Per il lavoro pubblico
l’attenzione è concentrata sulla riforma Madia, ma è lo statuto dei lavoratori
autonomi a contenere una modifica potenzialmente di grandi impatto ed utilità
per il pubblico impiego.
Lo statuto, approvato lo scorso
10 maggio, contiene uno specifico “capo” dedicato al cosiddetto lavoro agile.
L’articolo 18 dello statuto
indica le finalità del lavoro agile e cerca di definirne le caratteristiche.
Gli scopi principali sono due: incrementare
la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. In
sostanza, il lavoro agile mira a rimuovere gli ostacoli che l’ “hardware”, il
legame stretto al luogo ed al mezzo di svolgimento della prestazione
lavorativa, possono porre alla produttività e alla piena conciliabilità tra lavoro
ed esigenze organizzative personali.
Si pensi, ad esempio, a funzioni
come quelle ispettive. Restringere l’attività degli addetti in una cornice
oraria rigida comporta oggettive limitazioni alla funzione di controllo.
Rompendo i confini dell’orario e della logistica, permettendo agli ispettori di
realizzare le proprie attività con orari non fissati, ovviamente sulla base di
una verifica programmazione delle attività, può aumentare l’efficienza
produttiva, contestualmente anche permettendo all’interessato di gestire tempi
di vita, come per esempio accompagnare figli a scuola o prendersi cura di
parenti.
I datori di lavoro, quindi,
possono promuovere il lavoro agile, inteso come “modalità di esecuzione del
rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche
con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli
di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti
tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa”.
Non si tratta del “telelavoro”,
che presuppone lo svolgimento di un’attività lavorativa necessariamente
“telematica” in una sede anche remota; è proprio un sistema organizzativo del
lavoro che può anche, ma non necessariamente, presupporre strumenti
tecnologici. Imprescindibili sono piani di lavoro, per verificare il rispetto
degli obiettivi nelle fasi e cicli previste.
Per questo, dispone l’articolo
18, “la prestazione lavorativa viene
eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza
una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di
lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione
collettiva”.
Il lavoro agile può anche essere
regolato da un accordo a tempo determinato e presuppone medesimi diritti e
doveri dei lavoratori “tradizionali”, con specifiche disposizioni sulle “forme di esercizio del potere direttivo del
datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore”, nonché sui
tempi di riposo del lavoratore e “le
misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del
lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.
Il comma 3 dell’articolo 18 dello
statuto precisa che le disposizioni del capo dedicate al lavoro agile si
applicano, in quanto compatibili, anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche. L’opportunità, dunque, di organizzare
l’attività lavorativa in modo davvero innovativo e anche da consentire da un
lato di risparmiare straordinari e, dall’altro, di far rientrare molti dal part
time, è davvero ghiotta e, paradossalmente, non sta in una legge specificamente
destinata a riformare il lavoro pubblico.
Il comma 3 dell’articolo 18,
tuttavia, rinvia a “direttive” da emanare, a cura del Presidente del consiglio
dei ministri, anche ai sensi dell'articolo 14 della 124/2015, e fatta salva
l'applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali
rapporti.
E’in dirittura d’arrivo una
direttiva del Ministro della Funzione pubblica sul tema, che pare puntare
decisamente al ribasso, con una quota del 10% di lavori agili ed un’impostazione
più orientata alla creazione di graduatorie per bisogni personali, che non all’impiego
dello strumento come utile ed ordinaria forma di organizzazione. Sarebbe utile
che la pubblica amministrazione, nella quale fin qui forme organizzative del
lavoro innovative hanno registrato regolarmente dei flop (in particolare, il
telelavoro) non perdesse un’occasione utile per una riforma potenzialmente
davvero efficace.
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