lunedì 16 ottobre 2017

Caravaggio: mostra a Milano, Palazzo Reale. Analisi breve di alcuni capolavori in esposizione - 6^ e ultima parte

15. Salomé con la testa del Battista, olio su tela (1607 o 1610), National Gallery, Londra.



Di questo capolavoro ne esistono due versioni. L'altra è conservata al Palazzo Reale di Madrid, datata circa nel 1609:


Caravaggio è ormai fuggito da Roma, a seguito dell'omicidio di Ranuccio Tomassoni e dipinge l'opera a Napoli.
Sulla reale datazione v'è incertezza: non è chiaro se Caravaggio l'ha dipinta nel corso del suo primo periodo di permanenza a Napoli, tra la seconda metà del 1606 e la prima del 1607, oppure, lasciata Malta e la Sicilia, tra la fine dell'estate 1609 e la sua morte avvenuta il 18 luglio 1610.
L'incertezza della datazione discende non solo da notizie imprecise sulla committenza, ma anche dall'inventario riportato dalla lettera del 29 luglio 1610 rivolta dal Nunzio apostolico nel Regno di Napoli, Deodato Gentile, al cardinale Scipione Borghese a Roma, riferito ai quadri reperiti sulla feluca che avrebbe dovuto portare il pittore a Roma, nel viaggio tragicamente conclusosi con la sua morte a Porto Ercole. Il cardinal Borghese fece di tutto per appropriarsi dei quadri dell'ormai defunto artista.
Non è nemmeno chiaro quanti fossero i quadri ritrovati nella feluca. Si era sempre ritenuto fossero tre, ma nella lettera rivolta dal Gentile al cardinal Borghese si legge: "La felluca ritornata riportò le robbe restateli ( di Caravaggio) in casa della S.ra Marchesa di Caravaggio che habita a Chiaia, e di dovea era partito Caravaggio. Ho fatto subito vedere se vi sono li quadri, e ritrovo che non ne sono più in essere , eccetto tre, li doi di San. Giovanni e la Maddalena…".
Probabilmente i quadri erano più di tre, dunque e, come si nota, almeno due avevano come soggetto San Govanni Battista. Uno è stato identificato nel quadro presente nella Galleria Borghese:


Sull'altro, si pongono i problemi di datazione e provenienza di cui abbiamo detto sopra. Molti sostengono che, in realtà, il Gentile nella foga del recupero dei quadri abbia equivocato e l'altro quadro non sia il Battista, che si immagina decollato, bensì il Davide con la testa di Golia (che è un autoritratto del Caravaggio), conservato a sua volta presso la Galleria Borghese.
Andando all'analisi del quadro della National Gallery, emerge da esso un rispetto (abbastanza inconsueto per un innovatore come Caravaggio) della composizione classica della scena. Per esempio, l'opera di  Bernardino Luini del 1527 circa (olio su tavola), conservata agli Uffizi, è organizzata quasi con le stesse modalità:


Vediamo Salomè che distoglie lo sguardo, disgustata dalla terribile visione della testa decollata del Battista posta sul vassoio, riposta dal boia che, invece, la osserva compiaciuto e ancora "adrenalinico" per la decapitazione compiuta, mentre alle spalle di Salomè una donna anziana, che si deve considerare essere Erodiade, la madre, osserva la scena attentamente e con compiacimento.
Nella versione dell'opera conservata a Madrid, Salomè distoglie lo sguardo, ma lo rivolge all'osservatore, coinvolgendolo pienamente nella macabra scena.
La donna anziana, Erodiade, è un topos sia delle composizioni classiche della scena, sia della pittura di Caravaggio. Non sfugge la notevole somiglianza con la S. Anna de La Madonna dei Palafrenieri (o della serpe).
Il chiaro scuro è fortemente accentuato, come tipico delle opere dell'ultimo Caravaggio: la luce proviene dall'alto sulla sinistra ed illumina pienamente il volto di Salomè, per sottolineare l'orrore che prova, mentre lascia nella penombra Erodiade e scava, invece, profondamente i lineamenti del boia. Ad esso il Caravaggio dà il volto di un modello che utilizza più di una volta Napoli. Lo incontriamo, infatti, nella due versioni del la Flagellazione.
Caravaggio si è prodotto in moltissime rappresentazioni di decapitazioni, alle quali ha certamente assistito di persona. La raffigurazione del Battista è impressionantemente realistica: il quadro suscita estrema pietà ed orrore. Ancora una volta il Merisi "fotografa" un istante di enorme pathos, quello stesso che egli provava per la sua vita. A seguito dell'omicidio di Ranuccio Tomassoni era stato condannato alla pena "capitale", cioè alla decapitazione nei territori del Papa. Viveva con profonda partecipazione, dunque, ogni scena reale o racconto biblico sul tema, come dimostra appunto il tragico autoritratto del Dadvid con la testa di Golia, nel quale la postura del David, anche se simmetrica, è molto simile a quella del boia della Salomè:




16. Flagellazione, 1607-1608, olio su tela. Museo nazionale di Capodimonte di Napoli



Giovan Pietro Bellori ci informa Caravaggio dipinse l'opera, molto grande, su commissione della famiglia De Franchis, per porla nella cappella della Chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli.
Anche in quest'opera Caravaggio si attiene alla composizione "classica", anche se profondamente innovativa è l'effetto della luce e l'analisi psicologica dei protagonisti.
Esempi eccelsi di flagellazioni con Cristo alla colonna circondato dagli aguzzini erano molteplici. Celeberrimo quello di Piero della Francesca, tempera su tavola, 1460, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino:


L'archetipo cui pare ispirato il quadro del Caravaggio è, però, la Flagellazione (olio su tavola, 1525, Museo Civico di Viterbo) di Sebastiano del Piombo.


Il tenebrismo di Caravaggio è particolarmente accentuato. La scena emerge ed è avvolta dall'oscurità, che rappresenta l'abisso di cattiveria in cui discende  l'uomo, mentre tortura il figlio di Dio. Gli aguzzini sono ripresi da luce radente, in penombra, come a risaltare lo sforzo che compiono, i gesti violenti (il piede dell'aguzzino di destra che comprime la gamba del Cristo, per piegarlo), i volti trasfigurati dall'impeto torturatore.
La colonna alla quale il Cristo è legato si vede appena, anche se è nello stesso asse della figura di Gesù, l'unica in piena luce: è la luce della divinità e della salvezza, che illumina, ma anche sembra promanare, da un uomo giovane, con la muscolatura dettagliatamente riprodotta come in una statua dell'antichità classica, ancora non offesa dalle frustate che da lì a poco saranno inferte.
La posizione del Cristo è plastica, in un equilibrio reso precario dall'infierire degli aguzzini; lo sguardo rassegnato verso il sacrificio cui sa di essere destinato.
La visione di Caravaggio è irrimediabilmente pessimistica e tragica, come la sua condizione di esule in fuga.
Del soggetto relativo alla Flagellazione, Caravaggio dipinse un altra versione (ove appare il medesimo modello come aguzzino presente a sinistra del quadro in esposizione a Milano), meno concitata e tragica:

Flagellazione1606-1607, olio su tela Musée des Beaux-Arts, Rouen

17. Ritratto di un cavaliere di Malta Antonio Martelli, 1607-1608 – Firenze Palazzo Pitti



Fu con la sua grandissima arte che Caravaggio riuscì ad ottenere dal gran maestro dell'ordine dei cavalieri di san Giovanni, Alof de Wignacourt,  il 14 luglio 1608 Caravaggio l'investitura della carica di Cavaliere di obbedienza magistrale.
Il San Girolamo scrivente conservato a La Valletta è a giudizio di molti un cripto-ritratto proprio del Wignacourt, del quale, comunque, il Merisi fece uno straordinario ritratto nel 1608, conservato al Louvre:


E' evidente che il ritratto del Martelli, che prese Caravaggio tra le sue grazie, era uno tra i molti quadri prodotti per ottenere il benvolere dei Cavalieri.
Il Cavaliere è ritratto con estrema cura dei dettagli, favorita come sempre dal preciso studio della luce, che consente di rendere con forte verismo la fisionomia, rivelando anche l'età ormai avanzata: il Martelli, all'epoca, aveva 74 anni.
La luce lo evidenzia come figura eroica, nella sua divisa dell'ordine, con la grande croce bianca. E' un ritratto nel quale prevale l'indagine psicologica di un Cavaliere ormai anziano, ma autorevole, forte, saggio, reduce dalla vittoria soffertissima contro i Turchi nel grande assedio da loro portato a Malta nel 1565, dal quale i Cavalieri uscirono eroicamente vittoriosi, condotti dal Gran Maestro Jean  La Vallette (al quale la capitale dell'isola dedica il nome).


18. Martirio di Sant'Orsola (1610) da Palazzo Zevallos Stigliano di Napoli


Sant'Orsola era di ritorno dal pellegrinaggio a Roma con le 11.000 vergini al suo seguito, quando a Colonia venne fermata dalle orde di Attila. I soldati unni non si fecero pregare per provare a unirsi con le vergini, che però opposero fermo rifiuto, spinte dalla Santa. Tutte 11.000 vennero trucidate in un solo giorno, con l'eccezione di Orsola: per la sua straordinaria bellezza, Attila decisa di risparmiarla e chiederla in moglie. Ma, Orsola rifiutò la proposta del barbaro, che la fece uccidere dalle frecce dei suoi soldati.
Questa è la "passione" di sant'Orsola, che evidentemente colpì molto un Caravaggio giunto (inconsapevolmente) agli ultimi giorni della sua travagliata vita.
Il quadro gli fu commissionato dal banchiere genovese Marcantonio Doria e si caratterizza per l'estrema velocità di esecuzione, riscontrabile dalla visione delle pennellate. Il Merisi in fuga da Roma aveva sempre più velocizzato la propria tecnica di pittura e in quest'opera sembra aver toccato l'apice, anche per la fretta di abbandonare Napoli e provare a fare ritorno a Roma, attendendo quel perdono ufficiale dalla condanna alla pena capitale, che non ebbe mai la ventura di vedere.
Il quadro ha avuto vicende molto travagliate. Oltre ad essere stato dipinto con tratti esili e rapidissimi, sempre per la fretta di essere consegnato al committente fu esposto al sole così da consentirne un'asciugatura più celere. Ciò produsse danni molto forti, ai quali dovette porre riparo lo stesso pittore, con dei ritocchi.
Sull'attribuzione al Caravaggio vi furono in passato incertezze. L'opera appare quasi estranea, per le sue modalità di realizzazione, allo stile del Merisi: appare quasi fuori fuoco e, certo, le vicissitudini subite dai colori non hanno aiutato a comprenderne da subito l'attribuzione, che oggi è comunque certa anche grazie a ritrovamenti d'archivio.
Il fuoco non precisissimo, secondo Graham Dixon, potrebbe derivare dalla circostanza che Caravaggio dipinse il quadro reduce dalla gravissima aggressione subita pochi giorni prima fuori dall'osteria del Cerriglio a Napoli, forse raggiunto da emissari di un Cavaliere di Malta, probabilmente Giovanni Rodomonte Roero, conte della Vezza  cui Caravaggio aveva arrecato offesa nella rissa dell'estate 1608 che gli costò l'arresto nella fortezza della Valletta e la spoliazione dalla carica di Cavaliere, perchè membro putridus ac foetidus .
Caravaggio fuggì da Malta, riparò in Sicilia e tornò a Napoli. Ma non è difficile immaginare che i Cavalieri di Malta avessero occhi e orecchie in ogni porto. Sta di fatto, che a seguito dell'aggressione il pittore risultò gravemente ferito e sfregiato: non è difficile immaginare come possa essere stato selvaggiamente picchiato e, appunto, forse ferito sulla faccia da un pugnale o una spada.
Si ritrovò, quindi, a dipingere in tutta fretta e senza poter vedere bene quello che è uno tra i suoi ultimi capolavori, dotato anche in questo caso di una straordinaria intensità emotiva.
Caravaggio non dipinge Orsola come nella classica iconografia, da sola e con i simboli del martirio (la freccia e la palma).
Raffigura, invece, la scena terribile dell'omicidio, rappresentando Attila, atroce nel suo gesto e nella sua espressione aggressiva e ad un tempo pentita, nello stesso istante in cui al rifiuto di Orsola scocca la freccia mortale che colpisce la santa in pieno petto. Orsola è colta nell'istante in cui è colpita, inizia a ripiegarsi su se stessa a comprendere da cosa derivi il dolore inflittole ed ha già un incarnato pallidissimo, come fosse già morta, per la crudeltà umana.
Intorno a lei accorrono dei soldati di Attila, quasi a voler sorreggere il corpo della martire che a breve cadrà. Dietro di lei, un uomo con la bocca aperta osserva attonito: è un autoritratto di Caravaggio, che riprende quasi le stesse espressione e postura dell'autoritratto della Cattura di Cristo:


Ma, nel quadro dedicato a Orsola, Caravaggio è vicinissimo al corpo della santa, tanto da poter lasciare immaginare che la freccia, oltrepassando il petto e la schiena di Orsola, abbia colpito anche lui, come pochi giorni prima era stato colpito dalla vendetta e dal risentimento del Cavaliere di Malta.

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