sabato 14 ottobre 2017

Caravaggio: mostra a Milano, Palazzo Reale. Analisi breve di alcuni capolavori in esposizione - 4^ parte

11. Madonna dei pellegrini (o di Loreto), olio su tela, 1604 S. Agostino, cappella Cavalletti, Roma.

Dedichiamo a questa straordinaria pala d'altare lo spazio della quarta parte dell'analisi breve di alcune opere di Caravaggio esposte a Milano.




Si tratta di uno dei capolavori assoluti e più noti del Caravaggio, che tocca i vertici più elevati della sua arte, anche perché ha l’occasione di esprimere con essa la sua adesione alla chiesa povera, vicina ai poveri, al popolo, visione religiosa certamente assimilata nella Milano di Carlo Borromeo.
Ma è un quadro noto ed importante per la storia che gira attorno alla modella utilizzata dal Merisi, causa di uno dei tantissimi guai con la giustizia, uno tra i più gravi, sventato grazie alle protezioni di cui il pittore godeva a Roma.
Il tema dell’opera è chiaro e semplicissimo: due pellegrini dalle vesti lacere, povere e sudice si inginocchiano davanti alla casa della Madonna in devota preghiera. I loro piedi sono in primo piano, gonfi per la lunga camminata scalzi e conseguentemente sporchi di terra e fango. Il realismo di questa immagine è particolarmente pronunciato. Giovanni Baglione, pittore, grande rivale, contemporaneo e biografo di Caravaggio nella sua Le vite de' pittori, scultori et architetti dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a' tempi di Papa Urbano Ottavo nel 1642 così racconta della pala d’altare: “una Madonna di Loreto ritratta dal naturale con due pellegrini, uno co’ piedi fangosi, e l’altra con una cuffia sdrucita e sudicia”, sicchè “per queste leggierezze in riguardo delle parti che una gran pittura aver dee, da’ popolani ne fu fatto estremo schiamazzo”. Il Baglione, pur essendo un caravaggesco, non aveva molta stima e simpatia per Caravaggio e considerava una degenerazione della pittura “alta” l’indugiare realistico su dettagli come la cuffia sdrucita ed i piedi sudici. Ed attribuì a questo “disvalore” della pittura le ragioni dello “schiamazzo” del popolo.
I due pellegrini rappresentano perfettamente l’ideale di povertà ed umiltà della Chiesa tanto caro al Caravaggio, che ha visto, come tutti gli abitanti di Roma, tantissimi pellegrini laceri giungere nella città, spinti dalla devozione.
L’ideale di povertà è rappresentato anche dalla casa di Maria, che si presenta con uno spoglio scalino all’entrata, una povera porta ed un intonaco vecchio, imbrunito dall’usura e sbrecciato, tanto che compaiono i mattoni sotto. Caravaggio forse dipinge una delle tante case poco curate dei quartieri della Roma che frequentava. Che fosse ispirato dall’ingresso della sua abitazione presa in affitto da Prudenzia Bruni in vicolo San Bagio.
Il quadro coglie il premio per la devozione degli stanchi pellegrini: il miracolo dell’apparizione davanti ai loro occhi di Maria, col figlio in braccio, ad accoglierli, salutarli, con un gesto che li onora e sembra quasi invitarli ad entrare.
Anche Maria è scalza, ma i suoi piedi sono invece torniti, colti nella leggerissima posa del gesto dell’uscire e rientrare dall’uscio, quasi in volo. E’, probabilmente, questo l’unico accenno al “volo” della casa da Nazareth a Loreto.
Ancora una volta, Caravaggio innova e modifica i canoni. Nell’iconografia classica, la casa della Madonna di Loreto è rappresentata in volo, sorretta da angeli e cherubini.
Quella del Caravaggio è solidamente ancorata al suolo, tangibile per le ginocchia e le membra dei fedeli in preghiera, “ospiti” di Maria.
In braccio alla Madonna, un Gesù bambino benedicente allegro, sorridente, contento di vedere ed incontrare i fedeli che tanto hanno viaggiato per vederlo e pregare. Non sfugge che anche la rappresentazione del bambino Gesù è particolarmente fuori dai canoni: il bambino (probabilmente il figlio di Lena), infatti, è vistosamente più cresciuto rispetto all’età con la quale classicamente viene rappresentato nella pittura.
La pala d’altare dipinta da Caravaggio è carica di elementi innovativi, che colpiscono in modo molto forte l’osservatore, soggiogato da altri due fattori. Il primo è il solito straordinario effetto di luce e oscurità, capace di dare alle figure rappresentate una straordinaria tridimensionalità, accentuata ulteriormente dalla tecnica dell’olio su tela, grazie alla quale la raffigurazione si staglia rispetto agli affreschi dei laterali e della volta della cappella Cavalletti, ove il quadro di Caravaggio è stato posto.



Il secondo è l’anche questo consueto e pronunciatissimo realismo del Caravaggio, che racconta episodi come i miracoli o le storie bibliche sempre attraverso il linguaggio della realtà, un verismo pronunciato che lo spinge a ritrarre modelli veri, reali, riconoscibili.
Ed è proprio qui che l’arte di Caravaggio si intreccia inscindibilmente con la vita di Caravaggio e le sue scelte sempre forti e in molta misura provocatorie.
La chiesa di S. Agostino da molto tempo era il luogo di preghiera ed anche di sepoltura delle cortigiane d’alto bordo di Roma. Caravaggio aveva già utilizzato come modelle delle cortigiane, come Annuccia Bianchini e Fillide Melandroni ed è evidente che le sue frequentazioni lo portano in ambienti ricchi di cortigiane e prostitute.
Non si è, dunque, sottratto all’istinto di tornare a far impersonare Maria da una cortigiana, ritraendo Maddalena (Lena) Antognetti, conosciutissima a Roma, perché “riceveva” pochissimo lontano da S. Agostino, in piazza Navona.
Un realismo, che più reale e provocatorio non poteva essere. Un conto, infatti, era stato utilizzare prostitute per dare il volto alla Madonna in quadri destinati a collezioni ed abitazioni private. Ben diverso era, invece, rappresentare una prostituta in una commessa “pubblica”, coma la pala d’altare di una cappella di una chiesa frequentatissima dai devoti e molto amata dai romani.
Due altre volte Caravaggio dipingerà pale d’altare aventi per soggetto Maria: la Madonna dei palafrenieri (o della serpe), che ritrae di nuovo Lena

Madonna dei palafrenieri o della serpe, olio su tela 1605-06, Galleria Borghese, Roma


 e la Morte della vergine (che secondo alcuni ritrae ancora una volta una prostituta, realmente morta, affogata nel Tevere, forse Annuccia Bianchini). 

Morte della Vergine, olio su tela 1604-06, Louvre, Parigi

Entrambe furono oggetto di rifiuto da parte dei committenti.
Nel caso della Madonna di Loreto, invece, gli eredi di Ermete Cavalletti, che era andato in pellegrinaggio a Loreto, capirono e forse condivisero il messaggio del Merisi e l’opera venne accettata ed esposta nella cappella, ove si trova a Roma.
Non fu, dunque, il quadro a presentare per Caravaggio una tra le tante vicissitudini, quanto la modella, Lena Antognetti.
Il legame che il pittore aveva con la cortigiana (probabilmente non solo “sentimentale” ma anche “d’affari”) lo indusse il 29 luglio 1605 ad aggredire il “notaio” (in realtà, un funzionario del tribunale papale, qualcosa di maggiormente simile ad un cancelliere) Mariano Pasqualone, che, con la sua denuncia contro Caravaggio, ci ha lasciato una testimonianza viva dell’irruenza del pittore, raccontando quanto accadutogli mentre passeggiava a piazza Navona: “ io sono qui all’off[ici]o perchè son stato assassinato (ferito) da Michelangelo da Caravaggio pittore nel modo che dirò a vostra signoria. Il signor Galeazzo et me adesso che può essere un’hora di notte incirca (tra le 20 e le 21, nda) passeggiando in Navona avanti il palazzo del signor imbasciator di Spagna, mi sono sentito dare una botta in testa dalla banda di dietro, che io sono subbito cascato a terra et sono restato ferito in testa, che credo sia stato un colpo di spada che come vostra signoria vede io ho una ferita in testa dalla banna manca, et poi se ne è fuggito via Io non ho visto chi sia stato quello che mi ha ferito, ma io non ho da fare con altri che con detto Michelangelo, perché a queste sere passate havessimo parole sul Corso lui et io per causa d'una donna chiamata Lena che sta in piedi a piazza Navona passato il palazzo ovvero il portone del palazzo del signor Sartorio Teofilo,, che è donna di Michelangelo. E di gratia vostra signoria mi spedischi presto acciò me possa medicare”.
Lena “che sta in piedi” a piazza Navona è la donna ritratta, che sta in piedi nel quadro a ricevere i pellegrini, ma nella vita sta “in piedi”, sulla porta a ricevere ben altra umanità e “clientela”.
Più trasgressivo il quadro non poteva essere, anche se la sua posizione in una chiesa da sempre frequentata dalle cortigiane attenuava la folgorante provocazione del Caravaggio. Così che c’è da dubitare che lo “schiamazzo” del popolo derivasse dallo stile pittorico, ma fosse, piuttosto, causato dal fatto che tutti riconobbero Lena, che batteva poco lontano dalla chiesa di S. Agostino e commentarono evidentemente ad alta voce, con lazzi e scherzi, l’accostamento ardito tra sacro e profano concepito dal Merisi.
L’aggressione al Pasqualone costò molto cara a Caravaggio. Già sotto processo per altri fatti, si diede alla latitanza, fuggendo a Genova, dove grazie alle presentazioni di Costanza Colonna, di Vincenzo Giustiniani e Ottavio Costa ebbe protezione. Per tutto il mese di agosto si intrattennero trattative tra Caravaggio, i protettori, il tribunale e lo stesso Pasqualone, per evitare al pittore una durissima condanna. Il 26 agosto 1605, il Merisi era di nuovo a Roma per firmare una sorta di transazione penale col Pasqualone: “Il Michel Angelo Merisio essendo stato incaricato di parole oltraggiato da messer Mariano notaro del Vicario et non avendo di giorno lui voluto portar spada mi risolsi a darli dove io l’incontrassi et capitandomi avanti una sera con un altro accompagnato et conosciutolo benissimo in viso, li diedi, del che me ne rincresce assai, che se l’havessi da fare non lo farìa, et ne li dimando perdono et la pace e tengo che detto messer Mariano con la spada in mano sia huomo da rispondere a me et a qualsivoglia altra persona. Io Michel Angelo Merisi affermo quanto di sopra. Datum 26 augusti 1605” [da Caravaggio, Graham Dixon, pag 286].
Proprio quello stesso giorno, Prudenzia Bruni, che affittava l’appartamento di Caravaggio, poiché non aveva ricevuto il pagamento della pigione chiese il sequestro dei suoi beni e ne fece redigere un prezioso inventario[1]. Al che Caravaggio reagì il successivo 1 settembre 1605, lanciando pietre contro l’abitazione della Bruni e poi suonando per strada stornelli ingiuriosi contro di lei. Seguì, ovviamente, l’ennesima denuncia contro il Merisi.




[1] In primis una credenza dalbuccio con tre cantori incorniciata dontano con dentro undeci pezzi de vetro, cioè bicchieri, carafe, et fiasche di paglia, un piatto, due saliere, tre cucchiare, un tagliere et una scudella, et sopra detta credenza doi candellieri dottone, un altro piatto, due coltelli piccoli et tre vasi de terra. Item una brocca dacqua. Due scabelli. Item un tavolino roscio con due tiratori. Item un paro de banchetti da letto Un quatro. Item un forzieretto coperto de corame negro con dentro un par de calzoni et un giuppone stracciati Una quitara, una violina Un pugnale, un paro de pendenti, un centurino vecchio et un battente di porta Item un tavolino un poco grande Item due sedie de paglia vecchie et una scopettina Item due spade, et dui pugnali da mano Item un par de calzonacci verdi Item un matarazzo. Item una rotella Item una coperta Item un letto da oprire et servire per servitori Item una lettiera con due colonne Item una cassetta da far servitio Item un scabello Item una cassapanca vecchia Item un catino de maiolica Item unaltra cassa con dodici libn dentro. Item due quadri grandi da depingere Item una cassaccia con certi stracci dentro Item tre scabelli Item un specchio grande Item un scudo a specchio Item tre altri quadri più piccoli Item una banchetta a tre piedi Item tre talari grandi Item un quadro grande de legname Item una cassa d'ebano con un cortello dentro. Item due banchetti da letto Item un trepiedi alto di legno Item una caiioletta con certe carte de colori Item una libarda Item dui altri telari.

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