Il legislatore poteva fare a meno
di denominare “contratto di prestazione occasionale” i cosiddetti “nuovi
voucher”, introdotti con l’articolo 54-bis, del d.l. 50/2017, convertito in
legge 96/2017.
Come è noto, il contratto di
prestazione occasionale è stato introdotto in una sede del tutto impropria, il
cosiddetto “decreto enti locali”, in fretta e furia per evitare di tenere il
referendum sull’abolizione del lavoro accessorio, noto appunto come voucher.
L’istituto è stato profondamente
rivisto in termini molto restrittivi, tanto è vero che sostanzialmente i nuovi
voucher sono fermi al palo e le aziende private invece di utilizzare questo
sistema hanno fortemente allargato l’impiego del lavoro a chiamata.
Poteva e doveva fare a meno,
però, il legislatore di ingenerare l’ennesima occasione di caos e confusione
che, invece, puntualmente è stata causata, denominando il nuovo istituto come
contratto di prestazione occasionale: sarebbe dovuto apparire evidente che in
questo modo lo si sarebbe scambiato per la “prestazione occasionale” vecchio
tipo, ma, soprattutto, per il lavoro autonomo occasionale.
Una prima precisazione va fatta.
Le prestazioni occasionali conosciute anche come “mini co.co.co.”, regolate
dall’articolo 61, comma 2, del d.lgs 276/2003, caratterizzate dalla durata
complessiva di non oltre 30 giorni l’anno e con un compenso inferiore ai 5.000
euro ricevuto dal medesimo committente, sono state abolite dall’ art. 52, comma
1, del d.lgs 81/2015.
Restano, allora, nell’ordinamento
giuridico esclusivamente queste due ipotesi:
1) contratto
di lavoro occasionale, disciplinato dall’articolo 54-bis, del d.l. 50/2016;
2) lavoro
autonomo occasionale.
Il contratto di lavoro autonomo
occasionale non si sovrappone per nulla al lavoro autonomo occasionale.
Molti enti si stanno ponendo il
quesito se per assegnare un incarico, per esempio di consulenza o docenza, ad
un dipendente di un altro ente pubblico, debbano regolare il connesso rapporto
come contratto di lavoro occasionale ai sensi dell’articolo 54-bis. Bisogna
rispondere in maniera chiara: assolutamente no.
Il contratto di lavoro
occasionale può essere utilizzato dalle amministrazioni pubbliche,
esclusivamente per esigenze temporanee o eccezionali:
a) nell'ambito di progetti speciali rivolti a
specifiche categorie di soggetti in stato di povertà, di disabilità, di
detenzione, di tossicodipendenza o che fruiscono di ammortizzatori sociali;
b) per lo svolgimento di lavori di emergenza
correlati a calamità o eventi naturali improvvisi;
c) per attività di solidarietà, in
collaborazione con altri enti pubblici o associazioni di volontariato;
d) per l'organizzazione di manifestazioni
sociali, sportive, culturali o caritative.
Le amministrazioni, quali
utilizzatori, non possono spendere nell’anno più di 5.000 euro come tetto
massimo alla somma di tutti i contratti di prestazione occasionale attivabili;
ciascun lavoratore non può essere utilizzato per oltre 280 ore l’anno.
Come si nota, l’istituto, per la
pubblica amministrazione, è restrittivamente mirato alle quattro tassative e
straordinarie ipotesi di utilizzo; esse nulla hanno a che vedere con rapporti
di consulenza, docenza o collaborazione i cui oggetti siano diversi da quelli
indicati dalla legge.
Allora, resta una domanda: qual è
la disciplina cui fare riferimento per l’assegnazione di consulenze o docenze o
ricerche?
La risposta è semplice: resta,
com’era prima, l’articolo 7, commi da 6 a 6-ter del d.lgs 165/2001.
C’è da precisare che per effetto
della riforma apportata al testo del comma 6 dell’articolo 7 del d.lgs 165/2001
da parte del d.lgs 75/2017, è ormai chiaro che non è più possibile per le
pubbliche amministrazioni attivare il cosiddetto (e “famigerato”) lavoro
parasubordinato o parautonomo, consistente proprio nelle collaborazioni
coordinate e continuative.
La riforma Madia ha cancellato
dal testo dell’articolo 7, comma 6, il riferimento proprio alle collaborazioni
occasionali e coordinate e continuative.
Pertanto, il sistema per
attribuire gli incarichi delle tipologie previste sempre dall’articolo 7, comma
6, del d.lgs 165/2001 e nel rispetto dei rigorosi presupposti ivi stabili, è
esclusivamente quello dell’attivazione di lavoro autonomo puro, nel quale il
lavoratore ponga in essere una prestazione esclusivamente personale, che non si
prolunghi nel tempo, in quanto il tempo vale solo per qualificare la scadenza
entro la quale adempiere al contratto, e che non sia determinata nelle modalità
e luogo di svolgimento dal committente.
Dunque, nel caso in cui
l’incarico di consulenza, docenza, ricerca, sia rivolta ad un lavoratore
autonomo abituale, si porrà in essere (a meno che non si rientri in un’ipotesi
di appalto di servizi, da regolare nel rispetto del codice dei contratti) un
contratto di prestazione d’opera o di prestazione d’opera intellettuale,
rivolto ad una persona iscritta ad un albo professionale o ad un professionista
senza albo: in questo caso, gli affidatari avranno partita Iva ed emetteranno fattura.
Laddove destinatario
dell’incarico possa essere un dipendente pubblico, questi dovrà ovviamente
essere autorizzato (se la prestazione lo richiede; non è necessaria alcuna
autorizzazione per le docenze rivolte ad altri dipendenti pubblici) e sarà incaricato
come lavoratore autonomo appunto “occasionale”, che rende le prestazioni
qualificate come “redditi diversi”, dall’articolo 67, comma 1, lettera l) del
dPr 917/1986 ai sensi del quale sono, appunto, redditi diversi quelli “derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla
assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”.
In questo caso, il lavoratore
autonomo occasionale non è soggetto ad Iva per carenza del presupposto
oggettivo dell’abitualità dell'attività esercitata , non deve avere partita
Iva, e al posto della fattura rilascia una quietanza o nota di
addebito/pagamento; sui compensi all'atto del pagamento, va effettuata la
ritenuta d’acconto da parte del sostituto d'imposta ed effettuato il versamento
alla Gestione separata Inps, qualora gli importi percepiti dall’esercente non
abituale di lavoro autonomo la somma di 5.000 euro nel corso dell’anno solare.
Buongiorno, sono da poco pensionato ex dipendente pubblico, mi è stata suggerita la possibilità di prestare assistenza software c/o un Ente diverso da quello in cui ho lavorato. Dato che si tratta di importi inferiori ai 5000 euro annui, questa attività potrebbe rientrare fra le collaborazioni occasionali che non richiedono partita iva?
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