, nonché la fissazione di obiettivi gestionali, che si concretano
nelle procedure di gestione delle opere pubbliche.
Le restanti lettere riguardano
ancora una volta la complessiva attività di programmazione, che passa
necessariamente attraverso la determinazione delle risorse da mettere a
disposizione degli uffici, finalizzate al conseguimento di determinati
obiettivi, sicchè anche i prelievi dal fondo di riserva non sono meri atti
gestionali, ma esercizio di una funzione di indirizzo, che si abbina
all’assegnazione immediata e diretta di risorse aggiuntive, da mettere
nell’immediata disponibilità di chi è chiamato a conseguire quel certo
obiettivo.
In effetti, per non incorrere
nell’equivoco secondo il quale il confine tra funzione politica e funzione
gestionale è “mobile”, ridefinibile di volta in volta in relazione a
valutazioni di opportunità, basta riferirsi agli effetti propri della funzione
di programmazione, da un lato, e gestionale, dall’altro.
La programmazione politica
attiene alla funzione del “prevedere”: cioè fissare una disposizione generale,
che stabilisca le condizioni al ricorrere delle quali sia possibile svolgere
una certa attività, indicando, tra tali condizioni, una certa azione che deve
essere svolta dalla p.a. Prevedere è tipico della potestà legislativa e
regolamentare, in quanto è soprattutto con i provvedimenti generali ed astratti
che si costruisce una regola generale, alla quale debbono assoggettarsi tanto i
cittadini, quanto gli organi amministrativi stessi, quando gestiscono i
procedimenti attuativi delle previsioni.
Il “prevedere”, inoltre, può
esplicarsi anche mediante atti amministrativi di carattere, tuttavia,
programmatorio, non aventi, ovvero, ad oggetto concrete situazioni giuridiche,
ma la predeterminazione di risorse ed obiettivi, che vincolano l’attività
esecutiva, come appunto i bilanci di previsione, i programmi delle opere
pubbliche, i programmi di gestione del territorio.
La gestione attiene, invece, al
“provvedere”: cioè adottare una misura concreta (prevista dalla legge) adeguata
al caso concreto ed all’interesse pubblico. Il provvedere è tipico dell’azione
amministrativa, la quale sta al di sotto della funzione di previsione e traduce
in azione concreta le disposizioni generali fissate a livello normativo.
Ora, sia il legislatore, sia la
giurisprudenza sono ben consapevoli della profonda distinzione tra la funzione
di programmazione e controllo, propria degli organi di governo, e quella
gestionale, spettante alla dirigenza, proprio nella materia dei contributi.
Il legislatore è molto chiaro
quando all’articolo 4, comma 1, del d.lgs 165/2001, stabilisce:
“gli organi di governo
esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi
ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello
svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati
dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi
spettano, in particolare:
a) le decisioni in materia di
atti normativi e l'adozione dei relativi atti di indirizzo interpretativo ed
applicativo;
b) la definizione di
obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l'azione
amministrativa e per la gestione;
c) la individuazione delle
risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da destinare alle diverse
finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale
generale;
d) la definizione dei
criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi e di
determinazione di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di terzi;
e) le nomine, designazioni ed
atti analoghi ad essi attribuiti da specifiche disposizioni;
f) le richieste di pareri alle
autorità amministrative indipendenti ed al Consiglio di Stato;
g) gli altri atti indicati dal
presente decreto”.
La lettera d) della norma citata
non può che essere interpretata in un solo senso: gli organi di governo
intervengono nella materia degli ausili finanziari nei riguardi dei terzi (tra
i quali rientrano senz’altro anche i contributi) esclusivamente definendo i
criteri generali al ricorrere dei quali tali ausili possono essere concessi e
le modalità per determinare in concreti la misura degli interventi.
L’articolo 4, comma 1, lettera
d), del d.lgs 165/2001 altro non è, allora, che l’individuazione concreta del
genere di organi competenti a fissare gli indirizzi generali in materia di
contributi, in applicazione dell’articolo 12, comma 1, della legge 241/1990, a
mente del quale “la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed
ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a
persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione ed
alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste
dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni
stesse devono attenersi”.
Si nota come tale articolo 12 sia
formulato in modo da suddividere la disciplina dei contributi su due piani
distinti:
1)
al primo livello sta la predeterminazione dei criteri e
delle modalità alle quali le amministrazioni debbono attenersi per la
concessione dei benefici finanziari;
2)
al secondo livello, sta la materiale funzione di
attribuzione dei contributi.
Ora, il primo livello corrisponde
esattamente alla competenza degli organi di governo, come fissata dall’articolo
4, comma 1, lettera d), del d.lgs 165/2001, sicchè nel caso degli enti locali è
attraverso il regolamento di disciplina dei contributi che si può e si deve
esercitare la funzione di previsione dei criteri generali e delle modalità per
assegnare i benefici finanziari a terzi.
Così stando le cose, poiché negli
enti locali si applica il principio di separazione delle funzioni di governo da
quelle gestionali, gli organi di governo non possono estendere la propria
competenza anche al secondo livello, il quale, pertanto, è appannaggio
necessariamente della dirigenza, la quale ha il dovere e la competenza di
provvedere concretamente ad assegnare i contributi, nel rispetto delle
previsioni e delle modalità operative fissate a livello regolamentare.
Ciò è indirettamente confermato
dall’articolo 12, comma 2, della legge 241/1990 ai sensi del quale “l'effettiva
osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai
singoli provvvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1”.
Tale norma si riferisce in maniera implicita ma molto evidente ad una concreta
attività di assegnazione dei contributi, da esplicare mediante “provvedimenti”,
i quali non possono che essere di competenza dirigenziale, proprio perché
debbono essere adottati nell’osservanza di superiori criteri che ne vincolano
il contenuto, esattamente come prevede il comma 2 dell’articolo 4 del d.lgs
165/2001, secondo il quale “ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e
provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano
l'amministrazione verso l'esterno”. Il provvedimento di concessione dei
contributi, dunque, in quanto provvedimento amministrativo che impegna
certamente verso l’esterno l’amministrazione, non può che essere di competenza
dirigenziale, senza alcuna possibilità di equivoco.
Ciò nonostante, come il Tar
Sicilia-Catania non ha mancato di osservare, presso le amministrazioni
pubbliche prevale una diversa tesi, secondo la quale a guidare la ripartizione
delle competenze degli organi nella gestione dei contributi non è la qualità di
programmazione, piuttosto che di gestione, del provvedimento, ma la sua
connotazione più o meno evidentemente “politica”, con un’accezione dell’aggettivo
“politica” fortemente diversa da quella che delle “funzioni di governo” dà il
legislatore.
Per funzione “politica” le
amministrazioni intendono attività caratterizzate:
1)
da forti elementi di discrezionalità, tali da
avvicinare la scelta dell’organo di governo a quella libertà nei fini che è
propria del legislatore o, comunque, degli organi politici dotati di maggiore
spazi di autonomia, quali in particolare il Parlamento ed il Governo,
quest’ultimo nella sua funzione di detentore del potere di indirizzo politico;
2)
da immediati e diretti riscontri in termini di consenso
elettorale, sicchè gli organi politici hanno tutt’oggi la tendenza a
considerare politico anche ciò che è, in realtà, gestionale, laddove ad un
singolo provvedimento possa corrispondere una (ovviamente presumibile) maggiore
possibilità di ottenere voti dal beneficiario del provvedimento.
Ragionando su questa logica, le
amministrazioni hanno di fatto violato sistematicamente il sistema legislativo
di disciplina dei contributi, rinunciando ad esplicare la funzione di
previsione e programmazione generale, mediante l’adozione di regolamenti di
disciplina dei contributi.
Occorre, a questo punto,
precisare che le amministrazioni locali si sono, in effetti, tutte dotate di
formali regolamenti di disciplina dei contributi. Ma, a ben guardare, quando se
ne verifica il contenuto, si nota che tali regolamenti, se completi, al massimo
descrivono con precisione le procedure e le condizioni di ammissibilità per
accedere ai contributi. Spessissimo, anche attraverso intrecci e richiami con
le norme statutarie, attribuiscono direttamente o implicitamente la competenza
all’adozione del provvedimento di concessione alla giunta, insistendo in
particolare sulla discrezionalità del provvedimento stesso; quasi tutti non
contengono quegli indicatori di valutazioni utili a determinare in modo
oggettivo l’ammontare del contributo da concedere, di modo che la motivazione
sia completa e si evitino quelle crasi logiche[2] tra i
presupposti per la concessione e la concreta quantificazione del beneficio che
nei casi esaminati dalla giurisprudenza determinano sempre la statuizione di
illegittimità del provvedimento.
Occorre sottolineare che nella
grande maggioranza dei casi le amministrazioni locali hanno avuto buon gioco
nell’impostare la disciplina dei contributi sia in modo da assegnare la
competenza alla giunta, sia con l’obiettivo di non restringere, ma semmai,
allargare i margini per scelte assolutamente non coerenti tra presupposto e
quantificazione del contributo stesso, vista la poca propensione da parte degli
interessati alle procedure di assegnazione dei contributi a ricorrere in
giudizio.
Tuttavia, nei rari casi in cui la
magistratura amministrativa è stata coinvolta in vertenze concernenti le
modalità di assegnazione dei contributi, l’atteggiamento del giudice è unanime.
Il Tar Puglia-Lece, Sezione II,
con sentenza 2 febbraio 2002, n.
572 ha ritenuto, ad esempio, illegittima la delibera di una giunta
comunale per l’assegnazione di contributi e sovvenzioni in assenza di
formulazione di alcun criterio che potesse incidere sulla discrezionalità
dell'amministrazione, guidandola nell'individuazione dei soggetti destinatari
delle sovvenzioni, ed in assenza di qualsiasi indicazione di come i criteri,
desunti da indicazioni generiche, siano stati in concreto applicati, in
violazione dell'articolo 12 della legge 241/1990.
Nel caso concretamente esaminato,
il Tar Puglia ha sottolineato che il comune interessato non aveva formulato
mediante il regolamento regole operative che consentissero di limitare la
discrezionalità nella scelta del soggetto al quale assegnare il contributo,
mediante il regolamento. In conseguenza di ciò, i singoli provvedimenti di assegnazione
delle sovvenzioni sono risultati carenti nella motivazione, in quanto non hanno
potuto esplicitare l’iter logico-tecnico in base al quale le eccessivamente
generiche indicazioni regolamentari sono state applicate, rilevando
l’illegittimità complessiva del procedimento, caratterizzato così non da
discrezionalità, ma da vero e proprio arbitrio.
A ben vedere, dei due elementi
critici, la motivazione e la competenza, quello che maggiormente incide in
senso negativo sui principi generali dell’azione amministrativa è proprio
l’assenza o l’eccessiva genericità di criteri destinati a prefissare i criteri
in base ai quali quanto meno selezionare le iniziative da ammettere a
contributo e a determinarne il valore.
Infatti, secondo l’Adunanza
generale del Consiglio di stato 28 settembre 1995, n. 95, l'erogazione di
ausili finanziari, in sede di concessione di ausili finanziari o attribuzione
di vantaggi a persone od enti pubblici e privati, la predeterminazione dei
criteri e delle modalità ad essi correlati (nonché il loro rispetto) da parte
delle amministrazioni è rivolta alla trasparenza dell'azione amministrativa e
si atteggia a principio generale in forza del quale l'attività di erogazione
dell'amministrazione deve in ogni caso rispondere a referenti oggettivi, e
quindi definiti precedentemente al singolo provvedimento, nonché pubblici.
Dunque, la mancanza o la
genericità dei criteri di assegnazione dei contributi è un vulnus non
solo ai diretti interessati a procedure di contribuzione, ma anche agli stessi
principi di corretta gestione del patrimonio pubblico e, pertanto, possibile
fonte di responsabilità anche erariale. Infatti, secondo il Consiglio di stato,
Sezione IV, 19 luglio 1993, n. 727, anche il denaro costituisce un bene e, di
conseguenza, il provvedimento di erogazione ha sicura natura di concessione,
mediante il quale l'amministrazione trasferisce risorse di denaro dal proprio
patrimonio a quello dei privati, sicchè occorre rispettare tutte le regole di
trasparenza e rispetto del principio di buon andamento imposti dalla
Costituzione, prima ancora che dalle leggi.
E’ per questa ragione che il Tar
Lombardia-Brescia, con sentenza 28 dicembre 2000, n. 1077 ha ritenuto
illegittima una deliberazione di giunta comunale che non ha potuto dimostrare
l'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di erogazione dei
contributi, come stabilito dall’articolo 12 della legge 241/1990, sottolineando
tanto la predeterminazione dei criterii e delle modalità ad essi correlate,
quanto la dimostrazione del loro rispetto da parte delle singole
amministrazioni in sede di concessione dei benefici, sono rivolte ad assicurare
la trasparenza dell'azione amministrativa e si atteggiano a principio generale,
in forza del quale l'attività di erogazione della Pubblica Amministrazione deve
in ogni caso rispondere a referenti oggettivi (e quindi definiti prima
dell'adozione di ogni singolo provvedimento), nonché pubblici.
Nel caso di specie, l'attribuzione
effettuata dalla giunta comunale di Curno in quanto priva di qualsiasi
riferimento ai vigenti criteri regolanti l'attività di erogazione di quella
amministrazione comunale e, conseguentemente, di qualsivoglia motivazione che
consentisse di ricostruire le valutazioni comparative svolte tra le varie
richieste appare illegittima, anche per violazione dei principi di buon
andamento ed imparzialità.
Dunque, al di là delle corrette
indicazioni contenute nella sentenza del Tar Sicilia-Catania in merito alla
competenza all’assegnazione concreta dei contributi, la predeterminazione
chiara ed esaustiva dei criteri per la loro concessione appare un prius
irrinunciabile.
Il legislatore, limitandosi con
l’articolo 12 della legge 241/1990, ad indicare solo i profili generali della
disciplina dei contributi, ha lasciato in particolare alle amministrazioni
locali amplissimi spazi per interventi regolamentari che completassero il
dettato normativo, nella piena esplicazione dell’autonomia normativa di ciascun
ente. E’ realmente singolare che gli enti locali rivendichino, giustamente,
sempre maggiori spazi d’azione per la propria autonomia normativa, ma rinuncino
ad esercitarla in modo adeguato proprio in una materia come quella dei
contributi, nella quale il legislatore ha proprio operato in modo da garantire
un’effettiva corretta esplicazione di tale autonomia.
Una specificazione regolamentare
completa, chiara delle modalità operative da utilizzare per determinare chi
ammettere a benefici finanziari e, inoltre, per stabilire quanto concretamente
assegnare, rende l’azione amministrativa pienamente rispondente ai principi di
trasparenza, imparzialità e buon andamento. E non significa rinunciare
all’esercizio della discrezionalità politico-amministrativa. Esattamente al contrario,
è proprio agendo mediante regolamenti che gli organi di governo esplicano la
propria competenza a “prevedere”, limitando e vincolando l’azione gestionale
dei dirigenti, chiamati solo a determinare in modo automatico, come avviene
nelle procedure di appalto, i destinatari dei contributi ed il loro ammontare.
Per altro, come spiega il Tar
Sicilia-Catania, poiché gli ampli margini di discrezionalità che stanno alla
base della materia debbono appunto esplicarsi mediante i regolamenti, le
amministrazioni locali sono chiamate ad un’opera di aggiornamento continuo
delle regole generali a presidio della disciplina dei contributi, anche perché
le modalità gestionali e le eventuali “griglie” di punteggi per valutare la
rilevanza oggettiva e soggettiva del richiedente, sono talmente tali e tante e
suscettibili di continui perfezionamenti, che l’operato regolamentare necessita
di per sé di continui aggiustamenti. Ma è così che gli organi di governo
possono concretamente esercitare il proprio potere di indirizzo. In particolare
il consiglio in tal modo otterrebbe una reale forte valorizzazione del proprio
ruolo, che invece, ammettendo la competenza della giunta sulla base di criteri
discrezionali al limite dell’arbitrarietà, viene del tutto pretermessa.
Dunque, i margini di discrezionalità che pur
esistono nell’attribuzione dei contributi, debbono essere esercitati dalle
amministrazioni locali mediante il regolamento di disciplina della concessione
dei contributi, mediante il quale si può e deve stabilire a monte i criteri in
base ai quali non solo le domande possono essere, o meno, accolte, ma si
determini anche l’importo del contributo. In mancanza, i provvedimenti possono
essere considerati affetti dal vizio di eccesso di potere, per carenza di
motivazione ed illogicità della scelta, come sostanzialmente deciso nel caso
esaminato dai giudici.
Un sistema di assegnazione dei contributi in
base alla predeterminazione di una griglia valutativa, da cui deriva
l’assegnazione di un punteggio ad ogni istanza presentata, che corrisponde,
poi, ad una specifica fascia dell’ammontare del contributo assegnato o ad una
percentuale del fondo complessivo a disposizione, può essere un efficace
sistema per gestire operativamente in modo trasparente i contributi.
Attraverso semplici fogli di calcolo, sarebbe
in tal modo possibile gestire la procedura pubblica di assegnazione dei
contributi rendendo evidente a tutti una “graduatoria” delle domande, basata
evidentemente sulla ponderazione dei punteggi, previsti dal regolamento.
Questo sistema riconnette automaticamente le
motivazioni della concessione e della determinazione dell’importo ad
indicazioni discrezionali effettuate a monte, col regolamento: ciò permette di
scongiurare ogni possibile vizio da eccesso di potere, a prescindere da quale
sia l’organo che materialmente adotta il provvedimento di concessione, Giunta o
dirigente.
Le linee generali, allora, che potrebbero
essere seguite nell’ambito di un regolamento di disciplina dei contributi
realmente conforme alla disciplina normativa potrebbero essere le seguenti:
a)
avviso pubblico che porta all’attenzione dei
richiedenti l’apertura dei termini procedimentali per l’istruttoria relativa
alle istanze di contributo; per l’erogazione dei contributi, spiega il Tar
Sicilia-Catania e la dottrina, è necessario gestire una vera e propria
procedura ad evidenza pubblica, con margini di discrezionalità certo più ampli
di quella di un vera e propria procedura di gara, ma caratterizzata dalla
preventiva conoscibilità dei criteri di ammissione, dei fini pubblici da
perseguire e dei sistemi matematici di assegnazione dei punteggi, analogamente
a quanto avviente nell’ambito delle procedure di gara mediante offerta
economicamente più vantaggiosa;
b)
predeterminazione ed indicazione delle risorse
complessivamente destinate ai contributi; poiché l’erogazione di contributi
è attività che si dipana sui due piani della programmazione e della gestione e,
ancora, poiché nell’ambito della programmazione è possibile per il consiglio
fissare obiettivi concreti da raggiungere, anche nella gestione dei contributi
appare opportuno non solo prefissare nel bilancio l’ammontare complessivo delle
risorse, ovviamente ripartito per funzioni ed interventi; sembra, anche,
opportuno pubblicizzare adeguatamente l’ammontare complessivo di tali risorse,
anche perché una delle più frequenti cause di esclusione dall’attribuzione di
un contributo può essere proprio la carenza dei fondi, una volta che si sia
scorsa la graduatoria. E’ chiaro, allora, che questa deve tenere conto di punteggi
“minimi”, al di sotto dei quali nessuna iniziativa, anche se “eleggibile”, cioè
astrattamente accoglibile, possa essere in concreto finanziabile;
c)
predeterminazione ed indicazione delle risorse
destinate a trasferimenti ad enti; sarebbe opportuno scindere le risorse in
due tronconi: quelli destinati a contributi e sovvenzioni veri e propri per
soggetti pubblici e privati, da risorse che si trasferiscono ad enti pubblici
in base ad accordi di programmi o finanziamenti a destinazione vincolata,
provenienti da Ue, Stato o regione;
d)
definizione dei contributi ordinari intesi come
quelli riferiti ad una programmazione annua delle attività sulle quali i
soggetti interessati richiedono il contributo; sovente, le amministrazioni
differenziano i contributi “ordinari” da quelli “straordinari”. In effetti,
tale distinzione cozza col principio della programmazione che qui si sostiene.
In particolare, nemmeno i contributi “straordinari” possono sfuggire alla
predeterminazione di criteri di valutazione chiari ed esaustivi. E’, tuttavia,
possibile una differenziazione tipologica, che identifichi nei contributi
ordinari quelli che le amministrazioni locali assegnano sulla base di una
pianificazione annuale delle attività dei soggetti richiedenti, il che dovrebbe
indirettamente indurre i possibili destinatari a migliorare a loro volta le
proprie capacità di programmazione e rendicontazione;
e)
definizione dei contributi straordinari intesi come
quelli riferiti ad iniziative non rientranti nei programmi annuali e/o in
presenza di particolari condizioni di ammissibilità; simmetricamente, i
contributi straordinari sono quelli presentati al di fuori di una
programmazione annua. Di per sé, allora, i contributi straordinari si prestano
ad essere inseriti nella “graduatoria” solo laddove siano ancora disponibili le
risorse per i contributi ordinari, che dovrebbero avere ovviamente priorità
nella concessione. A meno che non si scelga comunque di dividere i fondi in
fondi per contributi “ordinari” e fondi per contributi “straordinari”, rifacendosi
ai trend di spesa a tali titoli nel corso del precedente triennio;
f)
fissazione del termine per emanare il provvedimento
di concessione o diniego dei contributi ordinari in un congruo lasso di tempo
decorrente dalla scadenza del termine per la presentazione delle domande;
ai sensi dell’articolo 2 della legge 241/1990, tutti i procedimenti
amministrativi, sia ad istanza di parte, sia avviati d’ufficio, debbono essere
conclusi mediante l’adozione di un provvedimento espresso. La costruzione di
una griglia di valutazione e di una graduatoria, semplifica di molto anche
l’adozione e motivazione dei provvedimenti di diniego, ai quali i richiedenti i
contributi hanno diritto. E’, allora, necessario valutare con la dovuta
accuratezza i tempi di gestione dell’istruttoria e della composizione delle
graduatorie, per garantire a tutti i richiedenti il diritto ad ottenere in
tempi certi un provvedimento conclusivo del procedimento;
g)
previsione che i contributi ordinari possano essere
concessi anche dopo la realizzazione dell'iniziativa, fermo restando l'obbligo
della presentazione della relazione sull’iniziativa e della rendicontazione;
secondo le Sezioni Unite della Cassazione, sentenza 20 maggio 2003, n. 7893,
rispondente ad un orientamento pacifico, in tema di obbligazioni a carico della
p.a. fatte valere da soggetti privati con pretese dirette ad ottenere da essa
contributi o sovvenzioni, l'amministrazione, fino a quando non emana il
provvedimento che la renda debitrice, non è titolare di un debito, correlato ad
un credito azionabile in sede giudiziaria, ma è titolare di un potere, in
quanto tale incidente su un interesse legittimo. Pertanto, è possibile per le
amministrazioni concedere il contributo anche una volta che l’iniziativa
oggetto dell’istanza sia già stata assegnata. Tuttavia, dal momento che i
regolamenti spesso pongono a carico del concessionario dei contributi
particolari obblighi, tra i quali quello di evidenziare il sostegno economico
ottenuto, è opportuno che il regolamento traduca in precetto normativo concreto
la tesi espressa dalla giurisprudenza, stabilendo anche quali conseguenze sulla
materiale erogazione derivino dal fatto che la richiesta sia presentata quando
l’iniziativa sia già stata realizzata o, comunque, in tempi incompatibili con
la preventiva conclusione del procedimento;
h)
previsione che il provvedimento di concessione di
contributi straordinari sia emanato entro il termine di non oltre 90 giorni
dall’acquisizione dell’istanza al protocollo generale; i contributi
straordinari, in quanto tali, non possono essere oggetto di una previsione
generale. Pertanto, essi debbono essere inseriti nella graduatoria dei
contributi, o anche in un’apposita e diversa graduatoria dei contributi
straordinari qualora si gestisca un fondo apposito, man mano che pervengono. In
questo caso i tempi di gestione della pratica debbono essere più solleciti ed
il termine di 90 giorni appare realmente il massimo tollerabile;
i)
specificazione nel regolamento che al procedimento
per la concessione dei contributi non si applica il silenzio assenso; per
quanto i contributi siano concessi su istanza di parte, a ben vedere il
procedimento deve essere inquadrato più propriamente come avviato d’ufficio.
Infatti, la concessione del contributo è un potere unilaterale dell’amministrazione,
rispetto al quale la posizione del privato è di solo interesse legittimo (alla
regolarità della procedura), finchè esso non sia concretamente erogato. Da
questo punto di vista, la procedura è molto simile a quella di una gara
pubblica. La differenza sostanziale, tuttavia, sta in questo: mentre la gara
pubblica è propedeutica alla conclusione di un contratto, la concessione del
contributo, in quanto vera e propria concessione amministrativa, è e rimane
provvedimento unilaterale. Non si è in presenza, in altre parole, di un
contratto di donazione. Pertanto, l’istanza di contributo, a differenza
dell’offerta in sede di gara, non può essere considerata come “proposta
contrattuale” e, dunque, come domanda, ma piuttosto come “candidatura” ad
essere riconosciuti meritevoli di un’erogazione che d’ufficio l’amministrazione
procedente intende effettuare, al ricorrere di determinati presupposti. La
specifica esclusione delle procedure di contributo dalla formazione del
silenzio assenso è ammissibile ai sensi dell’articolo 20, comma 4, della legge
241/1990, laddove si pone il principio generale che all’autonomia normativa
degli enti è rimessa la possibilità di terminare i casi nei quali la disciplina
del silenzio assenso non si applica. E’ ovviamente opportuno disporre
espressamente l’inapplicabilità del silenzio assenso alla materia dei
contributi, perché se così non fosse, si sovvertirebbe il principio sostenuto
dalla giurisprudenza maggioritaria, secondo il quale l’obbligazione
pubblicistica si forma solo una volta che il provvedimento di concessione del
contributo sia stato adottato. Per quanto coloro che presentano istanza di
contributo abbiano diritto ad ottenere un provvedimento espresso, non pare
opportuno riconnettere all’inerzia dell’amministrazione l’effetto
dell’accettazione implicita dell’istanza, mediante il silenzio assenso.
Infatti, ciò risulterebbe incoerente con un sistema di predeterminazione di
concreti criteri di valutazione dell’ammissibilità dell’istanza e di
determinazione dell’importo del contributo, visto che il provvedimento tacito
di per sé non potrebbe essere inserito all’interno di una griglia di
valutazione. Inoltre, l’articolo 10-bis della legge 241/1990, che per effetto
del combinato disposto degli articoli 20, comma 5, e 2, comma 4, della medesima
legge, si applica alle procedure ad istanza di parte, comunque non è
applicabile “alle procedure concorsuali”. Ora, come stabilisce la
giurisprudenza maggioritaria, i procedimenti per l’erogazione di contributi
debbono essere trattati alla stregua di vere e proprie procedure di evidenza
pubblica, sicchè possono certamente rientrare nell’ambito delle “procedure
concorsuali”, rispetto alle quali non opera l’obbligo del preavviso di
provvedimento negativo, di cui all’articolo 10-bis della legge 241/1990: ma,
l’inapplicabilità di tale articolo è forte indice anche dell’inapplicabilità
del principio del silenzio assenso, di per sé incompatibile con procedimento
strutturati, nell’ambito dei quali è necessaria l’adozione di un provvedimento
esplicito dell’amministrazione.
j)
previsione di un termine di decadenza per la
liquidazione del contributo, trascorso il termine di 2 anni, senza che
l’interessato abbia presentato la documentazione completa necessaria ai fini
della liquidazione; il richiedente deve essere protagonista attivo della
procedura, sicchè la sua inerzia nella presentazione della documentazione a
consuntivo è qualificabile come inadempimento a prescrizioni operative, dal
quale può derivare la decadenza dalla concessione;
k)
determinazione analitica dei casi di esclusione
delle domande di contributo a qualsiasi settore di attività esse si
riferiscano, come ad esempio spese di rappresentanza (viaggi, pranzi, cene),
spese connesse alla gestione ordinaria dei soggetti richiedenti; è
opportuno che il regolamento stabilisca con chiarezza a monte le iniziative non
corrispondenti ad un interesse pubblico di nessuna natura e, come tali, non
meritevoli di sostegni finanziari;
l)
assegnazione dei contributi ordinari in base ad una
graduatoria frutto di una predeterminazione di una griglia valutativa, da cui
deriva l’assegnazione di un punteggio ad ogni istanza presentata, che
corrisponde, poi, ad un importo, nel limite comunque di una certa percentuale
dello scoperto preventivato; il contributo è un sostegno economico: come
tale non può e non deve essere una voce determinante e prevalente dell’attività
del richiedente, ma un sostegno che lo incentivi nella sua attività
riconosciuta di interesse pubblico, non la fonte principale di entrate.
*****
Differenze tra
contributi, servizi e sponsorizzazioni
Lombardia/226/2013/PAR
REPUBBLICA
ITALIANA
LA
CORTE
DEI CONTI
IN
SEZIONE
REGIONALE DI CONTROLLO PER LA
LOMBARDIA
composta dai magistrati:
dott. Nicola Mastropasqua Presidente
dott. Giuseppe Zola Consigliere
(relatore)
dott. Gianluca Braghò Primo
Referendario
dott. Alessandro Napoli Referendario
dott.ssa Laura de Rentiis Referendario
dott. Donato Centrone Referendario
dott. Francesco Sucameli Referendario
dott. Cristiano Baldi Referendario
dott. Andrea Luberti Referendario
nell’adunanza in camera di consiglio del 21 maggio 2013
Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato
con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;
Vista la legge 21 marzo 1953, n. 161;
Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20;
Vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti
n. 14/2000 del 16 giugno 2000, che ha approvato il regolamento per
l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, modificata
con le deliberazioni delle Sezioni riunite n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17
dicembre 2004;
Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il
Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali;
Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131;
Vista la nota prot. 7297 del 18/4/2013, con la quale il Sindaco
del Comune di Colico (LC) ha richiesto un parere in materia di contabilità
pubblica;
Vista la deliberazione n. 1/pareri/2004 del 3 novembre 2004 con la
quale la Sezione
ha stabilito i criteri sul procedimento e sulla formulazione dei pareri
previsti dall’art. 7, comma 8, della legge n. 131/2003;
Vista l’ordinanza con la quale il Presidente ha convocato la Sezione per l’adunanza
odierna per deliberare sulla richiesta del Sindaco di Predore (BG);
Udito il relatore Cons. Giuseppe Zola;
FATTO
Il Comune di Colico (LC), con nota prot. 7297 del 18/4/2013 chiede
quale sia l’interpretazione da attribuire all’ art. 4 comma 6 del D.L. n.
95/2012 convertito in legge n. 135/2012 in relazione all’art. 6 comma 9 del
D.L. n. 7/2010 convertito in legge n. 122/2010.
In particolare il Comune chiede :
1.
cosa si debba intendere per “fine istituzionale”;
2.
quando un servizio “possa essere riferito direttamente
all’utenza e quando possa essere riferito direttamente al Comune”;
3.
le conseguenze relative al regime IVA a seconda che si
tratti di “contributo” o di “corrispettivo”.
AMMISSIBILITA’
SOGGETTIVA
La
richiesta di parere di cui sopra è intesa ad avvalersi della facoltà prevista
dalla norma contenuta nell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131,
la quale dispone che le Regioni, i Comuni, le Province e le Città metropolitane
possono chiedere alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti
“pareri in materia di contabilità pubblica”.
La
funzione consultiva delle Sezioni regionali è inserita nel quadro delle
competenze che la legge 131/2003, recante adeguamento dell’ordinamento della
Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha attribuito alla
Corte dei conti.
La
Sezione, preliminarmente, è chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità della
richiesta, con riferimento ai parametri derivanti dalla natura della funzione
consultiva prevista dalla normazione sopra indicata.
Con
particolare riguardo all’individuazione dell’organo legittimato a inoltrare le
richieste di parere dei Comuni, si osserva che il sindaco del comune è l’organo
istituzionalmente legittimato a richiedere il parere in quanto riveste il ruolo
di rappresentante dell’ente ai sensi dell’art. 50 T.U.E.L.
Pertanto,
la richiesta di parere è ammissibile soggettivamente poiché proviene
dall’organo legittimato a proporla.
AMMISSIBILITA’ OGGETTIVA
Con
riferimento alla verifica del profilo oggettivo di ammissibilità del quesito,
occorre rilevare che la disposizione contenuta nell’art. 7, comma 8, della
legge 131/2003 deve essere raccordata con il precedente comma 7, norma che
attribuisce alla Corte dei conti la funzione di verificare il rispetto degli
equilibri di bilancio, il perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali
e regionali di principio e di programma, la sana gestione finanziaria degli
enti locali.
Lo
svolgimento delle funzioni è qualificato dallo stesso legislatore come una
forma di controllo collaborativo.
Il
raccordo tra le due disposizioni opera nel senso che il comma 8 prevede forme
di collaborazione ulteriori rispetto a quelle del precedente comma rese
esplicite in particolare con l’attribuzione agli enti della facoltà di chiedere
pareri in materia di contabilità pubblica.
Appare
conseguentemente chiaro che le Sezioni regionali della Corte dei conti non
svolgono una funzione consultiva a carattere generale in favore degli enti
locali, ma che anzi le attribuzioni consultive si connotano sulle funzioni
sostanziali di controllo collaborativo ad esse conferite dalla legislazione
positiva.
Al
riguardo, le Sezioni riunite della Corte dei conti, intervenendo con una
pronuncia in sede di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art.
17, comma 31 del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, hanno delineato una nozione
unitaria di contabilità pubblica incentrata sul “sistema di principi e di norme
che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti
pubblici” da intendersi in senso dinamico anche in relazione alle materie che
incidono sulla gestione del bilancio e sui suoi equilibri (Delibera n. 54, in
data 17 novembre 2010).
Il
limite della funzione consultiva come sopra delineato fa escludere qualsiasi
possibilità di intervento della Corte dei conti nella concreta attività
gestionale ed amministrativa che ricade nella esclusiva competenza
dell’autorità che la svolge o che la funzione consultiva possa interferire in
concreto con competenze di altri organi giurisdizionali.
Dalle
sopraesposte considerazioni consegue che la nozione di contabilità pubblica va
conformandosi all’evolversi dell’ordinamento, seguendo anche i nuovi principi
di organizzazione dell’amministrazione, con effetti differenziati, per quanto
riguarda le funzioni della Corte dei conti, secondo l’ambito di attività.
Con
specifico riferimento alla richiesta oggetto della presente pronuncia, la
Sezione osserva che la stessa risulta oggettivamente ammissibile (in relazione
ai primi due quesiti), in quanto riguardante l’interpretazione di norme
finanziarie in materia di pubblica amministrazione locale, mentre risulta
oggettivamente inammissibile il terzo quesito stante la natura prettamente
tributaria dello stesso.
MERITO
Per fare chiarezza circa il complesso
quesito posto dal Comune di Colico, riportiamo, in primis, quanto prescritto dalle norme in questione.
Il comma 6 dell’art. 4 del D.L. n.
95/2012, stabilisce che:
“A decorrere dal 1° gennaio 2013, le pubbliche
amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165
del 2001 possono acquisire a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo, anche in
base a convenzioni, da enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42
del codice civile esclusivamente in base a procedure previste dalla normativa nazionale
in conformità con la disciplina comunitaria. Gli enti di diritto privato di cui
agli articoli da 13 a 42 del codice civile, che forniscono servizi a favore
dell'amministrazione stessa, anche a titolo gratuito, non possono ricevere
contributi a carico delle finanze pubbliche. Sono escluse le fondazioni
istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e l'alta
formazione tecnologica e gli enti e le associazioni operanti nel campo dei
servizi socio-assistenziali e dei beni ed attività culturali, dell'istruzione e
della formazione, le associazioni di promozione sociale di cui alla legge 7
dicembre 2000, n. 383, gli enti di volontariato di cui alla legge 11 agosto
1991, n. 266, le organizzazioni non governative di cui alla legge 26 febbraio 1987,
n. 49, le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, le
associazioni sportive dilettantistiche di cui all'articolo 90 della legge 27
dicembre 2002, n. 289, nonché le associazioni rappresentative, di coordinamento
o di supporto degli enti territoriali e locali”.
Il comma 9 dell’art. 6 della legge n.
122/2010 stabilisce che:
“A decorrere dall'anno 2011 le
amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della
pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di
statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre
2009, n. 196, incluse le autorita' indipendenti, non possono effettuare spese
per sponsorizzazioni.”
Da una considerazione coordinata di
queste due norme, si possono trarre alcune specifiche conclusioni.
- Vige un divieto assoluto di sponsorizzazioni da parte dei comuni, i quali “ non possono
effettuare spese per sponsorizzazioni”.
Queste
ultime non sono da confondere con i “contributi”. Per “sponsorizzazione” si deve intendere la spesa
effettuata per “ le finalità di segnalare ai cittadini la presenza del comune,
così da promuoverne l’immagine (vedasi il parere n. 89/2013 di questa Sezione).
Per “contributi” si
intendono gli esborsi effettuati dai comuni a favore di enti che, sotto vari
titoli, svolgono una attività ritenuta utile alla comunità dei cittadini.
- I Comuni possono affidare a titolo oneroso ( e sulla base del
principio di sussidiarietà) ad enti di diritto privato la gestione di
servizi di qualsiasi tipo.
In questi casi i Comuni dovranno
sostenere una spesa che permetta l’esercizio di tali servizi, sulla base,
generalmente, di una convenzione.
In
tali fattispecie, è fatto divieto ai Comuni di deliberare “contributi” a
favore di tali enti , in quanto, questi, evidentemente, sono già retribuiti
sulla base della convenzione con essi stipulata.
Il comma 4, peraltro, prevede una
serie cospicua di eccezioni a tale principio.
- I Comuni, sulla base della loro autonoma discrezionalità e
secondo i principi della sana e corretta amministrazione, possono deliberare
contributi a favore di enti che, pur non essendo affidatari di servizi, svolgono
una attività che viene ritenuta utile per i propri cittadini.
Queste precisazioni rispondono, si
ritiene, all’esigenza di chiarezza espressa dal Comune interpellante e permette
una lettura inequivoca ed autentica del parere (già citato) n. 89/2013 di
questa Sezione, che ha affrontato esaurientemente la questione relativa
all’interpretazione del comma 6 dell’art. 4 della legge n. 135/2012.
In tale parere si legge che “restano,
ancora, consentite le spese per iniziative organizzate dalle Amministrazioni
pubbliche, sia in forma diretta che indiretta, purché per il tramite di
soggetti istituzionalmente preposti allo svolgimento di attività di
valorizzazione del territorio. Nelle determinazioni che in tal caso gli enti
dovranno assumere dovrà, perciò, risultare, nell’impianto motivazionale, il
fine pubblico perseguito e la rispondenza delle modalità in concreto adottate
al raggiungimento della finalità sociale”.
Ed inoltre si legge che “In ogni
caso, la sussumibilità di specifiche forme associative nell’alveo della norma
(in termini di divieto o di deroga) non è possibile - nella presente sede
consultiva - in termini generali: è necessaria una valutazione della singola
fattispecie e dei relativi puntuali contorni (con particolare riferimento al
contenuto delle convenzioni tra l’ente locale e l’associazione), al fine di
vagliare l’applicabilità dell’art. 4 comma 6 del d.l. n. 95/2012”.
Nello svolgimento della propria
autonoma e discrezionale attività, il Comune potrà fare riferimento all’art.
119 della Costituzione e agli articli 13 e 14 del TUEL.
P.Q.M.
nelle
considerazioni esposte è il parere della Sezione.
Il
Relatore Il
Presidente
(Cons.
Giuseppe Zola)
(Dott. Nicola Mastropasqua)
Depositata in
Segreteria
il 30/05/2013
Erogazione di contributi: uno schema operativo per districarsi
tra i divieti
L. Oliveri (La Gazzetta degli Enti Locali 5/5/2011)
L. Oliveri (La Gazzetta degli Enti Locali 5/5/2011)
L’articolo 6, commi 8 e 9, del d.l. 78/2010, convertito in legge
122/2010 non ha certo fatto un bel regalo agli enti locali. I tagli di spesa ed
i divieti ivi contenuti hanno creato non poche difficoltà nella gestione
dell’erogazione di contributi a sostegno delle attività che cittadini singoli o
associati svolgono nel territorio, principalmente nei campi della cultura,
dello spettacolo, del turismo, dei servizi sociali, dello sport,
dell’istruzione e del commercio.
È noto che la Corte dei conti, con varie pronunce delle sezioni regionali di controllo, si è preoccupata di none estremizzare gli effetti della norma, individuando gli spazi per consentire ancora agli enti locali di sostenere con contributi finanziari o in natura le attività sociali.
In particolare, la sezione Lombardia, pur avendo attribuito all’istituto della sponsorizzazione una nozione ampia e lata, ha ritenuto che il divieto di spese per sponsorizzazioni presupponga un vaglio di natura finalistico. In altre parole, per qualificare una contribuzione comunale, a prescindere dalla sua forma, come spesa di sponsorizzazione vera e propria e, dunque, vietata, è la relativa funzione. La spesa di sponsorizzazione presuppone la semplice finalità, spiega la Sezione Lombardia, di segnalare ai cittadini la presenza dell’ente locale così da promuoverne l’immagine. Non si dà il caso della sponsorizzazione per il sostegno d’iniziative di un soggetto terzo, rientranti nei compiti dell’ente locale nell’interesse della collettività anche sulla scorta dei principi di sussidiarietà orizzontale ex art. 118 Cost.
La sezione Liguria è stata ancora più estensiva. Infatti, ha affermato (parere 11/2011) che “sono tutt’ora ammesse le contribuzioni a soggetti terzi per iniziative culturali, artistiche, sociali, di promozione turistica (elencazione questa non esaustiva), che mirano a realizzare gli interessi, economici e non, della collettività amministrata, ossia le finalità istituzionali dell’ente locale”.
Oggettivamente, allargare le contribuzioni alla cura degli interessi economici consente di allargare molto la possibilità di intervento degli enti locali.
Ancora maggiori tali possibilità si rivelerebbero se passasse la chiave di lettura offerta dalla sezione Marche che nega di dover attribuire alla parola “sponsorizzazioni” significato “lato” o “atecnico” e con la deliberazione 29 marzo 2011, n. 13 hanno considerato il divieto riferito esclusivamente alle sponsorizzazioni vere e proprie: cioè, forme di pubblicità indiretta. Con ciò ritenendo ancora possibile l’erogazione dei contributi, senza dover nemmeno appellarsi ai criteri finalistici ed alla sussidiarietà invocati dalla sezione Lombardia e, allo scopo, chiedendo un avviso alle sezioni riunite.
A questo punto, l’operatore si chiede cosa sia possibile fare. Le indicazioni della magistratura contabile, alla fin fine, possono riassumersi molto brevemente. La manovra economica 2010 certamente induce gli enti locali a gestire con oculatezza anche le spese per contributi, anche se occorre sottolineare che non occorreva la previsione normativa per giungere alla medesima conclusione.
E non occorreva la mano del legislatore, né risultavano indispensabili i pareri della Corte dei conti per capire che alla base dell’erogazione dei contributi debbono esservi serie motivazioni in ordine all’efficacia ed utilità per la comunità amministrata. La linea di demarcazione tra la sagra fine a se stessa e l’iniziativa di respiro culturale non sempre è chiara, ma spetta agli enti locali entrare nel merito e delinearla, proprio perché in ogni caso la contribuzione pubblica deve avere almeno la potenzialità di concorrere ad un beneficio per la comunità amministrata.
Non è da escludere che l’avviso della magistratura contabile, volto a non precludere agli enti locali l’esercizio di proprie competenze connaturate al ruolo che svolgono, possa risultare anche troppo di apertura, nei riguardi di una manovra finanziaria tendente a restringere non di poco il complesso della spesa.
In altre parole, il problema della corretta gestione delle risorse spese per contributi a terzi certamente si pone. Probabilmente, tuttavia, il sistema di divieti e tagli da un lato eccessivi, dall’altro non definiti, al di là dei problemi di costituzionalità, cozza con la buona gestione, come dimostra la quantità ormai industriale di quesiti rivolti alla magistratura contabile dagli enti locali, che non sanno bene come interpretare una norma, oggettivamente troppo poco chiara per poter davvero cogliere l’effetto di contenere le voci di spesa considerate, se davvero quello era il suo intento.
Di seguito, come strumento operativo, riportiamo uno stralcio di uno schema motivazionale ai provvedimenti di concessione dei contributi, per fornire alle amministrazioni il modo di fare tesoro delle pronunce della magistratura contabile e costruire provvedimenti approfonditi e realmente in grado di far emergere le caratteristiche dell’iniziativa di volta in volta finanziabile.
È noto che la Corte dei conti, con varie pronunce delle sezioni regionali di controllo, si è preoccupata di none estremizzare gli effetti della norma, individuando gli spazi per consentire ancora agli enti locali di sostenere con contributi finanziari o in natura le attività sociali.
In particolare, la sezione Lombardia, pur avendo attribuito all’istituto della sponsorizzazione una nozione ampia e lata, ha ritenuto che il divieto di spese per sponsorizzazioni presupponga un vaglio di natura finalistico. In altre parole, per qualificare una contribuzione comunale, a prescindere dalla sua forma, come spesa di sponsorizzazione vera e propria e, dunque, vietata, è la relativa funzione. La spesa di sponsorizzazione presuppone la semplice finalità, spiega la Sezione Lombardia, di segnalare ai cittadini la presenza dell’ente locale così da promuoverne l’immagine. Non si dà il caso della sponsorizzazione per il sostegno d’iniziative di un soggetto terzo, rientranti nei compiti dell’ente locale nell’interesse della collettività anche sulla scorta dei principi di sussidiarietà orizzontale ex art. 118 Cost.
La sezione Liguria è stata ancora più estensiva. Infatti, ha affermato (parere 11/2011) che “sono tutt’ora ammesse le contribuzioni a soggetti terzi per iniziative culturali, artistiche, sociali, di promozione turistica (elencazione questa non esaustiva), che mirano a realizzare gli interessi, economici e non, della collettività amministrata, ossia le finalità istituzionali dell’ente locale”.
Oggettivamente, allargare le contribuzioni alla cura degli interessi economici consente di allargare molto la possibilità di intervento degli enti locali.
Ancora maggiori tali possibilità si rivelerebbero se passasse la chiave di lettura offerta dalla sezione Marche che nega di dover attribuire alla parola “sponsorizzazioni” significato “lato” o “atecnico” e con la deliberazione 29 marzo 2011, n. 13 hanno considerato il divieto riferito esclusivamente alle sponsorizzazioni vere e proprie: cioè, forme di pubblicità indiretta. Con ciò ritenendo ancora possibile l’erogazione dei contributi, senza dover nemmeno appellarsi ai criteri finalistici ed alla sussidiarietà invocati dalla sezione Lombardia e, allo scopo, chiedendo un avviso alle sezioni riunite.
A questo punto, l’operatore si chiede cosa sia possibile fare. Le indicazioni della magistratura contabile, alla fin fine, possono riassumersi molto brevemente. La manovra economica 2010 certamente induce gli enti locali a gestire con oculatezza anche le spese per contributi, anche se occorre sottolineare che non occorreva la previsione normativa per giungere alla medesima conclusione.
E non occorreva la mano del legislatore, né risultavano indispensabili i pareri della Corte dei conti per capire che alla base dell’erogazione dei contributi debbono esservi serie motivazioni in ordine all’efficacia ed utilità per la comunità amministrata. La linea di demarcazione tra la sagra fine a se stessa e l’iniziativa di respiro culturale non sempre è chiara, ma spetta agli enti locali entrare nel merito e delinearla, proprio perché in ogni caso la contribuzione pubblica deve avere almeno la potenzialità di concorrere ad un beneficio per la comunità amministrata.
Non è da escludere che l’avviso della magistratura contabile, volto a non precludere agli enti locali l’esercizio di proprie competenze connaturate al ruolo che svolgono, possa risultare anche troppo di apertura, nei riguardi di una manovra finanziaria tendente a restringere non di poco il complesso della spesa.
In altre parole, il problema della corretta gestione delle risorse spese per contributi a terzi certamente si pone. Probabilmente, tuttavia, il sistema di divieti e tagli da un lato eccessivi, dall’altro non definiti, al di là dei problemi di costituzionalità, cozza con la buona gestione, come dimostra la quantità ormai industriale di quesiti rivolti alla magistratura contabile dagli enti locali, che non sanno bene come interpretare una norma, oggettivamente troppo poco chiara per poter davvero cogliere l’effetto di contenere le voci di spesa considerate, se davvero quello era il suo intento.
Di seguito, come strumento operativo, riportiamo uno stralcio di uno schema motivazionale ai provvedimenti di concessione dei contributi, per fornire alle amministrazioni il modo di fare tesoro delle pronunce della magistratura contabile e costruire provvedimenti approfonditi e realmente in grado di far emergere le caratteristiche dell’iniziativa di volta in volta finanziabile.
Motivazioni
Visti
pareri 6, 7 e 11 2011 della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo
per la Liguria per i quali:
a) si chiarisce che la disposizione di cui all’articolo 6, comma 9, del d.l 78/2010, convertito in legge 122/2010 in tema di divieto di sponsorizzazioni non coinvolge ovviamente le sponsorizzazioni nell’ambito delle quali l’ente locale sia lo sponsee, cioè il beneficiario di un finanziamento; ad essere vietate sono le sponsorizzazioni nelle quali l’ente locale abbia il ruolo di sponsor, cioè l’erogatore del finanziamento; b) occorre confermare un’accezione atecnica del concetto di sponsorizzazione, il quale coinvolge qualsiasi erogazione economica, il cui fine consista nel segnalare ai cittadini la presenza dell’ente locale, allo scopo di promuovere l’immagine dell’amministrazione; c) non si ricade, invece, nella sponsorizzazione laddove l’ente locale assegni un sostegno finanziario ad iniziative poste in essere da un terzo, rientranti nei compiti istituzionali dell’ente, svolte nell’interesse della collettività e nel rispetto del principio della sussidiarietà orizzontale, enunciato dall’articolo 118, comma 4, della Costituzione; d) (parere Sez. Liguria 11/2011) “sono tutt’ora ammesse le contribuzioni a soggetti terzi per iniziative culturali, artistiche, sociali, di promozione turistica(elencazione questa non esaustiva), che mirano a realizzare gli interessi, economici e non, della collettività amministrata, ossia le finalità istituzionali dell’ente locale”; di conseguenza, se la cura dell’interesse della collettività si allarga anche agli interessi economici, sostanzialmente ogni iniziativa culturale o turistica ha delle ricadute potenzialmente positive, sì da giustificare in re ipsa un sostegno economico non fondato su un intento promozionale; e) (parere Sez. Liguria 7/2011): la Corte dei conti ligure, in secondo luogo, esclude che le spese per organizzare direttamente (ma, si deve ritenere anche in appalto) eventi turistici, sportivi e culturali subiscano il taglio previsto dall’articolo 6, comma 8, del d.l. 78/2010, convertito in legge 122/2010; infatti
Visto,
altresì, il parere della Corte dei conti, Sezione Lombardia 31.3.2011, n.
164, che specifica, espressamente per il caso di contributi destinati ad
attività socio-culturali: “In via puramente esemplificativa, il divieto di
spese per sponsorizzazioni non può ritenersi operante nel caso di
finanziamenti ad associazioni che erogano servizi pubblici in favore di fasce
deboli della popolazione (anziani, fanciulli, etc.), oppure a fronte di
sovvenzioni a soggetti privati a tutela di diritti costituzionalmente
riconosciuti, quali i contributi per il c.d. diritto allo studio o i
contributi per manifestazioni a carattere socio-culturale (et similia)”,
aggiungendo che in attuazione del principio di sussidiarietà è ammesso “lo
svolgimento da parte del privato di un’attività propria del comune in forma
sussidiaria, anche attraverso forme aggregative intermedie fra il cittadino e
la comunità locale, quali i comitati, cui può partecipare l’amministrazione
comunale in attuazione del sistema di partenariato pubblico-privato”;
Rilevato,
ancora, che la Corte dei conti Sezione regionale di controllo per le Marche,
col parere 29 marzo 2011, n. 13, ha assunto una posizione ancora più
estensiva delle Sezioni Liguria e Lombardia, ritenendo in tutto non
applicabile il divieto delle sponsorizzazioni ed i limiti alla spesa previsti
dall’articolo 6, commi 8 e 9, della legge 122/2010 ai contributi locali, in
quanto:
·
alla parola “sponsorizzazioni” non si può
attribuire un significato “lato” o “atecnico”, ma quello proprio di
pubblicità in forma indiretta;
·
la verifica della sussistenza del fine
sussidiario risulta oggettivamente di difficile applicazione ed oggetto di
valutazioni teleologiche estremamente discrezionali;
·
la ricerca del fine teleologico della
sussidiarietà come discrimine ai fini dell’ammissibilità della spesa per
contributi “rappresenta un non condivisibile quid pluris rispetto al testo
normativo”;
·
le chiavi di lettura suggerite dalla maggior
parte delle sezioni regionali, secondo la Sezione Marche non si pongono in
linea con la competenza a gestire funzioni generali di sostegno (anche
economico) al territorio, riconosciute per altro agli enti locali dalla
Costituzione e dal d.lgs 267/2000;
Visto
che per tali ragioni la Sezione Marche ha rimesso la questione interpretativa
alle Sezioni Riunite;
Riconosciuto,
comunque, un orientamento generale della magistratura contabile teso ad
attenuare gli effetti dei divieti introdotti dall’articolo 6, commi 8 e 9,
alla possibilità degli enti locali di intervenire finanziariamente a sostegno
di attività rilevanti per il territorio, a condizione che ciò da un lato sia
qualificabile come utile sulla base degli elementi di valutazione indicati di
seguito e, dall’altro, che non si limiti ad una mera pubblicizzazione
dell’immagine dell’ente;
Considerato
che l’assegnazione del contributo in oggetto è possibile, in relazione a
quanto segue:
a) presupposti di fatto: l’iniziativa del privato, oggetto dell’istanza di contributo, è riconducibile alla sussidiarietà orizzontale, trattandosi di un’attività posta in essere dal privato, per estendere i servizi e le funzione di interesse generale di competenza del comune/della provincia; infatti:
b) la
concessione del contributo, inoltre, risponde ai seguenti criteri:
|
Esempio di gestione
del rischio di corruzione legato al procedimento di erogazione di contributi
E) area dei
provvedimenti di concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi,
ausili finanziari, nonchè attribuzione di vantaggi economici di qualunque
genere a persone ed enti pubblici e privati
Rischi
specifici
- assegnazione
a soggetti che nascondono, dietro, l’organizzazione di un partito;
- discrezionalità
assoluta nel rilascio dei provvedimenti e assenza di criteri di
attribuzione e quantificazione
- sussistenza
di eventuali relazioni di parentela o affinità sussistenti tra i titolari,
gli amministratori, i soci e i dipendenti degli stessi soggetti e i
dirigenti e i dipendenti dell'amministrazione
Obiettivi
|
responsabili
|
tempistica
|
indicatori
|
modalità
di verifica dell’attuazione
|
Rischio
1) assegnazione a soggetti che nascondono, dietro, l’organizzazione di un
partito
Verifiche
a campione su rappresentanti legali, amministratori e consiglieri
|
Responsabile anticorruzione
Dirigenti
Responsabili del procedimento
|
2 mesi
|
Rispetto
della percentuale dei controlli
|
Controlli
a campione (10%)
|
Rischio
2) discrezionalità assoluta nel rilascio dei provvedimenti e assenza di
criteri di attribuzione e quantificazione
|
Responsabile anticorruzione
Dirigenti
Responsabili del procedimento
Consiglio comunale/provinciale
|
2 mesi
|
Regolamento
sull’assegnazione di benefici economici, che fissa i criteri di attribuzione
e quantificazione
|
Controlli
a campione (10%)
|
Rischio
3) Sussistenza di eventuali relazioni di parentela o affinità sussistenti tra
i titolari, gli amministratori, i soci e i dipendenti degli stessi soggetti e
i dirigenti e i dipendenti dell'amministrazione
Inserire
nella modulistica per le istanze di contributi o sussidi, la dichiarazione
obbligatoria da parte dei soggetti indicati sopra, di non avere rapporti di
parentela o affinità
Prevedere,
nella relazione o scheda istruttoria, a carico del dirigente e del responsabile
del procedimento analoga simmetrica dichiarazione
|
Responsabile della prevenzione della corruzione
Dirigenti
Responsabili del procedimento
|
Immediato
|
Esiti dei
controlli
|
Attivazione
di controlli preventivi sulla modulistica
|
Normativa, Faq Anac e
giurisprudenza rilevanti
L. 241/1990
Art. 12 (Provvedimenti attributivi di vantaggi economici)
1. La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed
ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a
persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da
parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi
ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono
attenersi.
Regolamento recante norme per la semplificazione del procedimento
per
la disciplina degli
albi dei beneficiari di
provvidenze di natura
economica, a norma
dell'articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo
1997, n. 59. 118/2000
Vigente al:
11-10-2015
IL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visto l'articolo 87,
comma quinto, della Costituzione;
Visto l'articolo
20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, allegato 1,
n. 16, e successive modificazioni;
Vista la legge 30
dicembre 1991, n. 412;
Vista la legge 31
dicembre 1996, n. 675;
Vista la legge 7
agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni;
Visto l'articolo 17,
comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Vista la
preliminare deliberazione del
Consiglio dei Ministri,
adottata nella riunione del 16 luglio 1999;
Sentita la conferenza unificata ai sensi
dell'articolo 9, comma 3,
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
Udito il
parere del Consiglio
di Stato, espresso dalla sezione
consultiva per gli
atti normativi nell'adunanza del 20 settembre
1999;
Aquisito il
parere delle competenti
Commissioni della Camera dei
deputati e del Senato della Repubblica;
Vista la
deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella
riunione del 25 febbraio 2000;
Sulla proposta
del Presidente del
Consiglio dei Ministri e del
Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i
Ministri per gli
affari regionali e del
tesoro, del bilancio e della programmazione
economica;
E m a n a
il seguente regolamento:
Art. 1
Albi dei
beneficiari di provvidenze di natura economica
1. Oltre
a quanto stabilito dalla legge 7
agosto 1990, n. 241, e
successive modificazioni, le amministrazioni dello Stato, le
regioni,
comprese le regioni
a statuto speciale, e le province
autonome di
Trento e Bolzano,
gli enti locali e gli altri enti
pubblici, sono
tenuti ad istituire
l'albo dei soggetti, ivi comprese le persone
fisiche, cui sono
stati erogati in
ogni esercizio finanziario
contributi,
sovvenzioni, crediti, sussidi
e benefici di
natura
economica a carico
dei rispettivi bilanci e devono provvedere ad
aggiornarlo annualmente.
2. Per
ciascun soggetto che figura nell'albo viene indicata anche
la disposizione di
legge sulla base
della quale hanno luogo le
erogazioni di cui al comma 1.
3. Gli
albi istituiti ai
sensi del comma
1 possono essere
consultati da ogni cittadino. Le amministrazioni pubbliche
preposte
alla tenuta degli
albi ne assicurano la massima facilita' di accesso
e pubblicita'.
Art. 2
Informatizzazione ed accesso agli albi
1. I
soggetti preposti alla
tenuta dell'albo provvedono
all'informatizzazione dello stesso, consentendone l'accesso
gratuito,
anche per via telematica.
Art. 3
Abrogazioni
1. Ai
sensi dell'articolo 20, comma 4, della legge 15 marzo 1997,
n. 59, dalla
data di entrata in vigore del presente regolamento e'
abrogato l'articolo 22 della legge 30 dicembre 1991, n. 412.
Il presente decreto,
munito del sigillo dello Stato, sara' inserito
nella Raccolta ufficiale
degli atti normativi
della Repubblica
italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e
di farlo
osservare.
Dato a Roma, addi'
7 aprile 2000
d.l
95/2012, convertito in legge 135/2012, art. 4, c. 6.
A decorrere dal 1° gennaio 2013
le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo n. 165 del 2001 possono acquisire a titolo oneroso
servizi di qualsiasi tipo, anche in base a convenzioni, da enti di diritto
privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile esclusivamente in
base a procedure previste dalla normativa nazionale in conformità con la
disciplina comunitaria. Gli enti di diritto privato di cui agli articoli da 13
a 42 del codice civile, che forniscono servizi a favore dell'amministrazione
stessa, anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a carico delle
finanze pubbliche. Sono escluse le fondazioni istituite con lo scopo di
promuovere lo sviluppo tecnologico e l'alta formazione tecnologica e gli enti e
le associazioni operanti nel campo dei servizi socio-assistenziali e dei beni
ed attività culturali, dell'istruzione e della formazione, le associazioni di
promozione sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383,
gli enti di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266,
le organizzazioni non governative di cui alla legge 26 febbraio 1987, n. 49,
le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381,
le associazioni sportive dilettantistiche di cui all'articolo 90 della legge 27 dicembre
2002, n. 289, nonché le associazioni rappresentative, di
coordinamento o di supporto degli enti territoriali e locali.
13. Pubblicazione dei dati relativi agli atti di
concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e di
attribuzione di vantaggi economici (artt. 26-27)
13.1Quali sono gli atti di concessione di sovvenzioni, contributi,
sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici erogati in favore di soggetti
pubblici o privati, per i quali vigono gli obblighi di pubblicazione di cui
agli artt. 26 e 27 del d.lgs. n. 33/2013?
Si tratta di tutti quei provvedimenti che, sulla base della
normativa vigente, sono volti a sostenere un soggetto sia pubblico che privato,
accordandogli un vantaggio economico diretto o indiretto superiore a 1.000 euro
mediante l’erogazione di incentivi o agevolazioni che hanno l’effetto di
comportare sgravi, risparmi o acquisizione di risorse.
13.2Come si calcola la soglia di 1.000 euro ai fini della
pubblicazione dei dati relativi agli atti di concessione di sovvenzioni,
contributi, sussidi ausili finanziari e vantaggi economici di cui agli artt. 26
e 27 del d.lgs. n. 33/2013?
L’art. 26, c. 2, del d.lgs. n. 33/20013, stabilisce che la
pubblicazione è obbligatoria e condizione di efficacia solo per importi
superiori a 1.000 euro.
Questi sono da intendersi sia se l’importo è erogato con un unico atto, sia se è erogato con atti diversi che, nel corso dell’anno solare, comportano il superamento del tetto di 1.000 euro nei confronti di un unico beneficiario.
Laddove, quindi, l’amministrazione abbia emanato più provvedimenti i quali, nell’arco dell’anno solare, hanno disposto la concessione di vantaggi economici a un medesimo soggetto, superando il tetto dei 1.000 euro, l’importo del vantaggio economico corrisposto è da intendersi come la somma di tutte le erogazioni effettuate nel periodo di riferimento. In tali casi, l’amministrazione deve necessariamente pubblicare, come condizione legale di efficacia, l’atto che comporta il superamento della soglia dei 1.000 euro, facendo peraltro riferimento anche alle pregresse attribuzioni che complessivamente hanno concorso al suddetto superamento della soglia.
Nel caso di attribuzioni di vantaggi economici effettuate su base pluriennale, l’amministrazione è comunque tenuta a pubblicare l’atto di concessione, ancorché emesso in epoca precedente alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013, ove le somme erogate siano di pertinenza del bilancio di previsione degli anni successivi al suddetto decreto.
Questi sono da intendersi sia se l’importo è erogato con un unico atto, sia se è erogato con atti diversi che, nel corso dell’anno solare, comportano il superamento del tetto di 1.000 euro nei confronti di un unico beneficiario.
Laddove, quindi, l’amministrazione abbia emanato più provvedimenti i quali, nell’arco dell’anno solare, hanno disposto la concessione di vantaggi economici a un medesimo soggetto, superando il tetto dei 1.000 euro, l’importo del vantaggio economico corrisposto è da intendersi come la somma di tutte le erogazioni effettuate nel periodo di riferimento. In tali casi, l’amministrazione deve necessariamente pubblicare, come condizione legale di efficacia, l’atto che comporta il superamento della soglia dei 1.000 euro, facendo peraltro riferimento anche alle pregresse attribuzioni che complessivamente hanno concorso al suddetto superamento della soglia.
Nel caso di attribuzioni di vantaggi economici effettuate su base pluriennale, l’amministrazione è comunque tenuta a pubblicare l’atto di concessione, ancorché emesso in epoca precedente alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013, ove le somme erogate siano di pertinenza del bilancio di previsione degli anni successivi al suddetto decreto.
13.3Come si individuano gli atti di concessione di sovvenzioni,
contributi, sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici per i quali vigono
gli obblighi di pubblicazione di cui agli artt. 26 e 27 del d.lgs. n. 33/2013?
Gli artt. 26 e 27 del d.lgs. n. 33/2013 prevedono che le
amministrazioni pubblichino i dati relativi a tutti gli atti concessori che
dispongono vantaggi economici superiori a 1.000 euro.
Tenuto conto della eterogeneità di detti atti, è rimessa a ciascuna amministrazione l’individuazione delle fattispecie non riconducibili alla categoria degli “atti di concessione di sovvenzioni, contributi e vantaggi economici”, dandone adeguata motivazione.
Tenuto conto della eterogeneità di detti atti, è rimessa a ciascuna amministrazione l’individuazione delle fattispecie non riconducibili alla categoria degli “atti di concessione di sovvenzioni, contributi e vantaggi economici”, dandone adeguata motivazione.
13.4Quali atti di erogazione di risorse, tra gli altri, non
rientrano sicuramente nella categoria degli atti di concessione di sovvenzioni,
contributi, sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici per i quali vigono
gli obblighi di pubblicazione di cui agli artt. 26 e 27 del d.lgs. n. 33/2013?
Non sono ricompresi nella categoria degli atti di concessione di
vantaggi economici di cui agli artt. 26 e 27 del d.lgs. n. 33/2013:
- i compensi dovuti dalle amministrazioni,
dagli enti e dalle società alle imprese e ai professionisti privati come
corrispettivo per lo svolgimento di prestazioni professionali e per
l’esecuzione di opere, lavori pubblici, servizi e forniture;
- i
rimborsi e le indennità corrisposti ai soggetti impegnati in tirocini
formativi e di orientamento;
- il
trattamento economico annuo corrisposto ai medici iscritti a scuole di
specializzazione medica;
- l’attribuzione
da parte di un’amministrazione ad altra amministrazione di quote di
tributi;
- il
trasferimento di risorse da un’amministrazione ad un’altra, anche in
seguito alla devoluzione di funzioni e competenze;
- i
rimborsi a favore di soggetti pubblici e privati di somme erroneamente o
indebitamente versate al bilancio dell’amministrazione;
- gli
indennizzi corrisposti dall’amministrazione a privati a titolo di
risarcimento per pregiudizi subiti;
- gli
atti di ammissione al godimento di un servizio a domanda individuale a
tariffe ridotte o agevolate;
- le prestazioni sanitarie erogate dal
servizio sanitario nazionale.
13.5Quali sono le modalità di pubblicazione dei dati relativi agli
atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ausili finanziari e
vantaggi economici di cui agli artt. 26 e 27 del d.lgs. n. 33/2013?
Le informazioni relative agli atti di concessione di sovvenzioni,
contributi, sussidi ausili finanziari e vantaggi economici di cui agli artt. 26
e 27 del d.lgs. n. 33/2013 devono essere organizzate su base annuale in unico
elenco per singola amministrazione.
Suddivise per anno, esse devono essere pubblicate in elenchi, consultabili sulla base di criteri funzionali, quali, tra gli altri, il titolo giuridico di attribuzione, l’ammontare dell’importo, l’ordine alfabetico dei beneficiari.
Suddivise per anno, esse devono essere pubblicate in elenchi, consultabili sulla base di criteri funzionali, quali, tra gli altri, il titolo giuridico di attribuzione, l’ammontare dell’importo, l’ordine alfabetico dei beneficiari.
13.6Quali accorgimenti le amministrazioni devono adottare per la
pubblicazione dei dati relativi ai beneficiari di vantaggi economici?
La pubblicazione dei dati relativi agli atti di concessione di
vantaggi economici deve avvenire nel rispetto dei limiti alla trasparenza posti
dalle norme sul trattamento e sulla protezione dei dati personali, come
richiamate dall’art. 4 del d.lgs. n. 33/2013.
Non sono ostensibili, quindi, i dati identificativi delle persone fisiche destinatarie dei provvedimenti in questione qualora da tali dati sia possibile ricavare informazioni circa lo stato di salute o la situazione di disagio economico-sociale degli interessati e comunque le amministrazioni devono adottare tutti gli accorgimenti a ciò necessari.
Non sono ostensibili, quindi, i dati identificativi delle persone fisiche destinatarie dei provvedimenti in questione qualora da tali dati sia possibile ricavare informazioni circa lo stato di salute o la situazione di disagio economico-sociale degli interessati e comunque le amministrazioni devono adottare tutti gli accorgimenti a ciò necessari.
13.7Quando devono essere pubblicati gli atti di concessione di
sovvenzioni, contributi, sussidi ausili finanziari e vantaggi economici di cui
agli artt. 26 e 27 del d.lgs. n. 33/2013?
Considerato che la pubblicazione è condizione di efficacia dei
provvedimenti che dispongano concessioni ed attribuzioni di importo complessivo
superiore a 1.000 euro, essa deve avvenire tempestivamente e, comunque, prima
della liquidazione delle somme oggetto del beneficio.
13.8Ai fini dell’assolvimento degli obblighi di pubblicazione di
cui agli artt. 26 e 27 del d.lgs. n. 33/2013 è corretto pubblicare i
provvedimenti di impegno e liquidazione degli importi relativi a benefici
concessi?
No, in quanto l’obbligo di pubblicazione di cui agli artt. 26 e 27
del d.lgs. n. 33/2013 si riferisce ai provvedimenti e agli atti con cui vengono
concessi sovvenzioni, contributi, sussidi e vantaggi economici e non agli atti
contabili di impegno e di liquidazione.
13.9Qualora il procedimento di concessione di sovvenzioni,
contributi, sussidi ausili finanziari e vantaggi economici coinvolga più
amministrazioni, quale amministrazione è competente alla pubblicazione?
Considerato che, ai sensi dell’art. 26, c. 3, del d.lgs. n.
33/2013, la pubblicazione sul sito istituzionale è condizione legale per
l’efficacia dei provvedimenti che dispongano concessioni ed attribuzioni di
importo complessivo superiore a 1.000 euro, la pubblicazione deve avvenire a
cura dell’ente effettivamente competente ad adottare il provvedimento
concessorio finale, anche laddove altre amministrazioni abbiano concorso alle
attività procedimentali.
13.10Nel caso in cui l’amministrazione modifichi o revochi un atto
di concessione di vantaggi economici, cosa occorre fare ai fini della
pubblicazione?
Qualora l’amministrazione provveda a modificare o revocare un atto
di concessione di vantaggi economici, le informazioni già pubblicate sul sito
istituzionale non devono essere sostituite ma soltanto integrate da apposita
comunicazione in cui si dia atto delle avvenute modificazioni.
T.A.R. Sicilia Catania Sez. II, 17-06-2005, n.
1032
|
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale
Amministrativo Regionale della Sicilia
-Sezione
staccata di Catania SECONDA SEZIONE adunato
in Camera di
Consiglio con l'intervento dei Signori
Magistrati:
Dr.GABRIELLA
GUZZARDI Presidente
Dr.ROSALIA
MESSINA giudice.
Dr.SALVATORE
GATTO COSTANTINO giudice, relatore
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
sul
ricorso 5115/00 proposto da: "Associazione Culturale Unione
Siciliana" in persona del rappresentante legale pro-tempore,
rappresentata e difesa dall'avv. Giampiero Garofalo, con domicilio eletto in
CATANIA presso lo studio di quest'ultimo via XX settembre n. 47/E;
contro
il
Comune di Catania, in persona del Sindaco p.t. non costituito;
e nei
confronti
dell'Associazione
Club "Amatori Sport", in persona del legale rappresentante p.t.,
non costituita;
dell'Associazione
S.C. "Zagara 1" , in persona del legale rappresentante p.t., non
costituita;
per
l'annullamento
della
deliberazione GM di Catania n. 122 del 31.05.2000, avente ad oggetto
"Rideterminazione delibera n. 2628 del 16.09.1997, esecutiva, annullata
dal TAR di Catania Sez. 3° con sentenza n. 263/2000 del 3 marzo 2000
(notificata il 4 marzo 2000)";
Visto
il ricorso ed i relativi allegati;
Viste
le memorie prodotte dalla ricorrente a sostegno delle rispettive difese;
Visti
gli atti tutti della causa;
Designato
relatore nella pubblica udienza del 06.04.2005 il Ref. SALVATORE GATTO
COSTANTINO;
Uditi
gli avvocati come da verbale;
Ritenuto
in fatto e diritto quanto segue:
Svolgimento del processo
La
ricorrente, associazione sportiva che opera nella disciplina del canottaggio
a favore dei giovani, specialmente appartenenti a fasce disagiate, chiedeva
un contributo finanziario al Comune di Catania, per l'anno 1997, rispetto al
quale l'Amministrazione concedeva un finanziamento di lire 10.000.000 con
deliberazione GM n. 2628 del 16.09.1997.
Impugnata
giudizialmente tale deliberazione, con sentenza n. 263/00 il TAR ne disponeva
l'annullamento, in accoglimento del terzo motivo di gravame dedotto, secondo
il quale detto provvedimento è risultato viziato per difetto di motivazione.
La
sentenza è passata in giudicato, non essendo stata appellata nei termini.
L'atto
oggi impugnato è stato quindi adottato dal Comune di Catania al fine di
uniformarsi al giudicato amministrativo. Con tale deliberazione è stata
riconfermata la somma a suo tempo disposta.
Avverso
tale deliberazione la ricorrente ha proposto l'odierno ricorso
giurisdizionale, notificato il 25 e 26.09.2000 e depositato il 24.10.2000.
Con
esso ha dedotto i seguenti motivi di doglianza:
I)
Elusione del giudicato nascente dalla sentenza del TAR Catania sez. III n.
263/00 - vizio del procedimento.
II)
Violazione e mancata applicazione dell'art. 13 L.R. n. 10 del 1991. Eccesso
di potere per difetto dei presupposti di fatto e di diritto e travisamento
della realtà.
III)
Violazione e mancata applicazione dell'art. 13 L.R. n. 10 del 1991 Eccesso di
potere per difetto dei presupposti di fatto e di diritto, irragionevolezza
manifesta e sviamento.
IV)
Violazione e mancata applicazione dell'art. 13 L.R. n. 10 del 1991 Eccesso di
potere per difetto dei presupposti di fatto e di diritto, sviamento ed
irragionevolezza manifesta;
V)
Violazione dell'art. 11 L.R. n. 8 del 1978 Eccesso di potere per difetto
assoluto dei presupposti di fatto e di diritto;
Alla
pubblica udienza del 06.04.2005, la causa è stata trattenuta per la
decisione.
Motivi della decisione
La
ricorrente ha impugnato la deliberazione in oggetto in quanto con essa è
stata sostanzialmente confermata la già precedentemente annullata
deliberazione GM n. 2628/97.
La
ricorrente lamenta che le è stato concesso un contributo finanziario a
sostegno delle proprie attività sportive inferiore a quanto effettivamente
dovuto, in relazione ai criteri ed alle previsioni del regolamento comunale
approvato con deliberazione n. 971/88.
Con i
motivi di ricorso proposti, le censure dell'atto sono individuate, in primo
luogo, nella sostanziale elusione del giudicato formatosi sulla sentenza di
questo TAR n. 263/00: con quest'ultima l'atto impugnato era stato annullato
in accoglimento di uno solo dei motivi di ricorso a suo tempo spiegati,
costituito dal difetto di motivazione, considerando quindi assorbiti gli
ulteriori profili di doglianza. Oltre che la violazione del giudicato la
ricorrente lamenta quindi gli stessi vizi a suo tempo fatti valere contro la
delibera originaria, riproponendoli avverso la delibera confermativa n.
122/2000.
In
tal senso si denuncia quindi la violazione dell'art. 13 della L.R. n. 10 del
1991 sotto più profili.
Con
il motivo sub II) si deduce l'inesistenza dei
criteri generali predeterminati che avrebbero dovuto assistere l'erogazione
dei contributi, alla cui percezione, secondo la ricorrente, gli interessati
aspirano in concorso tra loro
secondo una vera e propria procedura
comparativa. Secondo il comune, la delibera di concessione si ispirerebbe
applicandoli ai criteri di cui al regolamento comunale approvato con
deliberazione n. 978/88, ma ciò viene contestato in atti sulla base della
motivazione che in detto atto regolamentare sarebbero fissate solo norme
procedurali difettando invece i criteri di calcolo.
Con
il motivo sub III, la violazione dell'art. 13 L.R. n. 10 del 1991 cit.
discenderebbe anche dalla irragionevolezza dei criteri concretamente seguiti
che si discosterebbero dai criteri adottati in analoga materia dal CONI, che
viene posto ad esempio di ragionevolezza "tipica" nel settore dei
contributi alle associazioni sportive e cui il Comune avrebbe dovuto quindi
uniformarsi.
Con
il motivo sub IV, poi, la motivazione
dell'atto, che fa riferimento ad elementi come situazione finanziaria,
livello dei campionati e simili, si rivelerebbe un omaggio meramente formale
a detti criteri, mancando del tutto una spiegazione dell'incidenza che i pure
richiamati standards eserciterebbero sulla determinazione dell'importo
assentito: in ogni deliberazione di concessione dei contributi a
diverse associazioni sportive, i diversi contributi appaiono dunque
giustificati da medesime ed identiche
considerazioni motivazionali.
Infine,
con il motivo sub V) la ricorrente denuncia l'illegittimità della delibera
impugnata, in quanto in essa è richiamato quale elemento istruttorio il
parere della Consulta dello sport, costituita dal Comune ai sensi della L.R.
n. 8 del 1978 e nella quale siedono associazioni sportive in difformità dalla
composizione sempre per Legge stabilita. Tali associazioni sarebbero anche
interessate alla ripartizione dei contributi ed avrebbero percepito rilevanti
finanziamenti.
Il
Collegio, ritenuta la propria giurisdizione, rileva che il ricorso è fondato
e merita accoglimento.
Sul
punto della giurisdizione, si deve richiamare la propria giurisprudenza
secondo la quale la concessione dei contributi finanziari si inquadra nel più
ampio genus dei provvedimenti concessori, le cui controversie sono oggetto
delle disposizioni di cui all'art. 5, I°, della Legge n. 1034 del 1971 che le affida alla
cognizione esclusiva del giudice ordinario, con i limiti ivi previsti (cfr.
TAR Catania, III, 29.05.1998, n. 265 e Cons. di Stato, IV, 19.07.1993, n.
727).
I)
Quanto alle doglianze di merito, il ricorso è
fondato e come tale va accolto, sia pure nei limiti ed alle condizioni
espresse a seguire.
All'analisi
delle questioni sollevate, si deve premettere un adeguato inquadramento
giuridico, relativo alla natura dei
provvedimenti di contribuzione che l'Amministrazione locale pone in essere.
Come
accennato in apertura, già in precedenza questo Tribunale ha ricondotto la
materia dell'erogazione di benefici economici alle previsioni di cui all'art.
5 comma I° della Legge n. 1034 del 1971,
trattandosi di provvedimenti lato sensu
concessori.
A
tale giurisprudenza, che fonda la giurisdizione esclusiva del TAR adito sulla
lite oggetto del presente ricorso, il Collegio ha già dichiarato di dover
aderire, richiamandola sul punto.
Da
essa derivano però altre conseguenze in punto di ricostruzione della
disciplina dell'istituto in termini più generali.
Trattandosi
di provvedimenti a natura concessoria, quindi di provvedimenti ampliativi, i benefici in esame soggiacciono
alle previsioni di cui all'art. 12 della Legge n. 241 del 1990,
disposizione che non ha risentito di alcuna modifica a seguito della recente
Legge di modifica Legge n. 15 del 2005.
Secondo
la giurisprudenza pacifica, L'art. 12 Legge n. 241 del 1990,
rivolto ad assicurare la trasparenza dell'azione amministrativa, si pone come
precetto che si atteggia a principio generale dell'ordinamento ed impone che
l'attività dell'Amministrazione debba non solo essere preceduta da una
adeguata pubblicizzazione dell'avvio del procedimento, ma debba rispondere a referenti di carattere
assolutamente oggettivo, precedenti al singolo provvedimento (T.A.R.
Lazio, sez. III, 8 marzo 2004, n. 2154; ex plurimis cfr.: T.A.R. Campania
Napoli, sez. V, 2 febbraio 2004, n. 1232; T.A.R. Puglia Lecce, sez. II, 2
febbraio 2002, n. 572; Consiglio Stato art. gen., 28 settembre 1995, n. 95)
Dalle
superiori considerazioni discende che l'attività concessoria è
procedimentalizzata, soggetta a precise
regole di evidenza pubblica, disposta con atto finale che è un provvedimento autoritativo tipico (ossia
assunto in esito all'esercizio di un potere previsto dall'ordinamento) e come
tale non
possiede alcun margine di discrezionalità, se non nei limiti
tecnici imposti dalla necessità di apprezzare adeguatamente elementi di fatto
presupposti ed esposti alla fede pubblica nella relativa procedura di
evidenza.
Questo
Tribunale aveva già annullato la delibera concessoria con la sentenza n.
263/00 che il ricorrente assume elusa, motivando la sentenza proprio con
riferimento alla mancanza di motivazione nella decisione amministrativa.
Appare
evidente che l'Amministrazione ha di fatto adottato una delibera "a
difesa" della propria precedente deliberazione, ampliando gli spunti
motivazionali, con riferimento alle attività preparative del provvedimento,
ma senza rinnovare alcun processo motivazionale e senza dare conto,
sostanzialmente del perché poste quelle premesse, discenda quello specifico
importo e non altro maggiore o minore.
Bisogna
rilevare che nei provvedimenti concessori di benefici economici del genere di
quelli in esame, finalizzati a sostenere determinate attività (sportive,
sociali, culturali e simili) in ambito locale, manca
del tutto ogni aspetto discrezionale (ed invece la delibera impugnata
continua ad annoverare tra le sue premesse l'affermazione che la scelta sul
quantum del contributo è discrezionale: verifica ultimo capoverso della
premessa "..che il contributo di che trattasi è da considerare solo un
incentivo dell'A.C. a carattere discrezionale e provvisorio....").
La
norma di cui all'art. 12 della Legge n. 241 del 1990 postula
infatti che siano interamente predeterminate le ragioni ed i criteri
che assisteranno l'Amministraizone procedente nell'emanazione di
provvedimenti concessori di benefici e quest'aspetto, nel caso del Comune di
Catania appare semplicemente ed essenzialmente disatteso del tutto, a nulla
valendo le reiterazioni della motivazione di rito contenuta nel provvedimento
impugnato che conferma in tutto e per tutto il provvedimento a suo tempo
annullato.
Dall'esame
della fattispecie dedotta si deve rilevare, più in generale, che il Comune di
Catania ha seguito con il provvedimento a suo tempo oggetto dell'annullamento
da parte di questo Tribunale e continuato a seguire con il provvedimento
impugnato oggi una prassi diffusa negli Enti
locali, secondo la quale la concessione di un contributo sta a metà tra il
provvedimento gestionale - di competenza dei dirigenti - e l'atto politico o
assolutamente discrezionale - considerazione questa che fonderebbe la
competenza della Giunta nel sistema dell'Ordinamento degli enti locali
emergente dal T.U. di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000.
In
quest'ottica, poste le condizioni di ammissibilità e le procedure istruttorie
a queste connesse, la decisione sulla commisurazione dei contributi, sulla
validità dei progetti o sulla riconducibilità di questi ultimi alle esigenze
pubbliche rappresentate dall'Amministrazione si
risolverebbe in atti "politici", mentre le prime solamente
sarebbero ascritte al novero della sfera gestionale e quindi provvedimentale
del dirigente.
In realtà tale ottica è palesemente infondata e
distorsiva.
La concessione di un contributo, come tutti i
provvedimenti ampliativi in genere, specialmente trovanti copertura
finanziaria in un assegnazione di somme nel piano esecutivo di gestione, ma
anche solo previsti in bilancio negli appositi capitoli destinati alla
contribuzione, sono provvedimenti
amministrativi a tutti gli effetti, rientranti come tali nella competenza
esclusiva del dirigente, devono essere preceduti da idonea
pubblicizzazione, dalla indicazione dei criteri di concessione che devono
essere esaustivi e completi; devono essere
sorretti da idonea motivazione che dia conto esaustivamente del perché della
specifica somma assegnata. Il che val quanto dire che alla erogazione
dei contributi deve presiedere una vera e propria procedura di evidenza pubblica, dotata dello stesso rigore di una
procedura concorsuale o di appalto, quanto alla coerenza tra presupposti,
criteri di valutazione e provvedimento finale. Non devono cioè
sussistere crasi logiche o motivazionali tra i presupposti ed il
provvedimento (che vengano assorbite e/o giustificate nell'area grigia della
discrezionalità) per cui quest'ultimo deve
essere il prodotto dell'applicazione matematica dei punteggi o dei
presupposti desumibili dalla premessa ed esposti all'evidenza pubblica
precedentemente i termini per le istanze.
I margini "politici" o discrezionali che L.
'Amministrazione pure possiede - e possiede in maniera particolarmente estesa
- devono essere tutti assolti a livello di regolamentazione della procedura,
ossia al momento in cui vengono fissati (e resi noti) i criteri generali che,
ex art. 12 Legge n. 241 del 1990, disciplineranno il procedimento.
Tale
regolamentazione può essere anche periodicamente aggiornata o adeguata alle
mutevoli esigenze dello sviluppo locale: ma essa è comunque finalizzata ad
una regolamentazione generale ed astratta, ossia non può spingersi fino ad
una eccessiva restrizione della platea dei possibili beneficiari e si deve
connettere ad un regime di pubblicità adeguato, ossia protratto per un
significativo periodo di tempo e diffuso per il tramite di fonti di
informazione sostanziali e non meramente formali.
Ne consegue che la discrezionalità del provvedimento che
viene ad essere collegata alla competenza della Giunta come responsabile
dell'atto finale, cade insieme a quest'ultima: il fatto che la
concessione del contributo sia stata deliberata dalla Giunta, nonché
confermata dal medesimo organo, rappresenta una ulteriore conferma del fatto
che l'atto è carente di adeguata motivazione,
stante il fatto che l'adozione dell'atto da parte di organo incompetente
risponde alla cennata prassi di considerare
la determinazione del quantum come frutto di una scelta naturaliter priva di
riscontri strutturali nel procedimento e quindi la si ascrive alla potestà
politica, svincolata da criteri e postulati procedimentali.
Di
tale intendimento si ravvisano palesi tracce formali nel testo dell'atto.
Invece, il provvedimento di
concessione del contributo è essenzialmente ed ineliminabilmente un
provvedimento del dirigente o del responsabile apicale della struttura e non
può formare oggetto di deliberazione della Giunta a pena di nullità stante la
violazione dell'art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000 che fonda la c.d. "riserva di gestione"
in favore dei dirigenti rispetto agli organi politici (sono provvedimenti
rientranti nella disposizione di cui all'art. 107 comma III° lett.
"f", D.Lgs. n. 267 del 2000).
III)
Infondata appare la doglianza relativa alla asserita illegittimità derivante
da irregolare composizione della Consulta dello Sport.
In
realtà dalla motivazione dell'atto solo formale ed insufficiente in sé a
fondare la decisione del provvedimento non si può evincere alcuna defluenza
del parere della Consulta, né in positivo e né in negativo. La doglianza
sollevata finisce con l'equiparare un possibile vizio di composizione ad una
effettiva ingerenza delle società sportive concorrenti nella decisione
amministrativa. Posto che tale ultima decisione è frutto della sola volontà
amministrativa priva di qualsiasi dimostrazione di connessione con le
risultanze della istruttoria, deriva che manca ogni prova della effettiva
incidenza del parere nella delibera e dell'apporto che al parere hanno reso
le associazioni od organismi asseritamene "interessati".
Più
in generale, atteso che il provvedimento di
concessione deve avere carattere "automatico" rispetto alle
premesse di evidenza pubblica che ex art. 12 Legge n. 241 del 1990 dovrebbero
preesistergli, non appare condivisibile l'assunto del ricorrente neppure
sotto il profilo dell'astratta incidenza che l'irregolare composizione della
Consulta potrebbe esplicare in ordine al dimensionamento del quantum del
contributo. Se tale evenienza si verifica il provvedimento sarebbe
illegittimo per violazione della lex specialis ossia per violazione dei
criteri posti a monte dall'Ente.
In
definitiva, trattandosi di un parere e quindi di un atto istruttorio, la sua
invalidità potrebbe condizionare la legittimità dell'atto di concessione solo
se ne rappresentasse l'unico antecedente logico e causale o, quantomeno,
quello determinante.
Nel
caso di specie, da quanto esposto consegue che all'annullamento degli atti
impugnati, la riedizione che necessariamente seguirà l'annullamento dovrà non
solo formalmente rinnovare il processo motivazionale rendendolo ostensibile
quindi trasparente, ma anche riesaminare l'entità del contributo concesso
alla luce delle motivazioni di fatto che il ricorrente ha addotto: il Comune
di Catania dovrà quindi esaurientemente dare contezza del quantum in
relazione agli atti istruttori, previamente verificando la esatta cifra
spettante al ricorrente ed in caso, ricorrendo ad integrare con le opportune
procedure le previsioni di spesa a suo tempo stanziate in bilancio.
Possono
considerarsi assorbiti gli ulteriori motivi o profili di diritto ad essi
collegati e non espressamente compresi.
Da
tutto ciò consegue che il ricorso è fondato e come tale da accogliersi,
facendo seguire l'annullamento degli atti impugnati, la necessaria riedizione
del potere in senso conforme a quanto sopra indicato.
Si
ritiene comunque equo compensare integralmente le spese tra le parti.
P.Q.M.
Il
Tribunale amministrativo regionale della Sicilia -Sezione staccata di Catania
(Sez.2°) accoglie il ricorso e, per l'effetto, annulla gli atti impugnati
descritti in epigrafe.
Spese
compensate.
La
presente Sentenza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso
la Segreteria che provvederà a darne comunicazione alle parti.
CATANIA
, li 06.04.2005
|
Scheda istruttoria contributi
PROPOSTA
DI PROVVEDIMENTO
|
|
Regolarità
|
Il sottoscritto _________ , responsabile del procedimento
in questione, in riferimento all’istruttoria effettuata dichiara che essa è
avvenuta nel rispetto della disciplina posta a regolamentare la materia,
sicché in base alle sue risultanze si propone di adottare il provvedimento
finale, allegato.
data
firma
|
Nel caso di contributo ammissibile:
|
Determinazione della modalità di erogazione:
(applicare i criteri fissati col regolamento)
|
Allegato
|
Schema di proposta deliberativa.
|
Valutazioni sulle risultanze istruttorie, ai fini
del parere di regolarità tecnica
Dichiarazione di assenza di conflitto d’interesse
(art. 6-bis legge 7 agosto
1990, n. 241 e art. 7 del d.P.R 16 aprile 2013, n. 62)
Il
sottoscritto _____ nato a _____, il ________, relativamente al procedimento di
concessione del contributo in oggetto per la qualità di __________,
o dichiara di non essere in
situazione di conflitto di interesse col beneficiario degli effetti del
procedimento e del provvedimento finale
o,
in alternativa,
o segnala la seguente situazione di conflitto di interessi,
anche solo potenziale, per le seguenti ragioni:
________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
Lì ______________, data
____________ Firma ________________________________
In
relazione alla segnalazione di potenziale conflitto di interessi del sig.
______________ di cui sopra, stabilisco:
Per le seguenti ragioni:
________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________
Pertanto
Esaminata la scheda-relazione istruttoria sopra
riportata se ne condividono i contenuti, dichiara, in qualità di titolare
dell'adozione del provvedimento finale:
Esaminata la scheda-relazione istruttoria sopra
riportata non se ne condividono i contenuti in tutto o in parte. Si rileva, in
particolare, quanto segue:
o Si restituisce la scheda
istruttoria, per apportarvi le variazioni indicate o richieste, laddove il
responsabile del procedimento ritenga di rivedere le sue valutazioni, mediante
annotazione autografa, o file trasmesso via mail;
Il parere sulla proposta di delibera sarà:
o favorevole
o contrario, per le ragioni
evidenziate sopra.
Lì, ___________, ________________
Il Dirigente/Il Responsabile
di servizio
_________________________________
Ipotesi di formula
per attribuzione contributi sulla base del plafond disponibile
formula: €x = (€t / pt)*px
€x=contributo assegnato al soggetto X
€t=stanziamento totale per il bando
pt= somma totale dei punteggi ottenuti dalle domande ammesse
al contributo
px= punteggio assegnato al soggetto X
stanziamento
|
10000
|
||
soggetto X
|
96
|
punti
|
|
soggetto Y
|
78
|
punti
|
|
soggetto Z
|
66
|
punti
|
|
240
|
pt
|
||
X=
|
4000
|
||
Y=
|
3250
|
||
Z=
|
2750
|
Nessun commento:
Posta un commento