La
deliberazione 241/2017 dell’Anac sull’applicazione dell’articolo 14 del d.lgs
33/2013 non può non destare più di una perplessità, nel regolare gli obblighi
di pubblicazione per i dirigenti.
Si
deve dare atto all’Autorità che essa, come riferisce nella delibera, “ha
espresso forti perplessità sulla disposizione in esame, specie per quel che
concerne l’ostensione dei dati reddituali e patrimoniali, tenuto conto che ai
dirigenti comunque si applica la norma che stabilisce la pubblicazione degli
emolumenti percepiti a carico della finanza pubblica”.
Perplessità
più che condivisibili. L’Anac osserva argutamente che, in effetti, “con le
modifiche apportate al d.lgs. 33/2013 dal d.lgs. 97/2016 si è introdotto un
principio di tendenziale allineamento in tema di trasparenza tra organi
politici e dirigenti”.
Non
è chi non veda l’irragionevolezza di questo principio. O, almeno, tale
irragionevolezza è stata ravvisata dal Tar Lazio, con l’ordinanza della Sezione
I-Quater 2 marzo 2017, n. 1030, che ha accolto il ricorso di alcuni dirigenti
dell’Autorità Garante della privacy proprio contro la pubblicazuione delle
dichiarazioni dei redditi e della situazione patrimoniale, imposta ai dirigenti
pubblici dall’articolo 14 del d.lgs 33/2013, avendo il Tar riscontrato:
-
la consistenza delle questioni di costituzionalità e di compatibilità con le
norme di diritto comunitario sollevate in ricorso;
-
l’irreparabilità del danno paventato dai ricorrenti, discendente dalla
pubblicazione online, anche temporanea, dei dati per cui è causa, da cui
l’esigenza di salvaguardare la res adhuc integra nelle more della
decisione del merito della controversia.
Naturalmente,
l’Anac, più di aver sollevato perplessità sul contenuto della norma non poteva.
Quindi, con la linea guida relativa alla trasparenza non poteva certo
disapplicarla.
Sta
di fatto che l’allineamento in tema di trasparenza tra organi politici e
dirigenti sicuramente operato dal d.lgs 97/2016 che ha modificato i contenuti
dell’articolo 14 del d.lgs 33/2013 appare molto discutibile. Non si capisce,
infatti, la ragione per la quale debba esistere un medesimo regime di
“controllo diffuso” della popolazione sullo stato patrimoniale sia di chi si
candida a cariche elettive, sia di chi, invece, null’altro fa se non svolgere
un’attività lavorativa.
Ponendo
che i rischi di corruzione siano da fissare in misura equivalente per incarichi
politici e dirigenziali, poiché questi ultimi non sono elettivi, non si capisce
quale possa essere la ratio della loro ostensione alla popolazione: sarebbe
bastato il deposito delle dichiarazioni dei redditi e patrimoniali agli atti
delle amministrazioni, o al limite imporne anche la trasmissione alla Procura
della repubblica per svolgere ogni possibile controllo. La pubblicazione appare
eccessiva, come fuori mira l’assimilazione tra politici e dirigenti,
espressamente non voluta dall’ordinamento del lavoro pubblico, che pone in
maniera esplicita il principio di separazione tra politica e dirigenza.
Si
vedrà quale sarà l’esito dell’iniziativa del Tar Lazio ed il destino della
norma, se andrà al vaglio della Corte costituzionale.
Certo
è, però, che la delibera 241/2017 dell’Anac difficilmente si fa apprezzare per
coerenza. Infatti, se esordisce con una critica sommessa all’assimilazione tra
politica e dirigenza ivi rilevata, per altro verso, mentre si autoesclude
correttamente dal potere di sottrarre la dirigenza “operativa” agli obblighi di
legge, contestualmente, invece, si assume un potere – oggettivamente non
previsto da nessuna norma – per incidere sulle disposizioni normative e
decidere di sottrarre agli obblighi di pubblicità i dirigenti incaricati negli
uffici di diretta collaborazione (o in staff) agli organi di governo.
Leggiamo
la delibera: “Con riferimento a tali uffici l’Autorità ha ritenuto
necessario svolgere uno specifico approfondimento. Occorre in primo luogo
distinguere tra incarichi dirigenziali conferiti all’interno degli uffici e
incarichi di capo/responsabile dell’ufficio. Per i primi non vi sono dubbi
sull’applicazione del regime di trasparenza introdotto per tutta la dirigenza
amministrativa dall’art. 14, co. 1-bis. Più incerta, invece, appare
l’individuazione del regime applicabile ai secondi”. Perchè sarebbe
incerta? La domanda appare priva di risposta, soprattutto leggendo il testo
dell’articolo 14, comma 1-bis, del d.lgs 33/2013 ai sensi del quale “Le
pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui al comma 1 per i titolari di
incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di governo comunque
denominati, salvo che siano attribuiti a titolo gratuito, e per i titolari
di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi
quelli conferiti discrezionalmente dall'organo di indirizzo politico senza
procedure pubbliche di selezione”.
La
norma appare scritta in modo così ampio ed onnicomprensivo da far ritenere che:
-
l’espressione “a qualsiasi titolo conferiti” ricomprenda l’assegnazione di
incarichi dirigenziali sia a titolo di preposizione a vertici operativi, sia
agli staff degli organi di governo;
-
l’espressione “conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico”
riguarda certamente proprio e specificamente gli incarichi negli staff degli
organi di governo.
Sorprendentemente,
invece, l’Anac sostiene che la intrinseca estraneità dei dirigenti in staff
agli organi di governo alla dirigenza amministrativa non possa “essere
superata da una interpretazione estensiva della disposizione dell’art.
14, co. 1-bis, allorché applica il regime di trasparenza di cui al co. 1 agli
«incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli
conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedura
pubbliche di selezione». Soprattutto la parte finale del periodo deve essere
interpretata nel senso che il legislatore ha voluto comprendere nel regime di
trasparenza tutti i dirigenti amministrati, ivi compresi quelli nominati come
“dirigenti esterni” (in applicazione dell’art. 19, co. 6 del d.lgs. 165/2001).
Anche per questi si resta nel campo della dirigenza amministrativa”.
Perchè includere i dirigenti in
staff agli organi di governo tra gli obbligati alla pubblicità esattamente come
i dirigenti preposti alla gestione sarebbe una “interpretazione estensiva” non
è dato capire, visto che appare, al contrario, una stretta interpretazione
letterale, come visto prima.
L’Anac,
come si vede, sul piano interpretativo ritiene di poter esercitare quel potere
di vera e propria disapplicazione della norma, che non ritiene di poter
adottare per i dirigenti preposti alla gestione e sancisce: “Dalla lettura
della nuova disciplina dell’art. 14 deriva una chiara esclusione per i
responsabili degli uffici di diretta collaborazione dal regime introdotto per
la dirigenza amministrativa”, precisando che “a tali soggetti sia
applicabile il regime di trasparenza di cui alle lett. da a) ad e) del co. 1
dell’art. 14, dal momento che il più restrittivo regime che comprende anche la
pubblicità di cui alla lett. f) risulta escluso”.
L’interpretazione
fornita non è condivisibile né nel metodo, né nel merito. Sul piano del metodo
interpretativo, l’Anac da un lato esercita un potere derogatorio o
disapplicativo di cui assolutamente non dispone; inoltre, l’interpretazione che
fornisce va sicuramente al di là del chiarissimo significato delle parole
contenute nella norma, contrastando con le evidenze dell’interpretazione
letterale che, quando risulti esplicita e non controversa, non può essere
travisata da altre modalità interpretative.
Nel
merito, poi, quanto conclude l’Anac appare ancor meno accettabile, proprio in
virtù del rilevato “allineamento” del trattamento normativo della politica con
quello della dirigenza. Come è possibile, infatti, da un lato evincere –
correttamente – il principio di “allineamento” e, dall’altro, escludere da
detto allineamento proprio la dirigenza più contigua e, quindi, oggettivamente
e davvero “allineata” alla politica? Come è possibile, proprio per incarichi i
cui compensi spesso sfondano tutti i tetti imposti dalla contrattazione
collettiva? Come è possibile che questo si disponga per incarichi che, negli
enti locali ai sensi dell’articolo 90, comma 3-bis, possono anche essere
affidati a soggetti con la sola terza media? Non è evidente che le esigenze di
“controllo diffuso” proprie del tanto esaltato “Foia” all’italiana dovrebbero
concentrarsi soprattutto nei confronti di chi assurge a cariche onerose per
processi strettamente politici e non di ingresso nel mondo del lavoro?
Nessun commento:
Posta un commento