I confini della vicenda della
polizza vita stipulata dall’ex segretario particolare del sindaco di Roma suo
beneficio (e a sua insaputa) non sono ancora chiari.
Un comunicato della Procura
della Repubblica di Roma, titolare di un’inchiesta su Virginia Raggi
evidentemente a spettro molto ampio, lascia trasparire che non vi sono risvolti
penali quanto meno legati alla probabilità che dietro la stipulazione della
polizza vi sia il reato di corruzione.
Ottimo. Vicenda chiusa, dunque?
Non diremmo.
Non si deve dimenticare che, piaccia o non piaccia, in Italia nel
2012 con la legge 190 “anticorruzione” è stato introdotto un mastodontico
impianto normativo finalizzato a perseguire non il reato di corruzione, bensì
la prevenzione di ogni comportamento dei dipendenti pubblici (la norma sfiora
soltanto le responsabilità degli organi politici…) che possa “inquinare” l’azione
amministrativa, corrompendola nel senso di sviarla dal fine necessario di
perseguire l’interesse pubblico, per condurla verso fini anche o esclusivamente
privati.
Dunque, l’esclusione di una
fattispecie dall’inquadramento di reato non consente di trascurare l’obbligo di
valutare se i fatti possano comunque dare corso a conflitti di interessi o,
comunque, comportamenti “corruttivi” di tipo amministrativo e non penale,
rientranti nel complesso appunto della normativa anticorruzione.
Questa indagine va effettuata
prescindendo del tutto dalle motivazioni di ordine psicologico che, nel caso di
specie, possano aver indotto Salvatore Romeo a beneficiare della polizza il
sindaco di Roma, come la stima nei confronti della persona.
Andiamo a guardare, in
proposito, il dpr 62/2013, quello che inguaia indirettamente il sindaco di Roma
per l’incarico assegnato a Renato Marra, fratello di Raffaele, in violazione
dell’obbligo di astensione imposto da quella norma, che è il codice di
comportamento dei dipendenti pubblici.
L’articolo 7, comma 1, del
codice dispone: “Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di
suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi,
oppure di persone con le quali abbia
rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni
con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di
credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia
tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non
riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o
gerente o dirigente. Il dipendente si
astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza.
Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza”.
La norma, come detto, si
riferisce al comportamento dei soli dipendenti pubblici: un vizio genetico
immenso della disciplina anticorruzione, molto severa – giustamente – nel
perseguire azioni poco commendevoli dell’apparato, ma inaccettabilmente lacunosa
nel non estendere i propri canoni agli organi politici che più ancora dei
dipendenti dispongono di poteri decisionali ed operativi esposti allo sviamento
dall’interesse pubblico.
Immaginiamo che la norma si
applichi, invece, agli organi di governo e, dunque, anche ad un sindaco.
Ebbene, tale norma impedirebbe in maniera molto chiara a qualsiasi sindaco di elargire
a piene mani incarichi in staff o dirigenziali, che per altro comportano
spessissimo la “promozione” senza concorsi in qualifiche non possedute dai
destinatari o quanto meno la crescita di tre/quattro volte del loro trattamento
economico, ad “amici” e “persone di fiducia”. Infatti, la frequentazione
abituale e le ragioni di convenienza dovrebbero essere da argine alla creazione
di “cerchi magici”, nei quali i beneficiati ottengono cariche rilevantissime
esclusivamente per i rapporti privilegiati sempre più personali che partitici,
cagione sostanzialmente esclusiva della loro scelta.
Invertiamo, adesso, il
ragionamento. Immaginiamo che il dipendente comunale Tizio, un valente
funzionario non avente qualifica dirigenziale, ma “attivista” politico, per
questo “in vista” nel suo movimento e ben conosciuto da un candidato sindaco
nel comune ove lavora, punti ad ottenere un riconoscimento concreto per l’attivismo
che da anni manifesta e conferma.
Questo dipendente potrebbe
essere portato a ritenere che, data la presenza di una serie di norme per le
quali ai sindaci è data la possibilità di distribuire incarichi “fiduciari” a
chi meglio ritengano, senza concorso e con stipendi parametrati a quelli dei
dirigenti, aspirare a simili incarichi dimostrandosi anche disposti a
rinunciare a parte dell’incremento (molto significativo) del proprio
trattamento economico possa essere un argomento tale da convincere
ulteriormente della propria “fedeltà”. Immaginiamo anche che questo tipo di
ragionamento, oltre a potersi sviluppare con la banale e pedestre restituzione
di parte dello stipendio, si esplichi in forme finanziariamente più
sofisticate, come strumenti di investimento, quali polizze vita con riscatto.
Ovviamente, non possiamo sapere
se il caso delle polizze stipulate da Salvatore Romeo, dipendente comunale tra
i tanti, ma attivista di M5S chiamato nello staff del sindaco di Roma con
stipendio quasi quadruplicato, derivi da ragionamenti simili a quelli che
abbiamo esposto poco sopra, né lo affermiamo, perché non abbiamo né modo, né intenzione
di farlo.
Tuttavia, appare piuttosto
chiaro che le regole che consentono ai sindaci e, in generale, a tutti gli
organi politici di costruire “staff” mediante incarichi “fiduciari” lautamente
pagati, senza alcun concorso e persino a persone con la sola terza media (è il
caso dell’articolo 90, comma 3-bis, del d.lgs 267/2000, quello che consente
appunto di parametrare gli stipendi dei collaboratori dei sindaci a quelli dei
dirigenti, anche se i componenti dello staff non abbiano i requisiti nemmeno
per pensare di partecipare ad un concorso pubblico per dirigente), apra spazi
enormi a comportamenti certamente non in linea con l’esigenza di garantire l’interesse
pubblico. Questi spazi permettono con ogni evidenza di trattare gli incarichi
fiduciari come affari molto privati e molto poco pubblici, con costi per i
cittadini.
Qualcuno, a questo punto, può
obiettare che un sindaco ha il diritto di circondarsi di persone di propria
fiducia, non potendo ovviamente conoscere personalmente l’apparato comunale.
Non è il caso di rispondere che
qualsiasi sindaco deve avere piena fiducia nell’apparato amministrativo, perché
è una carica pubblica e sarebbe impensabile che proprio un esponente pubblico
di tale natura possa nutrire dubbi sulla fedeltà “tecnica” dell’apparato
amministrativo, che ai sensi dell’articolo 98 della Costituzione è obbligato a
curare l’interesse della Nazione.
Ammettiamo che il sindaco abbia
comunque diritto ad un proprio staff, per farsi guidare e consigliare anche politicamente.
Ammettiamo che a questo scopo non serva la giunta comunale (che, invece,
avrebbe esattamente tale funzione). Diamo, dunque, per scontato che al sindaco
serva un consulente legale, uno tecnico, uno politico (al di là di soggetti
come porta voce o capo ufficio stampa che non possono non essere legati con un
rapporto di fiducia, o del segretario “particolare”, che deve poter garantire
estrema riservatezza su dossier in corso di evoluzione).
Bene, ammettiamo, quindi, questo
diritto. Siccome, però, l’apparato amministrativo è formato da dipendenti
pubblici scelti per concorso e non dal sindaco e costa miliardi di euro ai
cittadini, alla necessaria “fiducia” che un sindaco richiede ad un proprio
staff, non può corrispondere simmetrica “sfiducia” nell’apparato amministrativo
di ruolo, che costa e deve essere messo in condizione di lavorare.
Quindi, che i sindaci e
qualsiasi altro organo si circondino di cerchi magici con persone di loro
estrema fiducia: ma, per piacere, anche allo scopo di evitare i pericoli
corruttivi aperti da norme mal congegnate, che si vieti che il pagamento degli
staff gravi sulle casse pubbliche: i consulenti vari del sindaco e degli altri
organi politici, li paghino il sindaco stesso e gli altri organi politici,
oppure i partiti o movimenti dei quali fanno parte. E tali componenti degli
staff non firmino una sola carta, una sola decisione, ma facciano pure le
valutazioni di merito e le relazioni sull’azione dell’apparato amministrativo
al sindaco e a chi ritengano.
In questo modo, finalmente, si
farebbe chiarezza e soprattutto si eviterebbe di lasciar pensare a chiunque che
stipendi e cariche pubbliche possano essere strumenti per compensare la stima e
la fiducia reciproca e non per retribuire funzioni pubbliche nell’esclusivo
interesse della Nazione.
Soprattutto, si riuscirebbe
meglio a capire che la pubblica amministrazione è al servizio dei cittadini e
degli organi politici elettivi, ma non dei partiti. La costituzione di un
ufficio pubblico non può e non deve essere equivalente all’occupazione di “attivisti”
ed esponenti dotati di tessera o, comunque, selezionati in base ad una
dichiarata militanza.
I partiti svolgano la loro importante funzione di formazione di indirizzi politici e selezione del personale da candidare alle cariche pubbliche, ma restando sempre fuori dalla soglia di ingresso nelle istituzioni.
I partiti svolgano la loro importante funzione di formazione di indirizzi politici e selezione del personale da candidare alle cariche pubbliche, ma restando sempre fuori dalla soglia di ingresso nelle istituzioni.
Se dovessimo essere molto pignoli, anche l'invito a un convegno può vedersi come motivo di corruzione, la scrittura dell'introduzione sia pure gratuita di un libro, l'intervista a un giornale invece che a un altro ecc. ecc. Comportamenti adottati dal 99,9% delle persone che contano in Italia. Perchè sotto un piano puramente logico, se altrimenti interpretate le norme manterranno in vita la vera corruzione e colpiranno solo chi sbaglia in buona fede. Però, se si perde di vista la ragionevolezza delle norme e delle interpretazioni, di un funzionario, di un Magistrato, di un'Autorità, dovremmo leggere il nome solo negli atti ufficiali. La stampa sta facendo le pulci alla Raggi, ma non ad altre centinaia di migliaia di politici e Autorità varie; basta cambiare obiettivo e le scoperte e le considerazioni, tra un dire e non dire, supporre e sospettare, saranno uguali.
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