venerdì 17 marzo 2017

Province: il Sose si accorge che mancano i soldi. Dopo aver sostenuto il disastro Delrio

Sose, la società del Ministero dell'economia molto tristemente nota per le sue elaborazioni in merito agli studi di settore, è stata decisiva per il disastro delle riforme delle province.
Infatti, sulla base di elaborazioni e studi che più che definire farraginosi è inevitabile considerarli semplicemente fantasiosi, ha supportato la decisione adottata a tavolino con la legge 190/2014. Per effetto di questa norma, come è noto, si è stabilita un'impossibile equivalenza tra valori finanziari delle funzioni "non fondamentali" che si intendeva sottrarre alle competenze delle province e loro quantificazione, stabilendo che era possibile imporre alle province di versare nel bilancio dello Stato progressivamente 1 miliardi nel 2015, 2 nel 2016 e a regime 3 a partire dal 2017, a fronte dei minori costi da sostenere.

Un conteggio del tutto astratto, che non ha tenuto conto, come troppo spesso accade, della realtà. Non si è fatta alcuna verifica della sostenibilità dei conti. Nè si è tenuto conto che per tutto il 2015 e buona parte del 2016 le province hanno continuato a gestire anche le funzioni non fondamentali che secondo lo sfacelo della legge Delrio sarebbero dovute passare ad altri enti. Per altro, ancora a 3 anni di distanza dalla sciagurata riforma, molte di quelle funzioni sono ancora in capo alle province, perchè ad esse riconfermate dalle regioni (spesso senza contropartita finanziaria) o semplicemente poichè nessuno ha ancora stabilito in via definitiva quale ente debba gestirle.
Non ci voleva certo un genio per capire che il quadro finanziario era insostenibile. E infatti dal 2015 il Governo e il Parlamento hanno continuato a mettere "pezze" al disastro della riforma: consentendo alle province di approvare bilanci solo annuali per non evidenziare i disequilibri nel triennio da cui deriva il dissesto; oppure prevedendo rattoppi vari, come contributi per restituire (in modo insufficiente) parte delle risorse oggetto del prelievo forzoso loro imposto, agevolazioni sul pagamento dei mutui, acrobazie per la vendita di immobili all'Invimit.
Nonostante questo, il Sose certifica, a distanza di tre anni, che mancano all'appello dei bilanci delle province 651 milioni.
Forse, sarebbe stato il caso che il Sose non reggesse il gioco delle riforme populiste, approvate tanto per riformare e, per altro, con la formula incostituzionale dell'attesa dell'entrata in vigore delle modifiche alla Costituzione, che non sono mai divenute efficaci dopo il referendum del 4 dicembre.
Sarebbe stato opportuno che il Sose, invece di sperticarsi in calcoli e formule ad usum delphini, chiarisse ufficialmente che la manovra della legge 190/2014 era semplicemente insostenibile, come del resto in più occasioni aveva accertato la Corte dei conti.
E' vero che nell'inchiesta con la quale la trasmissione Report aveva evidenziato lo sfacelo della riforma Delrio l'amministratore delegato della Sose aveva, a mezza bocca, ammesso che i conti previsti dalla legge 190/2014 erano sostenibili solo per il 2015 (ma non era vero nemmeno questo). Tuttavia, ciò non assolve la Sose dai suoi lampanti errori: aver teso una mano al Governo, per fare conteggi tali da far emergere la sostenibilità di una manovra finanziaria sulle province totalmente insostenibile, salvo mezze smentite a mezzo stampa e salvo accorgersi, nel 2017, a disastro avvenuto, che mancano 651 milioni. Troppo facile. Troppo semplice.

1 commento:

  1. Immagino che la Corte dei Conti sa che questi dirigenti e studiosi del Sose sono lautamente ricompensati per il loro prezioso contributo. Alla luce dei recenti esposti dei Presidenti delle Province non è escluso che la triste vicenda non abbia risvolti penali.

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