domenica 22 ottobre 2017

Michelangelo a confronto con Michelangelo: il Caravaggio della Cappella Cerasi

Tiberio Cerasi fu tesoriere generale della Camera apostolica e, dunque, banchiere notevolmente facoltoso, vissuto tra il 1544 e il 1601. Soprattutto, evidentemente, capiva e molto di arte, potendosi, grazie alle sue fortune, permettersi di fare da committente ai grandissimi artisti della sua epoca.

Il Cerasi, dunque, decise di acquistare una cappella nella chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma e per la sua risistemazione architettonica si affidò a Carlo Maderno, uno dei protagonisti del barocco, incaricato, tra l'altro, di completare il progetto di San Pietro, ove la facciata è un suo progetto.
Per la pala d'altare della cappella di Santa Maria del Popolo, Tiberio Cerasi si rivolse ad Annibale Carracci, che vi pose un'opera delle principali e tra le più eleganti e vivaci del cosiddetto manierismo:
l'assunzione della Vergine (olio su tela 1600-1601).


Carracci era tra i pittori più ammirati ed in voga della sua epoca. Come si nota, lo straordinario slancio della Vergine verso il Cielo avviene sotto gli occhi a sinistra si San Pietro e, a destra, di San Paolo.
Il Cerasi decise di far dipingere i laterali della sua cappella ad un altro grandissimo, che proprio in quegli anni aveva spopolato grazie ai capolavori della cappella Contarelli: Michelangelo Merisi, incaricato di dipingere a destra la conversione di Saulo e a sinistra la crocifissione di San Pietro.
Il gusto artistico del Cerasi è indubbio, come anche una sua certa "sfrontatezza": nella sostanza, infatti, la composizione della cappella di Santa Maria del Popolo richiama fortemente da vicino un'altra importantissima cappella, quella dedicata ai Santi Pietro e Paolo del Palazzo Apostolico, nota come cappella Paolina. Nella quale sono presenti due affreschi: la conversione di Saulo e la crocifissione di Pietro. L'autore di questi affreschi è Michelangelo Buonarroti.
Caravaggio, è evidente, deve affrontare una notevole sfida. Una doppia sfida. La prima è con Annibale Carracci, rappresentante della pittura figlia del rinascimento, composta, classica, col colori vivaci, luce diffusa, espressioni soavi, figure umane idealizzate; quella pittura che il chiaro-scuro del Caravaggio, il suo verismo, la sua attenzione per le figure del popolo, la sua adesione ad una concezione della chiesa come istituzione a difesa dei e dei poveri, innova in modo clamoroso e frontale.
La seconda "sfida" è col modello delle rappresentazioni dei due apostoli realizzate dal Buonarroti poco più di 50 anni prima.
Quel modello, quei modelli incidono non poco sull'opera del Merisi. Analizziamo la conversione di Saulo. Questo è l'affresco dipinto dal Buonarroti tra il 1542 e il 1545:


L'affresco aderisce ad una rappresentazione della conversione di Saulo tradizionale. Si raffigura il momento in cui Cristo appare in cielo, accompagnato dagli angeli, e proietta la luce divina prorompente su Saulo, "tuonando": "Saulo, Saulo, perchè mi perseguiti? Alzati, và a Damasco e là ti sarà detto tutto ciò che è stabilito che tu faccia". Saulo resta accecato dalla luce, soccorso dal palafreniere, mente il cavallo dal quale è caduto si imbizzarrisce e il seguito della missione di Saulo resta attonita e spaventata dalla potente apparizione divina.
Difficile, per un pittore, non restare soggiogato dalla grandezza del modello del Buonarroti e dalla tradizione compositiva.
Il Merisi, dunque, si apprestò all'opera sostanzialmente aderendo al modello, come dimostra la prima versione della sua "conversione"dipinta su tavola di cipresso tra il 1600 e il 1601 (collezione privata Odescalchi):


La scena è ovviamente più raccolta, per le minori dimensioni dell'opera del Caravaggio, ma l'adesione al modello è evidente. Gesù appare in volo abbracciato ad un angelo e mentre con la sua luce illumina il corpo di Saulo, che si staglia nella semioscurità di un deserto al tramonto, si rivolge a lui e gli parla, mentre il palafreniere (vestito con armatura del '600) con estrema difficoltà tiene a freno il cavallo spaventato.
La barba di Saulo, ma soprattutto quella del Palafreniere, ricordano da vicinissimo la barba del Saulo del Buonarroti.
Certo, l'opera di Caravaggio è pienamente "caravaggesca". Troviamo lo straordinario effetto di luce radente e spiovente che avvolge interamente Saulo, che porta le mani avanti agli occhi per proteggersi. La tridimensionalità derivante dall'analisi della luce è come sempre straordinaria. Tuttavia, un certo senso di "confusione" risulta evidente.
Questa non è, come noto, la versione affissa come laterale della cappella Cerasi. Il Merisi realizzò l'altra che oggi vediamo in Santa Maria del Popolo.
Sulle ragioni della decisione del Caravaggio di ritornare sulla sua opera si è sempre molto discusso. Secondo quanto ci tramanda Giovanni Baglione, biografo del Caravaggio, l'opera non piacque agli eredi del cerasi (morto nel giugno 1601), sicchè il Merisi fu indotto a dipingere una nuova versione. Occorre tenere ben presente che il Baglione, per quanto nella sua biografia del Caravaggio contenuta ne Le vite de' pittori, scultori et architetti dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a' tempi di Papa Urbano Ottavo nel 1642 si sforzi di essere quanto più obiettivo possibile, era acerrimo rivale del Caravaggio, dal quale (con altri suoi compagni, anche loro artisti) venne pesantemente dileggiato e diffamato con sonetti, per i quali il Baglione querelò il Merisi, sottoposto ad un poco piacevole processo. Non è impossibile che il Baglione, quindi, calchi la mano, quando può, sui "rifiuti" subiti da Caravaggio, annoverando quello della conversione come uno tra essi.
La testimonianza del Baglione non trova riscontro in fonti precise. Sicchè l'ipotesi che gli storici dell'arte accreditano di più è un'altra. Caravaggio si rese conto che la ristrutturazione della cappella Cerasi disposta da Carlo Maderno avrebbe di molto ridotto gli spazi. La cappella, infatti, è piuttosto piccola e stretta, ben diversa dall'ampiezza della Contarelli a San Luigi dei Frncesi. Forse, le stesse dimensioni delle tavole di legno sulle quali Caravaggio aveva dipinto la conversione di Saulo e la crocifissione di Pietro non erano adeguate alla sistemazione della cappella. Era, quindi, necessario, oltre che opportuno, ridipingere entrambe le opere.
Caravaggio lo fece, per altro tornando alla tecnica dell'olio su tela, da lui meglio padroneggiata della pittura su tavola lignea.
Il Merisi, però, colse l'occasione di modificare radicalmente l'impostazione della raffigurazione  della conversione di Saulo, staccandosi in modo deciso e radicale dal "modello" classico e di Michelangelo Buonarroti:


Caravaggio non era estremamente propenso a rappresentare la divinità, se non proprio per gli episodi biblici che rappresentavano la passione ed i miracoli di Cristo.
Ridipingendo la conversione di Saulo, infatti, non raffigura più Cristo che appare dal cielo circondato da angeli, a lanciare il fascio di luce sul futuro San Paolo. E cambia anche il "momento" da rappresentare. Non più, appunto, l'apparizione improvvisa, l'accecamento, lo sgomento dei presenti e l'imbizzarrimento del cavallo.
Il laterale della Cerasi ci mostra la scena quando il miracolo è già compiuto. Cristo è già scomparso, ha già vocato Saulo, la "tempesta" è passata. Saulo, a terra, non si copre più gli occhi accecati, ma ha già assorbito la luce divina che ancora lo illumina, e sta a braccia aperte, quasi ad abbracciare appunto il dono divino appena ricevuto. Il cavallo ha già placato il suo terrore ed il palafreniere lo tiene con camma per la cavezza. Tutto è racchiuso in una straordinaria intimità religiosa, così diversa dall'iconografia classica della scena.
Ancora una volta, Caravaggio si mostra uno straordinario innovatore, mantenendo totale fede alla sua pittura.
Colpisce chiunque la "centralità" del cavallo nella scena. Il grande critico e "riscopritore" del Caravaggio, Roberto Longhi, scrisse che più che la conversione di Saulo, sembrava la conversione di un cavallo.
Tuttavia, la presenza della "materialità" anche nelle opere "sacre" del Caravaggio è una costante, materialità rappresentabile come il cavallo sul quale andava Saulo, presente sulla scena a testimoniare la caduta, l'evento improvviso, la ritornata calma e pacatezza. Oppure, gli aguzzini che infieriscono, ma con atteggiamenti sa normali operai, su santi, apostoli o sul Cristo.
Non è per nulla improbabile che Caravaggio, nel rivedere totalmente l'impostazione della conversione, sia tornato alla mente alla pittura lombarda della quale era pur sempre figlio e, forse, alla conversione di Saulo di Alessandro Bonvicino, detto il Moretto, a Santa Maria presso Celso a Milano (olio su tela, 1540-1541), che probabilmente aveva visto da giovanissimo:


C'era, poi, la sfida della crocifissione di San Pietro. Anche per Michelangelo Merisi rappresentò, all'epoca dell'affresco della Paolina, un rebus artistico di non poco momento.
Dipingere San Pietro sulla croce rovesciata non era per nulla semplice. Era complicato rendere visivamente una visione asimmetrica e rovesciata per l'occhio dello spettatore. Tanto è vero che le rappresentazioni antiche danno tutte un senso di poca verosimiglianza e di staticità artefatta.
Persino uno straordinario innovatore come Masaccio, padre del Rinascimento, non sfugge a questa sensazione nella sua tempera su tela del 1426, conservata presso i Musei statali a Berlino:


Michelangelo Buonarroti risolse il problema visivo e rappresentativo da genio qual era. Invece di mostrare la figura statica di San Pietro già crocifisso, decise di rappresentarlo mentre, già inchiodato sulla croce, essa viene issata, dando un senso di profondità e dinamismo all'affresco, mai visti prima:


San Pietro è dipingo mentre solleva il collo a guardarci direttamente, a parlarci del dolore del suo martirio e a rimproverare l'umanità per la sua stoltezza. Il Buonarroti indulge sulla fatica dei lavoranti che si piegano, si sforzano, si abbarbicano alla pesante croce, per innalzarla e lasciarvi morire l'apostolo.
Non sappiamo quale sia il contenuto della prima versione della crocifissione di San Pietro dipinta da Caravaggio, anch'essa su tavola lignea, perchè essa non è stata ancora mai trovata.
Conosciamo, dunque, solo la seconda versione del laterale della cappella Cerasi, dipinta ad olio su tela:


In questo caso, notiamo che l'adesione del Merisi all'archetipo del Buonarroti è molto evidente. La scena è molto più intima e raccolta, chiusa nell'oscurità tipica del Merisi. Solo il corpo martoriato di Pietro riceve la luce divina, mentre gli aguzzini che rappresentano un'umanità crudele sono raffigurati nella penombra, di scorcio, intenti nel loro terribile lavoro, indifferenti alla sorte del martire e col solo obiettivo di innalzare la croce. Vediamo ancora una volta dei piedi sporchi e fangosi in primo piano, che ci richiamano a quelli del pellegrino in preghiera della Madonna dei pellegrini della cappella Cavalletti. Ma, qui, sono i piedi, la schiena, le mani, le vesti lacere di aguzzini che in modo disumano svolgono il loro lavoro, inducendo la sofferenza estrema che Caravaggio rappresenta in un'espressione straordinaria del volto di Pietro, anch'esso col collo sollevato a guardarci, ad interrogarci, ad imputarci.

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