Per i procedimenti disciplinari,
specie quelli delicatissimi che possono condurre al licenziamento, non
occorrono procedure “sprint” (come scrivono i giornali), ma al contrario semplicemente
tempi certi.
Invece, la riforma Madia riesce
nell’intento di restringere eccessivamente i tempi della procedura, ma al
contempo anche a rendere i tempi del tutto incerti, tanto da poter pregiudicare
il diritto al contraddittorio ed al giusto procedimento, costituzionalmente
garantito, mettendo in pericolo la tenuta dei procedimenti disciplinari, che
invece si vorrebbero semplificare.
In effetti, la parola “semplificazione”
nel lessico del Legislatore è, da sempre, estremamente pericolosa. Essa dà all’esterno
l’immagine di qualcosa che diventa più esile, facile, appunto, semplice.
Qualsiasi operatore sa bene che, invece, accade l’esatto contrario: i
procedimenti si spezzettano, i tempi si sovrappongono e avviluppano, le
competenze si confondono, le relazioni con i cittadini divengono frammentate o
guidate male da piattaforme telematiche improbabili e tutto si appesantisce,
opacizza, deteriora.
Ma il Ministro della funzione
pubblica è fortunato perché elogiato ed esaltato dalla stampa.
Come tutti i predecessori che si
sono seduti alla scrivania ministeriale di Palazzo Vidoni ed abbiano trattato
del problema della riforma del lavoro pubblico esclusivamente dal punto di
vista della lotta a “fannulloni” e “furbetti” o dell’assegnazione dei “premi”
mediante le “valutazioni”, ricevendo prime pagine, interviste, ospitate in
televisione, pur avendo dato vita a “riforme epocali” senza porsi minimamente
il problema di come cambiare l’organizzazione del lavoro, in un mondo nel quale
la prestazione lavorativa è sempre meno legata al posto fisico dell’ufficio e
della fabbrica, al rispetto di un orario contenuto entro una cornice fissa, all’utilizzo
di strumentazioni presenti solo nel luogo del datore di lavoro, grazie alla
telematica e a sempre più potenti (ma leggeri) strumenti di connessione. In
altre parole, mentre le aziende pensano al “lavoro agile”, come modalità per “de
materializzare” la logistica e riorganizzare totalmente tempi e modi (basti
pensare alle consegne di pacchi e corrispondenza dei privati: finalmente si
fanno anche il pomeriggio o in recapiti utili, mentre il vecchio sistema
prevede la consegna in orari in cui il destinatario non c’è mai), la
discettazione nell’ambito pubblico riguarda ancora un modo di intendere il
lavoro, come organizzazione in parte da caserma.
Chi siede a Palazzo Vidoni è
fortunato ed ha facile popolarità, perché i giornali non prendono minimamente
in considerazione quanto inadeguato ed antiquato sia questo approccio, e
guardano al dito invece che alla luna, esaltando la riforma che “finalmente”
consente di licenziare i dipendenti pubblici, evidenziando che nel 2015 ne sono
stati licenziati solo 280, dunque “pochi”. Come se esistesse un parametro fisso
per determinare una quantità da considerare normale dei licenziamenti; come se
non si sapesse che occorre licenziare chi deve essere licenziato ricorrendo
cause e circostanze che non possono essere previste, sicchè è evidente che di
anno in anno il numero dei licenziamenti può variare e di molto e non è
minimamente possibile affermare che i licenziati siano pochi o molti.
Passare dalla popolarità al
populismo, però, è molto facile e se e quando questo avviene, le norme scritte
allo scopo di alimentare il meccanismo della presenza mediatica (scambiata per
consenso di popolo, anche se il referendum del 4 dicembre 2016 ha dimostrato
che l’ossessiva presenza nei media non implica per nulla la certezza di un
risultato elettorale) si rivelano, appunto, buone solo per i titoli dei
giornali, ma, eufemisticamente parlando, di “dubbia efficacia”.
Si prendano le modifiche che il
Governo ha pensato di apporre al d.lgs 116/2016, marchiato per sempre come
norma sui “licenziamenti sprint” o “anti furbetti del cartellino”.
Come è noto, occorre un decreto
legislativo correttivo, per evitare che il decreto, adottato senza ottenere l’intesa
con le regioni, chiamate ad esprimere invece solo un parere, possa essere
impugnato per illegittimità costituzionale, alla luce della sentenza 251/2016
della Consulta.
La revisione del d.lgs 116/2016
poteva essere l’occasione per ripensarne i contenuti, fortemente condizionati
dal clamore mediatico della vicenda del comune di San Remo, che ne ha
costituito la spinta, come è noto.
Ovviamente, non è andata così. L’impianto
del decreto viene sostanzialmente confermato, ma con alcune modifiche
perfettamente emblematiche di come le “riforme” siano ad un tempo frutto di
frenesia mediatica e di assenza di coordinamento e valutazione di impatto
normativo. Vediamo il perché.
1. Per
i dipendenti colti in flagrante nella loro azione infedele di millantare la
presenza in ufficio, si lascia un termine finale del procedimento disciplinare
di soli 30 giorni. In più, la riforma del d.lgs 165/2001 contenuta nell’altro
schema di decreto facente parte del pacchetto Madia, estende questo rito
celerissimo a tutti gli altri casi nei quali altre cause di licenziamento siano
accertate nella situazione di flagranza. Ebbene, l’abbreviazione del rito, che
ante riforma poteva giungere a 120 giorni, ai 30 previsti, avrebbe assolutamente
impedito al comune di San Remo di chiudere le istruttorie e giungere ai
licenziamenti disposti, perché non avrebbe mai fatto in tempo a disporre le
audizioni e redigere i provvedimenti per gli oltre 200 dipendenti implicati. Il
legislatore immagina che le procedure riguardino un singolo dipendente. Eppure,
dovrebbe essere chiaro che in particolare l’assenteismo è quasi sempre
organizzato e di massa: se qualcuno timbra al posto di altri, è perché c’è un accordo
diffuso, che può essere attivo, ma anche passivo, in quanto la semplice
tolleranza ed omertà possono essere utili quando serva millantare la presenza
in qualche caso. Gestire, allora, congiuntamente decine di procedure di
licenziamento nel termine breve di 30 giorni è impossibile. Sarebbe stato
auspicabile che questa semplicissima osservazione fosse compresa e recepita e
si rimediasse ad un punto estremamente dolente. Ma, evidentemente, non si
poteva tornare indietro sul messaggio mediatico dato a suo tempo.
Per altro, non è mai stato sufficientemente spiegato perché mai il termine ante riforma di 120 giorni fosse da considerare eccessivamente lungo, nel Paese nel quale i processi durano all’infinito e le procedure spesso hanno tempo più che lunghi, inconoscibili.
Per altro, non è mai stato sufficientemente spiegato perché mai il termine ante riforma di 120 giorni fosse da considerare eccessivamente lungo, nel Paese nel quale i processi durano all’infinito e le procedure spesso hanno tempo più che lunghi, inconoscibili.
2. Tuttavia,
mentre si conferma una compressione oggettivamente eccessiva dei tempi
procedurali (occorre ricordare che dei 30 giorni, 20 se ne vanno solo per l’audizione,
che appunto non può essere disposta prima di 20 giorni dalla contestazione),
mettendo in estrema difficoltà gli uffici dei procedimenti disciplinari,
composti, nella gran parte degli enti, da funzionari che ordinariamente fanno
altro ed hanno altre pratiche e scadenze da rispettare, contestualmente invece
si porta da 120 a 150 giorni la scadenza per esercitare l’azione di
responsabilità erariale nei confronti del dipendente.
Dunque, uffici non specializzati debbono correre a perdifiato per chiudere il procedimento in termini troppo ridotti, ma la Corte dei conti, composta da chi per mestiere fa il magistrato, gestisce procedimenti e si avvale di un’organizzazione rivolta proprio a questo fine, ottiene una dilatazione dei propri termini procedurali. Qualcosa non funziona.
Dunque, uffici non specializzati debbono correre a perdifiato per chiudere il procedimento in termini troppo ridotti, ma la Corte dei conti, composta da chi per mestiere fa il magistrato, gestisce procedimenti e si avvale di un’organizzazione rivolta proprio a questo fine, ottiene una dilatazione dei propri termini procedurali. Qualcosa non funziona.
3. Pochi
hanno fatto caso ad un altro paradosso. Tutti concentrano l’attenzione sul
procedimento “sprint”, ma non hanno fatto caso che il decreto di riforma del
d.lgs 165/2001 modifica radicalmente l’intera normativa sui procedimenti
disciplinari e nel ridurre il potere sanzionatorio dei dirigenti al solo
rimprovero verbale, riconnette tutte le altre sanzioni (conservative ed
espulsive) agli uffici per i procedimenti disciplinari, fissando un termine generale
di 90 giorni. Dunque, il legislatore allunga da 60 a 90 giorni tutti i
procedimenti per applicare le sanzioni che vanno dalla censura fino alla
sospensione dal rapporto di lavoro con privazione della retribuzione fino a 10
giorni.
Dunque, mentre si impone la frettolosità sulla sanzione più grave, che meriterebbe necessaria ponderatezza nell’istruttoria, si allungano i termini per le sanzioni minori. Quale sarebbe la coerenza di tutto ciò?
Dunque, mentre si impone la frettolosità sulla sanzione più grave, che meriterebbe necessaria ponderatezza nell’istruttoria, si allungano i termini per le sanzioni minori. Quale sarebbe la coerenza di tutto ciò?
4. Ancora,
poiché la previsione del termine di 90 giorni per la conclusione dei
procedimenti riguarderà anche quelli finalizzati all’eventuale licenziamento
disciplinare non caratterizzato da fatti commessi in flagranza, comunque la
riforma Madia determinerebbe una riduzione dei termini per le procedure fino ad
oggi gestibili in 120 giorni appunto a 90. Non sarebbe stato più utile trovare
una composizione e ricondurre anche i provvedimenti connessi alla flagranza al
termine di 90 giorni? Anche per evitare l’ingestibilità di casi di assenze di
massa?
5. La
riforma Madia, comunque, mentre da un lato riscrive in modo davvero incoerente ed
al limite della pura casualità termini e procedure, nega anche la loro stessa
utilità. Si vuole introdurre, infatti, la disposizione a mente della quale “La violazione dei termini e delle disposizioni
previste dal presente articolo (il 55-bis del d.lgs 165/2001, nda), fatta salva l'eventuale responsabilità del
dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall'azione disciplinare
né l'invalidità della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente
compromesso il diritto di difesa del dipendente”.
Dunque, come si nota, i termini e le procedure finiscono per non servire a nulla, se non a complicare al parossismo il tutto. Infatti, il procedimento disciplinare andrebbe egualmente avanti, ma occorrerebbe:
Dunque, come si nota, i termini e le procedure finiscono per non servire a nulla, se non a complicare al parossismo il tutto. Infatti, il procedimento disciplinare andrebbe egualmente avanti, ma occorrerebbe:
a. attivare
una procedura di responsabilità disciplinare, dirigenziale e forse anche
erariale per il dipendente che abbia comunque violato i termini (ma, se
finiscono per essere solo ordinatori, perché dovrebbero determinare responsabilità?);
b. porre
in essere una complessa delibazione, volta a dimostrare che la violazione dei
termini non abbia compromesso “irrimediabilmente” il diritto di difesa;
operazione che, oggettivamente, può compiere in modo esaustivo e, soprattutto,
facente “stato” solo il giudice. E c’è da scommettere sul potenziale
deflagrante del contenzioso di simile disposizione.
In conclusione, la ricerca del
facile plauso di una stampa solo a caccia di notizie da sparare per fare
contente le tricoteuse come “finalmente
licenziabili i dipendenti pubblici”, conduce sempre verso riforme confuse e
causa di contraddizioni e complicazioni. Il vero assente finisce per essere il
buon senso.
Per l'efficacia delle azioni di repressione, non serve correre, non è utile la "velocità" per la velocità, che ha troppo caratterizzato un triennio di governo poco produttivo di risultati: occorrono tempi certi, certezza del diritto, certezza che i mezzi a disposizione risultino efficaci. Il resto vale solo per le arene televisive di chi si parla allo specchio.
E' il risultato di giornalisti e consulenti incompetenti o, peggio, pagati per scrivere quel che vuole il governo che finanzia il proprio editore. Mi chiedo, come faremo ad uscire da questo circolo vizioso e ad avere buone, semplici e trasparenti leggi?
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