domenica 16 aprile 2017

Non c’è fiduciarietà nella scelta dei dirigenti a contratto – Erronea sentenza del Consiglio di stato


La questione relativa alle modalità di individuazione dei dirigenti a contratto si arricchisce di un nuovo capitolo, grazie alla sentenza del Consiglio di stato, Sezione V, 4/4/2017 n. 1549.
Una sentenza che occorre subito indicare come erronea, ma che merita approfondimento.
L’assunto dei giudici di Palazzo Spada è che la selezione prevista dall’articolo 110 del d.lgs 267/2000 è cosa diversa dal concorso, perché non dà luogo ad una graduatoria formata da una commissione tecnica da cui deriva la scelta vincolata del dirigente da assumere. La selezione si limiterebbe, invece, “ad accertare tra coloro che hanno presentato domanda quale sia il profilo professionale maggiormente rispondente alle esigenze di copertura dall’esterno dell’incarico dirigenziale. Di ciò si trae in particolare conferma dagli atti di conferimento dell’incarico a favore del controinteressato omissis impugnati con motivi aggiunti dal omissis. In essi non compare alcuna graduatoria, ma solo un giudizio finale di maggiore idoneità del candidato selezionato dall’amministrazione”.
In particolare, la sentenza del Consiglio di stato richiama i principi enunciati in alcune sentenze dalle Sezioni unite della Cassazione (da ultimo: Cass., SS.UU, ord. 8 giugno 2016, n. 11711, 30 settembre 2014, n. 20571), ricordando che per queste pronunce si deve ritenere devoluita alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia originata dall’impugnazione di atti di una procedura selettiva finalizzata al conferimento di incarichi dirigenziali a carattere non concorsuale. Per il Consiglio di stato:
a) “per concorso si intende la procedura di valutazione comparativa sulla base dei criteri e delle prove fissate in un bando da parte di una commissione esaminatrice con poteri decisori e destinata alla formazione di una graduatoria finale di merito dei candidati”;
b) “al di fuori di questo schema l’individuazione del soggetto cui conferire l’incarico invece costituisce l’esito di una valutazione di carattere discrezionale, che rimette all’amministrazione la scelta, del tutto fiduciaria, del candidato da collocare in posizione di vertice, ancorché ciò avvenga mediante un giudizio comparativo tra curricula diversi”.
Il Consiglio di stato accetta le conclusioni di questo indirizzo giurisprudenziale, affermando che “le controversie relative al conferimento degli incarichi dirigenziali, anche se implicanti l’assunzione a termine di soggetti esterni, sono di pertinenza del giudice ordinario, in applicazione dell’art. 63, comma 1, del testo unico sul pubblico impiego, mentre esulano dalla nozione di «procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni» prevista dal citato comma 4 della medesima disposizione”.
La teoria espressa dal Consiglio di stato si appoggia ad un errore molto grave, molto presente nella giurisdizione del giudice ordinario e che, come si nota, inizia a diffondersi anche nella giurisdizione amministrativa: la confusione tra conferimento dell’incarico dirigenziale e la costituzione del rapporto di lavoro dirigenziale. Errore al quale si aggiunge anche una visione formalistica della nozione di concorso.
Il tutto discende dalle previsioni dei commi 1 e 4 dell’articolo 63, in merito alla giurisdizione: li riportiamo di seguito in una tabella di confronto:
Art . 63, comma 1
Art. 63, comma 4
Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. L'impugnazione davanti al giudice amministrativo dell'atto amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processo.
Restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all'articolo 3, ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi.
Ai sensi dell’articolo 110, comma 1, del d.lgs 267/2000, gli incarichi a contratto si assegnano, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, “previa selezione pubblica volta ad accertare, in capo ai soggetti interessati, il possesso di comprovata esperienza pluriennale e specifica professionalità nelle materie oggetto dell'incarico”.
Basta, allora, qualificare la procedura in argomento come “selezione” invece che come “concorso” per giungere alle conclusioni cui perviene il Consiglio di stato e la richiamata (erronea) giurisprudenza della Cassazione? Ed è corretto sostenere che la “selezione” sia una valutazione “discrezionale” o, meglio, “fiduciaria” tra i vari curriculum scrutinati, senza alcun vincolo di graduatoria?
La risposta non può che essere negativa. La “maggiore idoneità” all’incarico, quale giudizio finale della “selezione” non ha alcuna differenza qualitativa rispetto al giudizio finale di un concorso. D’altra parte, l’articolo 110 utilizza espressamente la parola “selezione”. Essa deriva dal latino selectionem, composta da due parti: il prefisso se-, che esprime separazione; ed il verbo ligo, forma indebolita del verbo lego, scegliere. Quindi, la selezione è necessariamente una graduatoria, perché è il processo che scarta, slega, una serie di candidati o di oggetti comparati tra loro, così da individuare quello appunto selezionato perché maggiormente idoneo alle necessità del selezionatore.
Ora, questo processo nei suoi effetti non può considerarsi diverso, nella sostanza anche se non nella procedura, da quello concorsuale: mira, infatti, ad individuare il soggetto meglio rispondente ai fabbisogni della pubblica amministrazione.
Che ciò avvenga mediante un concorso strutturato, oppure con una “selezione” non avente i tratti formali di una procedura, conta assai poco.
Non si tratta della comparazione, infatti, tra curriculum di soggetti che dispongono certamente della qualifica dirigenziale, allo scopo di selezionare quello maggiormente sovrapponibile alle capacità operative necessarie per il conseguimento degli obiettivi gestionali della struttura alla quale essere preposti, ma di una selezione il cui scopo è costituire un rapporto di lavoro di qualifica dirigenziale a tempo determinato.
A differenza di quanto ritiene erroneamente il Consiglio di stato ed il filone giurisprudenziale al quale si poggia, tale considerazione è dirimente per escludere radicalmente che ad esito della procedura selettiva possa esservi una scelta “discrezionale” che in quanto “fiduciaria” alla fine altro non è se non del tutto rimessa all’arbitrio del soggetto che esercita tale presunts “discrezionalità”.
Ciò in ogni caso confligge irrimediabilmente con l’articolo 97 che impone procedure appunto selettive, effettuate con accorgimenti di natura tecnica, per selezionare i migliori e più capaci. Che queste procedure si definiscano “concorsi” o “selezioni” non ha importanza alcuna. Dovendosi in ogni caso rispettare i principi, posti sempre dall’articolo 97 della Costituzione, di imparzialità e buon andamento, una selezione, se è tale perché slega dall’insieme dei valutati quello ritenuto migliore, non può che concludersi con una pesatura di merito, con esiti certamente differenziati, tale da dimostrare sul piano tecnico perché i requisiti del selezionato risultino superiori a quelli degli altri.
Ciò esclude radicalmente che la ragione della scelta possa consistere, invece, nella “fiducia”. Del resto, il Consiglio di stato, aggravando ulteriormente l’errore in cui incorre, dimentica che la selezione richiesta dall’articolo 110, comma 1, del d.lgs 267/000, è stata introdotta dal legislatore nel 2014 allo scopo esplicito di chiarire l’equivoco discendente dal più laconico testo antecedente la riforma. Detto testo precedente, non richiedendo appunto una selezione pubblica, poteva a maggior ragione essere letto come assegnazione della facoltà di una scelta fiduciaria tra una rosa di nomi di pari o analoga professionalità. L’introduzione della selezione pubblica ha inteso negare espressamente che la PA possa esercitare una scelta fiduciaria, anche se il sistema selettivo non sia un concorso e, dunque, anche laddove la giurisdizione possa considerarsi del giudice ordinario, invece che del giudice amministrativo.
D’altra parte, un filone giurisprudenziale altrettanto solido di quello al quale ha aderito la sentenza in commento è ben presente. Ad esempio, Corte dei conti, Sezione Centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, che con la deliberazione 5 febbraio 2016, n. 2, ha sancito: “Il conferimento di incarichi dirigenziali non può prescindere dall’effettuazione delle procedure concorsuali ai sensi dell’art. 19 del d.lgs 165/2001. Sono illegittimi i conferimenti effettuati senza il rispetto delle forme regolamentari di pubblicità dei posti vacanti ed in assenza delle procedure valutative in quanto il suddetto procedimento appare effettuato al duplice scopo di contemperare sia l’interesse dell’Amministrazione ad attribuire il posto al più idoneo in ossequio al principio del buon andamento, sia ad assicurare la parità di trattamento e le legittime aspirazioni degli interessati, come ripetutamente affermato da questa Sezione con delibere nn. 21/2010/PREV; 3/2013/PREV; 25/2014/PREV”.
In aggiunta, il Tar Puglia-Lecce, Sezione II ha emesso la sentenza 21.12.2015, n. 3661, secondo la quale i dirigenti a contratto possono essere assunti solo in esito ad una vera e propria procedura selettiva di natura tecnica che escluda una scelta totalmente discrezionale dell’organo di governo. A giudizio del magistrato amministrativo leccese, la necessità di un sistema selettivo e realmente basato sul merito, scevro da qualsiasi considerazione di legami politici o, comunque, di vicinanza personale ai soggetti dotati del potere di attribuire gli incarichi dirigenziali, vale anche per gli incarichi a contratto.
La procedura speciale indicata dall’articolo 110 del d.lgs 267/2000, pur non coincidendo con un concorso pubblico, deve comunque considerarsi avere natura para – concorsuale. D’altra parte, ragiona il Tar, se così non fosse, se, cioè, si ritenesse che l’articolo 110 consenta una scelta intuitu personae, “risulterebbe assai dubbia la compatibilità costituzionale della norma de qua in riferimento all’art. 97, commi 2 e 4, Cost.
Pare evidente che il ragionamento – erroneo – proposto dal Consiglio di stato oltre a porsi in contrasto con la Costituzione vada anche a cozzare con le disposizioni in tema di lotta alla corruzione.
E’ da auspicare che Palazzo Spada lasci la pronuncia in commento come una rondine a primavera e non più che un incidente di percorso, sulla via retta del rispetto necessario delle regole costituzionali.

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