La questione relativa alle modalità di individuazione dei dirigenti
a contratto si arricchisce di un nuovo capitolo, grazie alla sentenza
del Consiglio di stato, Sezione V, 4/4/2017 n. 1549.
Una sentenza che occorre subito indicare come erronea, ma che merita
approfondimento.
L’assunto dei giudici di Palazzo Spada è che la
selezione prevista dall’articolo 110 del d.lgs 267/2000 è cosa
diversa dal concorso, perché non dà luogo ad una graduatoria
formata da una commissione tecnica da cui deriva la scelta vincolata
del dirigente da assumere. La selezione si limiterebbe, invece, “ad
accertare tra coloro che hanno presentato domanda quale sia il
profilo professionale maggiormente rispondente alle esigenze di
copertura dall’esterno dell’incarico dirigenziale. Di ciò si
trae in particolare conferma dagli atti di conferimento dell’incarico
a favore del controinteressato omissis impugnati con motivi aggiunti
dal omissis. In essi non compare alcuna graduatoria, ma solo un
giudizio finale di maggiore idoneità del candidato selezionato
dall’amministrazione”.
In particolare, la sentenza del Consiglio di stato richiama i
principi enunciati in alcune sentenze dalle Sezioni unite della
Cassazione (da ultimo: Cass., SS.UU, ord. 8 giugno 2016, n. 11711, 30
settembre 2014, n. 20571), ricordando che per queste pronunce si deve
ritenere devoluita alla giurisdizione del giudice ordinario la
controversia originata dall’impugnazione di atti di una procedura
selettiva finalizzata al conferimento di incarichi dirigenziali a
carattere non concorsuale. Per il Consiglio di stato:
a) “per concorso si intende la procedura di valutazione
comparativa sulla base dei criteri e delle prove fissate in un bando
da parte di una commissione esaminatrice con poteri decisori e
destinata alla formazione di una graduatoria finale di merito dei
candidati”;
b) “al di fuori di questo schema l’individuazione del soggetto
cui conferire l’incarico invece costituisce l’esito di una
valutazione di carattere discrezionale, che rimette
all’amministrazione la scelta, del tutto fiduciaria, del candidato
da collocare in posizione di vertice, ancorché ciò avvenga mediante
un giudizio comparativo tra curricula diversi”.
Il Consiglio di stato accetta le conclusioni di questo indirizzo
giurisprudenziale, affermando che “le controversie relative al
conferimento degli incarichi dirigenziali, anche se implicanti
l’assunzione a termine di soggetti esterni, sono di pertinenza del
giudice ordinario, in applicazione dell’art. 63, comma 1, del testo
unico sul pubblico impiego, mentre esulano dalla nozione di
«procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle
pubbliche amministrazioni» prevista dal citato comma 4 della
medesima disposizione”.
La teoria espressa dal Consiglio di stato si appoggia ad un errore
molto grave, molto presente nella giurisdizione del giudice ordinario
e che, come si nota, inizia a diffondersi anche nella giurisdizione
amministrativa: la confusione tra conferimento dell’incarico
dirigenziale e la costituzione del rapporto di lavoro dirigenziale.
Errore al quale si aggiunge anche una visione formalistica della
nozione di concorso.
Il tutto discende dalle previsioni dei commi 1 e 4 dell’articolo
63, in merito alla giurisdizione: li riportiamo di seguito in una
tabella di confronto:
Art . 63, comma 1 |
Art. 63, comma 4 |
Sono devolute al giudice
ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le
controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle
pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, ad
eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma
4, incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro,
il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la
responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le
indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte,
ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti.
Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il
giudice li disapplica, se illegittimi. L'impugnazione davanti al
giudice amministrativo dell'atto amministrativo rilevante nella
controversia non è causa di sospensione del processo. |
Restano devolute alla
giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in
materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei
dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonché, in sede di
giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di
lavoro di cui all'articolo 3, ivi comprese quelle attinenti ai
diritti patrimoniali connessi. |
Ai sensi dell’articolo 110, comma 1, del d.lgs 267/2000, gli
incarichi a contratto si assegnano, fermi restando i requisiti
richiesti per la qualifica da ricoprire, “previa selezione pubblica
volta ad accertare, in capo ai soggetti interessati, il possesso di
comprovata esperienza pluriennale e specifica professionalità nelle
materie oggetto dell'incarico”.
Basta, allora, qualificare la procedura in argomento come “selezione”
invece che come “concorso” per giungere alle conclusioni cui
perviene il Consiglio di stato e la richiamata (erronea)
giurisprudenza della Cassazione? Ed è corretto sostenere che la
“selezione” sia una valutazione “discrezionale” o, meglio,
“fiduciaria” tra i vari curriculum scrutinati, senza alcun
vincolo di graduatoria?
La risposta non può che essere negativa. La “maggiore idoneità”
all’incarico, quale giudizio finale della “selezione” non ha
alcuna differenza qualitativa rispetto al giudizio finale di un
concorso. D’altra parte, l’articolo 110 utilizza espressamente la
parola “selezione”. Essa deriva dal latino selectionem,
composta da due parti: il prefisso se-,
che esprime separazione; ed il verbo ligo,
forma indebolita del verbo lego,
scegliere. Quindi, la selezione è necessariamente una graduatoria,
perché è il processo che scarta, slega, una serie di candidati o di
oggetti comparati tra loro, così da individuare quello appunto
selezionato perché maggiormente idoneo alle necessità del
selezionatore.
Ora, questo processo nei suoi
effetti non può considerarsi diverso, nella sostanza anche se non
nella procedura, da quello concorsuale: mira, infatti, ad individuare
il soggetto meglio
rispondente ai fabbisogni della pubblica amministrazione.
Che ciò avvenga mediante un
concorso strutturato, oppure con una “selezione” non avente i
tratti formali di una procedura, conta assai poco.
Non si tratta della comparazione,
infatti, tra curriculum di soggetti che dispongono certamente della
qualifica dirigenziale, allo scopo di selezionare quello maggiormente
sovrapponibile alle capacità operative necessarie per il
conseguimento degli obiettivi gestionali della struttura alla quale
essere preposti, ma di una selezione il cui scopo è costituire un
rapporto di lavoro di qualifica dirigenziale a tempo determinato.
A differenza di quanto ritiene
erroneamente il Consiglio di stato ed il filone giurisprudenziale al
quale si poggia, tale considerazione è dirimente per escludere
radicalmente che ad esito della procedura selettiva possa esservi una
scelta “discrezionale” che in quanto “fiduciaria” alla fine
altro non è se non del tutto rimessa all’arbitrio del soggetto che
esercita tale presunts “discrezionalità”.
Ciò in ogni caso confligge
irrimediabilmente con l’articolo 97 che impone procedure appunto
selettive, effettuate con accorgimenti di natura tecnica, per
selezionare i migliori e più capaci. Che queste procedure si
definiscano “concorsi” o “selezioni” non ha importanza
alcuna. Dovendosi in ogni caso rispettare i principi, posti sempre
dall’articolo 97 della Costituzione, di imparzialità e buon
andamento, una selezione, se è tale perché slega dall’insieme dei
valutati quello ritenuto migliore, non può che concludersi con una
pesatura di merito, con esiti certamente differenziati, tale da
dimostrare sul piano tecnico perché i requisiti del selezionato
risultino superiori a quelli degli altri.
Ciò esclude radicalmente che la
ragione della scelta possa consistere, invece, nella “fiducia”.
Del resto, il Consiglio di stato, aggravando ulteriormente l’errore
in cui incorre, dimentica che la selezione richiesta dall’articolo
110, comma 1, del d.lgs 267/000, è stata introdotta dal legislatore
nel 2014 allo scopo esplicito di chiarire l’equivoco discendente
dal più laconico testo antecedente la riforma. Detto testo
precedente, non richiedendo appunto una selezione pubblica, poteva a
maggior ragione essere letto come assegnazione della facoltà di una
scelta fiduciaria tra una rosa di nomi di pari o analoga
professionalità. L’introduzione della selezione pubblica ha inteso
negare espressamente che la PA possa esercitare una scelta
fiduciaria, anche se il sistema selettivo non sia un concorso e,
dunque, anche laddove la giurisdizione possa considerarsi del giudice
ordinario, invece che del giudice amministrativo.
D’altra parte, un filone
giurisprudenziale altrettanto solido di quello al quale ha aderito la
sentenza in commento è ben presente. Ad esempio, Corte dei conti,
Sezione Centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo
e delle Amministrazioni dello Stato, che con la deliberazione 5
febbraio 2016, n. 2, ha sancito: “Il conferimento di
incarichi dirigenziali non può prescindere dall’effettuazione
delle procedure concorsuali ai sensi dell’art. 19 del d.lgs
165/2001. Sono illegittimi i conferimenti effettuati senza il
rispetto delle forme regolamentari di pubblicità dei posti vacanti
ed in assenza delle procedure valutative in quanto il suddetto
procedimento appare effettuato al duplice scopo di contemperare sia
l’interesse dell’Amministrazione ad attribuire il posto al più
idoneo in ossequio al principio del buon andamento, sia ad assicurare
la parità di trattamento e le legittime aspirazioni degli
interessati, come ripetutamente affermato da questa Sezione con
delibere nn. 21/2010/PREV; 3/2013/PREV; 25/2014/PREV”.
In aggiunta,
il
Tar Puglia-Lecce, Sezione II ha emesso la sentenza
21.12.2015,
n. 3661, secondo la quale i dirigenti a contratto possono essere
assunti solo in esito ad una vera e propria procedura selettiva di
natura tecnica che escluda una scelta totalmente discrezionale
dell’organo di governo. A
giudizio del magistrato amministrativo leccese, la necessità di un
sistema selettivo e realmente basato sul merito, scevro da qualsiasi
considerazione di legami politici o, comunque, di vicinanza personale
ai soggetti dotati del potere di attribuire gli incarichi
dirigenziali, vale anche per gli incarichi a contratto.
La
procedura speciale indicata dall’articolo 110 del d.lgs 267/2000,
pur non coincidendo con un concorso pubblico, deve comunque
considerarsi avere natura para – concorsuale. D’altra parte,
ragiona il Tar, se così non fosse, se, cioè, si ritenesse che
l’articolo 110 consenta una scelta intuitu
personae,
“risulterebbe
assai dubbia la compatibilità costituzionale della norma de qua in
riferimento all’art. 97, commi 2 e 4, Cost.”
Pare
evidente che il ragionamento – erroneo – proposto dal Consiglio
di stato oltre a porsi in contrasto con la Costituzione vada anche a
cozzare con le disposizioni in tema di lotta alla corruzione.
E’
da auspicare che Palazzo Spada lasci la pronuncia in commento come
una rondine a primavera e non più che un incidente di percorso,
sulla via retta del rispetto necessario delle regole costituzionali.
Nessun commento:
Posta un commento